Jazzabilly intervista a John De Leo

Il nuovo progetto del cantante e compositore romagnolo, che debutterà il 16 settembre al Blue Note di Milano, declina il jazz in rock ‘n’roll. E viceversa.

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John, parliamo del tuo ultimo progetto Jazzabilly Lovers: in cosa consiste?
É un po’ come dire Jazz’n’Roll o Rock and Rollins. Inizialmente l’idea era di prendere le canzoni di Elvis Presley e degli Stray Cats e considerali come standard;  viceversa interpretare Frank Sinatra o John Coltrane con gli stilemi e i suoni propri del rockabilly. Ma allo stato attuale in concerto succede di tutto.

Il rock and roll e il jazz sono così vicini?
Consolidatisi negli Stati Uniti e con in comune il blues e altre derivazioni, sono di fatto generi molto diversi. Due musiche con attitudini agli antipodi. Quindi un buon motivo per tentare commistioni.

Jazzability

Con questo tuo nuovo progetto hai voluto inviare un messaggio agli irriducibili del jazz, quelli che ritengono che questa musica debba avere una sola via di uscita?
Figuriamoci no, non c’è nessun messaggio sottinteso. Fondamentalmente l’idea motore- condivisa con il resto della band- è quella di volersi divertire. A ogni modo, come ogni volta, alcune tue domande impongono argomentazioni. Sono convinto che la musica sia decisamente distinta in generi (e funzionalità ribadisco sempre) ma di fatto per me, le differenze possibili si riassumono in due direzioni: la musica bella e quella brutta. La prima è creativa, fantasiosa e viva di personalità, l’altra è retorica, ritrita e piaciona. É il mio pensiero, al di là dei generi tutti, delle abilità tecniche, delle difficoltà compositive, della mia appartenenza viscerale a una certa musica o di una personale simpatia verso questo o quell’artista. Detto questo, non sto asserendo che la musica che propongo io sia quella bella, diciamo che quelli di cui sopra sono i miei parametri da ascoltatore e gli intenti da musicista. Di sicuro, quegli irriducibili cui ti riferisci nella domanda, in generale non sono reali appassionati di jazz. Sono appassionati della loro idea di jazz, che solitamente fa riferimento al be bop e allo swing. Si tratta di puristi melomani adoratori di un solo dio. In ogni caso siamo in democrazia e oltretutto quella musica piace anche a me.

Il discorso è sempre lo stesso: che cosa si intende per jazz?
Per me s’intende quella musica che continua a codificare modalità improvvisative e compositive, uno stile che si rifà sicuramente agli standard e ai linguaggi della tradizione ma che si nutre di tutte    musiche esistenti e senza preconcetti. Come pressapoco diceva il mio amico Fabrizio Puglisi «il jazz è per definizione una musica in fieri».

Quali brani hai preso in considerazione e perché proprio questi?
Fatta eccezione per un paio di inediti, al momento il nostro studio si concentra più che altro su arrangiamenti di brani di altri autori e sulla ricerca di un peculiare suono complessivo. Purtroppo non riusciamo a fare le prove che vorremmo. Ed è esigenza di tutta la band trovare un momento per fermarsi e dedicarsi a nostre composizioni. Tra i brani più consoni ai propositi della definizione Jazzabilly c’è il nostro Jazzability e il medley Hard Bop a Lula / Resolution (Gene Vincent e John Coltrane). Ci diverte molto a interpretare Love Me Tender in chiave free o Stormy Weather in tutte (ma proprio tutte.) le salse.

Ti senti più rocker o jazzman?
Con il differente impegno mentale che implicano, ascolto volentieri sia il rock sia il jazz. Come artista ho sempre preferito mischiare le carte in tavola; tutte le espressioni musicali popular, ambito cui anche io faccio parte, mi annoierebbe profondamente praticarle distintamente e di certo non appartengo a nessuna fede musicale; da sempre mi piace usare le musiche per giocare con i loro stilemi e le loro funzionalità. In definitiva accetto entrambe le definizioni ma non mi sento adepto di nessuna parrocchia esclusiva. Comunque sia il rock, o quella cosa in cui si era trasformato negli ultimi decenni di posture supine al regime e al mercato, finalmente è definitivamente morto. Quindi per me quanto per i miei soci Jazzabilly è un buon motivo per riesumarne l’essenza.

Jazzability

Parliamo anche dei tuoi compagni di viaggio musicale. Come è iniziata la vostra collaborazione?
Ne parlo volentieri e sono onorato della loro collaborazione.Era una mia idea ma la colpa è del conterraneo contrabbassista lunghese Stefano Senni. Premetto di essere un pochino disorganizzato e di avere un pessimo rapporto col l’incedere del tempo. Al Senni accennavo di Jazzabilly circa venti anni fa. Poi gliene parlai di nuovo una decina di anni dopo. E ancora più di recente. Evidentemente dopo tanta mia insistenza sono riuscito a convincerlo. Infatti mi ha fatto capire che era giunto il momento che ci pensasse lui. Così ha telefonato a Enrico Terragnoli e a Fabio Nobile ha identificato un giorno buono per tutti per una prova ed è nato il progetto. Certe idee abbisognano di profonda meditazione.

Ci sarà un seguito anche discografico?
Lo speriamo. É un idea in cantiere.
Alceste Ayroldi

 

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