The Dead don’t Dream: Verneri Pohjola

L'ultimo lavoro discografico del trombettista e compositore finlandese, pubblicato dall'Edition Records. Ne parliamo con lui.

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Il titolo del tuo ultimo album sembra evocare ciò che sta succedendo oggi nel mondo a causa della pandemia: «The Dead Don’t Dream». Perché hai scelto questo titolo?
Per me si tratta di abbracciare ciò che abbiamo ora nella nostra vita, ciò che abbiamo  di fronte. Ho capito che questo cliché è parecchio vero. Dobbiamo sfruttare al massimo il nostro tempo qui, fare le cose che dobbiamo fare, sognare i sogni che abbiamo, perché dopo tutto…la morte non sogna!

Comunque, sin dal brano di apertura Monograph si capisce che non è assolutamente un disco affetto da tristezza. Un pezzo che è ottimamente strutturato, dal suono pieno che si ascolta su di un tempo medio, dove solo il tuo iniziale fraseggio alla tromba ha delle venature di malinconia. Cosa ti ha ispirato?
Per quanto riguarda la mia musica, alcune persone la trovano malinconica e io sono davvero d’accordo con loro. Ma per me, in realtà è il contrario. Trovo profonda felicità nel suonare piano e con un tono scuro. Non sono mai stato davvero felice a una festa, ma sono più nella mia zona di comfort nel conversare a lungo con un buon essere umano, una brava persona, sia verbalmente che musicalmente.

A guardare i titoli dei brani, non sembra essere un concept album.
No, non lo è. E’ più che altro il mio modo di vedere la musica in questa fase della mia vita e della mia carriera. Cerco di essere il più onesto possibile nella mia musica. Apprezzo anche la stessa onestà ascoltando gli altri. Ciò che mi chiedo – e vorrei anche anche gli altri si chiedessero è: che tipo di musica vorrei ascoltare in un concerto o in un album. Cosa mi interesserebbe? Cosa mi sorprenderebbe? Cosa mi rilasserebbe?

Con Wilded Brother ci si immerge in sonorità differenti. Fusion arricchita dal tuo assolo bop, così anche l’assolo al sassofono di Pauli Lyytinen; mentre Tuomo Prättälä dispensa frammenti di musica contemporanea. Una composizione complessa. E’ nata spontaneamente, oppure hai lavorato in più riprese?
In realtà è uno di quei brani che ho scritto in un solo giorno. Ho avuto un’idea di un suono molto brillante, con molta energia ma comunque grazioso e semplice. Ho creato prima l’armonia su questa melodia, che non è proprio quella che mi rappresenta di più. Poi, quando ho iniziato a cantare la melodia, ho sentito immediatamente nella mia testa il pianoforte di Pauli che la suonava.

Cover album

Quanto è importante per te l’uso dell’elettronica?
Uno degli aspetti fondamentali, tra gli altri, che hanno ispirato questa musica era il suono elettronico della mia band precedente, quella con cui abbiamo registrato «Pekka». Quel progetto ha funzionato ed è arrivato il momento di andare avanti, ma ho sentito che quella band aveva ancora molto da esprimere, altre sonorità da esplorare. Questa è la stessa band di allora, ma senza la chitarra. Penso che portare i suoni elettronici in un ambiente generalmente più acustico sia stimolante e anche molto interessante. Per me questo album suona tra acustico l’acustico e l’elettronico, in una terra di mezzo.

Probabilmente, i brani che palesano una struttura musicale di tipo scandinavo sono Voices Heard e The Dead Don’t Dream. Ti sei allontanato dalle influenze musicali del tuo paese d’origine?
È molto interessante sentirti dire questo. Su Voices Heard, in realtà, mi sono ispirato a un’armonia di Charles Ives. Ma, ovviamente, cercando di farla mia, di renderla personale. The Dead Don’t Dream per me rappresenta il lato indie rock di me, che deriva dalla mia storia di suonare la batteria in una rock band. Devo dire che è molto difficile per me sottolineare eventuali elementi finlandesi ben distinti nella mia musica. Sono sicuro che ci sono, ma non riesco a vederli da solo.

Vorresti parlarci dei musicisti che ti accompagnano in questo disco?
Lo faccio con piacere. Forse il primo musicista che volevo cooptare per questo album è il batterista Mika Kallio. E’ fondamentale per me poter improvvisare liberamente con Mikka, con il quale abbiamo suonato in duo per circa quindici anni. Con Mikka ho ampliato moltissimo la mia percezione della musica e volevo nel mio album proprio il suono del nostro album «Animal Image». Antti Lötjönen è uno dei miei migliori amici, da molto tempo. Sono cresciuto insieme a lui, sia musicalmente che personalmente. Non smette mai di sorprendermi, quanto sia talentuoso e con quale dedizione approcci alla musica. Un altro musicista musicista di classe mondiale – in ogni modo lo sono tutti – è Tuomo Prättälä: è una mente musicale immensa. È  incredibilmente versatile, ma riesce sempre a essere se stesso. Ha una visione molto olistica della musica e ogni volta che, come compositore, mi trovo di fronte a un muro nella musica, ha sempre buone idee per riprendere l’ispirazione.

Argirro sembra una composizione di musica classica contemporanea con venature di jazz: quasi un moderno Requiem. C’è un compositore di musica classica contemporanea che preferisci?
A me piacciono Charles Ives, Magnus Lindberg, Kaija Saariaho, Eino Juhani Rautavaara e molti altri.

Verneri Pohjola
Foto di Dave Stapleton

Questo è il tuo sesto album ed il quarto che incidi con la casa discografica Edition. Evidentemente, ti trovi parecchio bene. Cosa ha in più l’Edition?
Penso che si tratti principalmente perché è la casa discografica della giusta misura per me. Adoro l’atteggiamento di Dave Stapleton, quanto si dedichi alla musica. E’ fonte  d’ispirazione per il modo in cui crede negli artisti della sua etichetta. L’Edition sta ancora crescendo, contro ogni previsione. Stanno lavorando molto duramente, ma immagino che sia l’unico modo possibile se vuoi avere e gestire, oggigiorno, una casa discografica.

Quanto spazio dedichi all’improvvisazione?
Penso che l’improvvisazione sia il modo più interessante di creare musica. Non la considero una composizione istantanea, ma piuttosto una presenza assoluta con i musicisti e il pubblico. Adoro suonare melodie e canzoni, ma so bene che ottengo molto di più da me stesso quando improvviso. In questo album ho cercato in particolare di tenere le maglie molto aperte anche in studio.

Quanto è cambiata la tua musica dal tuo primo album «Aurora» ad oggi?
A volte mi sembra molto, ma poi ascolto «Aurora» e penso di essere ancora sulla stessa strada. Ma una cosa chiara: mi fido, molto di più, del mio modo di suonare. Sono più felice di presentare il mio modo di suonare come aspetto principale.

Accennavi prima all’interessante lavoro con Mika Kallio, «Animal Image». Ce ne vorresti parlare?
Fui contattato dal famoso fotografo finlandese Perttu Saksa (anche se non lo conoscevo personalmente). Mi raccontò dei suoi ultimi anni di lento lavoro su un film sulla fotografia di animali. Mi disse che aveva un sogno di avere me e questo batterista chiamato Mika Kallio nella colonna sonora del film. Mi chiese se conoscessi Mika e gli dissi che suonavamo in coppia da dieci anni. Abbiamo finito per registrare improvvisazioni vagamente basate sul suo filmato. Quindi, ha effettivamente modificato la musica prima in una colonna sonora di trenta minuti; poi, ha usato le sue riprese in modo molto simile a un video musicale. Penso che Perttu sia brillante e sono grato di averlo incontrato.

Tu sei il figlio di uno dei più famosi compositori scandinavi, Pekka Pohjola. Quanto ha pesato la presenza – e gli insegnamenti – di tuo padre sul tuo modo di concepire la musica?
Mio padre, in realtà, non era molto presente quando ero un bambino. Ho vissuto insieme a mia madre e mio fratello. Anche mia madre era un po’musicista e ascoltava molti album jazz. Ricordo di aver sentito Chick Corea già all’età di cinque anni e di averlo adorato.

Pensi di poterti ritenere soddisfatto dei traguardi raggiunti come artista?
Penso che l’arte non abbia mai fine. Finché vivo, probabilmente, continuerò a fare musica. Questo è il punto assoluto. Ma, ovviamente, ci sono obiettivi che ho raggiunto e di cui sono orgoglioso; così come di cose che non credevo di ottenere. Ma tutto ciò è dovuto al fatto di lavorare solo su ciò che mi si presenta ogni giorno.

C’è un movimento artistico al quale senti di appartenere?
Sarebbe stato molto bello far parte della scena jazz degli anni Sessanta.

A proposito: qual è il tuo background culturale?
Inizialmente sono stato educato come musicista classico, ma principalmente come musicista jazz tradizionale. Dall’inizio, comunque, ho sempre fatto le cose a modo mio, soprattutto dopo la scuola.

Tu fai parte di alcuni gruppi musicali, compreso Silvio una post-rock band dove tu suoni la batteria!
In realtà, Silvio non esiste più purtroppo. Faceva parte della mia giovinezza, ma ho sempre amato suonare la batteria, e lo faccio ancora. Principalmente per il mio divertimento e per migliorare la tecnica. Adoro anche la musica rock.

Quindi, il rock, in particolare quello d’avanguardia, è parte della tua vita artistica.
Senza dubbio! Comunque, amo tutta la buona musica.

Perché hai scelto la tromba?
Devo dirti che è stata una coincidenza. Mi è sempre piaciuto guardare film, ancor più da piccolo. E, manco a farlo apposta, i miei film preferiti contenevano anche tanta buona musica. Ricordo di aver ascoltato la colonna sonora di Indiana Jones suonata dal vivo da una band di ottoni e ho subito pensato: wow, voglio farlo anch’io. E così ho fatto. Sono andato da dei musicisti dopo il concerto e ho chiesto se potevo provare alcuni degli strumenti. Ottenni immediatamente un suono decente dalla tromba, quindi i musicisti dissero che avrei dovuto studiare la tromba e noleggiarne una. E così ho fatto.

Sei nato nella patria di Sibelius. A tuo parere qual è stato il contributo di questo grande compositore nella formazione dell’attuale scena musicale finlandese?
Jean Sibelius è un compositore molto importante per l’intera nazione finlandese. Penso che il suo contributo alla musica finlandese sia il nulla osta alla creatività, ma anche all’eleganza e gentilezza nella musica.

La Finlandia, per molti musicisti italiani, è vista come la terra dove un musicista è trattato alla pari di un lavoratore. Cosa che non sempre in Italia accade. E’ proprio vero che il sistema musicale finlandese funziona così bene?
In parte sì, ma ci sono anche molti problemi. Ma da quel poco che conosco sulla posizione dei musicisti italiani nella società, penso che in Finlandia le cose vadano meglio. Puoi davvero vivere facendo arte.

A parte te, quali musicisti finlandesi ci raccomanderesti di ascoltare?
Bene, in primis tutti i membri della mia band: tutti hanno pubblicato musica interessante a proprio nome. Poi Ville Herrala, Mikko Innanen, Mopo, Pauli Lyytinen, Adele Sauros, Jukka Eskola, Timo Lassy, Teppo Mäkynen, Olavi Louhivuori.

Quali sono i tuoi progetti futuri?
In questo momento penso di dover semplicemente adattarmi a questa situazione assurda dovuta alla pandemia. Poi, mi sto preparando per il lancio dell’album, ma sicuramente farò più musica. E, poi, suonare la tromba.
Alceste Ayroldi

Intervista pubblicata su Musica Jazz di giugno 2020