Le più belle canzoni del Festival di Sanremo. Intervista a Vanessa Tagliabue Yorke

Le più belle canzoni del Festival di Sanremo. Intervista a Vanessa Tagliabue Yorke

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Vanessa Tagliabue Yorke © Roberto Cifarelli

 

Foto di Roberto Cifarelli

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Vanessa, vorresti dirci come nasce questo progetto sulle più belle canzoni di Sanremo?
Questo progetto è nato nel febbraio 2022 quando la Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo, nelle persone di Chicca Dedali (vicepresidente della Fondazione) e Filippo Biolè (presidente in carica) mi espressero il loro desiderio di collaborare dedicandomi uno spettacolo assolutamente inedito con arrangiamenti scritti appositamente per me (da Walter Sivilotti) per portarmi di nuovo sul palco con la storica Orchestra Sinfonica di Sanremo. Le mie precedenti esperienze con questa realtà musicale si collocano all’interno delle ultime edizioni del Premio Tenco di Sanremo curate da Enrico de Angelis, in particolare quella del 2015 con l’orchestra diretta e arrangiata da Vince Tempera che è stata la mia prima volta come solista in orchestra, con una spettacolare formazione al completo sul palco Ariston dove ho cantato tre canzoni di Francesco Guccini tra le quali il suo memorabile Cyrano, ne è scaturito il disco «Tra la via Aurelia e il west» edizioni Alabianca. Io e Chicca Dedali ci siamo conosciute così, tra le strade acciottolate del quartiere medievale della Pigna e il palco dell’Ariston.

Perché proprio le canzoni di Sanremo e non, per esempio, le più belle della canzone italiana?
Il progetto e il desiderio della Fondazione Orchestra Sinfonica di Sanremo è nato esattamente così, tassativamente connesso con l’idea di ritrovare una connessione estetica con quanto di meraviglioso e di dimenticato ci fosse nel vastissimo repertorio delle canzoni che dall’alba dei tempi hanno gareggiato sul palco dell’Ariston. Si sono rivolti a me dicendomi che oltre a vedere in me una interprete autorevole sapevano di poter contare sulla mia insopprimibile tendenza naturale alla ricerca e all’approfondimento, e che erano convinti avrei saputo scovare le canzoni giuste per sottolineare quelle che sono state le espressioni più intense e nobili della composizione italiana nella forma canzone. È un gesto davvero ammirevole, se pensiamo a questa orchestra e alla sua dimensione pubblica, così connessa con la manifestazione che è il festival di Sanremo. È un modo di riflettere sulla propria identità e sulle potenzialità, aprendo una domanda di significato, che mette in discussione con grande eleganza quelle che sono le tendenze di oggi.

A tal proposito, secondo te i due concetti coincidono? Mi spiego: belle canzoni e canzoni sanremesi sono due concetti che vanno di pari passo?
Questi due concetti possono andare di pari passo oppure allontanarsi diametralmente. Esistono entrambe le possibilità come anche notevoli sfumature intermedie. Io mi sono focalizzata sulla parte che è di mio gusto, ovvero la possibilità che sul palco di Sanremo venissero espressi momenti di grande arte. Scrivere una canzone è un’arte antica, non dobbiamo vergognarci di frequentare il mondo della forma musicale popolare tantomeno quello della parola, anche il jazz nasce da forme cantate. John Coltrane quando suona Psalm legge con il suo sassofono delle parole: la preghiera che egli stesso aveva scritto sulla carta e alle cui sillabe ogni nota può essere ricondotta nell’ascolto del suo fraseggio. La parola è un oggetto musicale potentissimo e nobile, attraverso la parola noi formiamo il mondo ed evochiamo qualunque sistema di relazione, infondendo attraverso il canto le più profonde e stratificate emozioni del vissuto umano. Oum Kalthoum sapeva ricollocare la parola del poeta in una dimensione umana che rapiva l’ascoltatore per poi proiettarlo oltre la dimensione tangibile, verso quella mistica. Ci sono autori di spessore che hanno provato a portare a Sanremo un piccolo seme, noi vogliamo annaffiarlo e propagarlo.

Vanessa Tagliabue Yorke © Roberto Cifarelli

Quali criteri hai utilizzato per selezionare i brani?
Mentirei se dicessi che ho usato dei criteri scientifici e riconducibili ad una regola. Ho usato il mio gusto e la mia personale cultura musicale, non ultimo il mio cuore e la mia voglia di cantare certe parole o certi suoni. Ho scelto in base alla presenza di elementi di mio interesse quali la struttura armonica e melodica, la ricchezza poetica dei testi. Una guida essenziale è stata per me la consulenza di Enrico de Angelis, che nella mia storia rappresenta il primo, vero incontro con la musica italiana d’autore, senza di lui avrei omaggio alle personalità che non bisogna dimenticare siano transitate a Sanremo, trovo significativa la presenza di Piero Ciampi o di Umberto Bindi, Sanremo è stato anche luogo di incontro tra menti poderose della musica Italiana, prima di essere un crogiolo di personaggi in cerca d’autore.

Ho notato che non sono presenti successi sanremesi del Terzo Millennio. Causalità o casualità?
In realtà c’è uno stupendo brano del 2014 scritto da Renzo Rubino che mi ha emozionato subito appena l’ho ascoltato. È una composizione molto coraggiosa perché la melodia contiene degli intervalli e degli arpeggi che si farebbe fatica a ripetere in modo meccanico e reattivo, ma che la rendono molto conturbante. Quella della ripetibilità ad adesione reattiva compulsiva è una caratteristica tristemente prediletta dal sistema della commerciabilità. Questo brano di Rubino oltre al carattere musicalmente fine ha anche un testo romantico, in senso poetico, cioè colloca la narrazione in una dimensione di infinito Per sempre e ne identifica un ironico limite di cui, si dice, ci si accontenta e poi basta. È moderno perché alterna momenti cantabili a tratti colloquiali e visivamente riesce subito a evocare un racconto definito e immersivo: “Un quarto alle tre, c’è una mosca sulla lampada a led, gli occhi vogliono andarsene”. Vedi immediatamente il gialloverde di questo muro, con la lampada a led su cui c’è la mosca, che è l’unico altro essere vivente a parte te che lo stai guardando, nella notte alta perché tu ancora non dormi, vorresti smettere di guardare, ma non riesci perché sei frastornato da pensieri e ricordi. Questo modo stravagante di utilizzare dettagli dell’ambiente per raccontare la dimensione interiore è una delle tecniche di scrittura che più mi affascinano e che ritroviamo talvolta nelle pagine di grandi cantautori e di poeti.

Vorresti parlarci dei musicisti che ti accompagnano in questo viaggio musicale?
Oltre all’Orchestra Sinfonica di Sanremo al completo, con me sul palco ci saranno Paolo Birro al pianoforte, Giulio Corini al contrabbasso e Paolo Mappa alla batteria. Sono musicisti eleganti e di grande spessore. Con Mappa e Corini suoniamo insieme da anni frequentando il mondo della canzone, come accade ad esempio nei progetti di Mauro Ottolini, ultima avventura recente il disco «Il Mangiadischi» dove io interpreto alcune funamboliche pagine tratte dal repertorio di Yma Sumac, Caterinetta Lescano, Maria Teresa Vera con una mia versione di Brava, di Bruno Canfora che dal vivo diventa Cattiva di Vanessa Tagliabue Yorke, con un mio testo originale personalizzato! Sia Paolo Mappa che Giulio Corini pur essendo profondamente jazz frequentano anche generi musicali diversi, senza considerarli antitetici e questo è fondamentale specialmente in un lavoro come quello che stiamo per fare. Paolo Birro oltre ad avere avuto un ruolo di spicco in tutti i miei dischi più importanti degli ultimi anni, è mio partner nel nostro nuovo disco in duo «The Princess Theatre» (con la partecipazione straordinaria di Fabrizio Bosso) un lavoro intimista e impressionista, ricco di standard e di brani originali miei, tra i quali ce n’è anche uno scritto insieme. Il nostro sodalizio poggia su una profonda affinità estetica, una grande stima e una completa libertà. Paolo è un meraviglioso pianista di jazz, ha una eleganza unica, è sempre intenso ed ha una grande inventiva. Ho infatti voluto fin dal principio che suonasse con me anche un brano in duo in questo concerto Sanremese, ci sarà infatti una nostra rilettura di una canzone stupenda di Carlo Alberto Rossi, a metà concerto.

Vanessa Tagliabue Yorke © Roberto Cifarelli

Pensi che questa idea possa diventare anche un progetto discografico?
So che il concerto verrà registrato e l’intenzione è di trasformarlo in un vinile! Sposo vivamente questa idea, ma il titolo che la Fondazione ha scelto è inadeguato a descrivere un disco solamente, perché le più belle canzoni di Sanremo sono molte più che dodici o tredici… quindi considero che se non cambiamo titolo, questo potrebbe preludere quantomeno ad una serie di dischi, così da sviluppare il tema ulteriormente, includendo quella fantastica quantità di brani che ho dovuto decurtare per confezionare un concerto di durata congrua.

E potrà svilupparsi anche in una seconda edizione?
Questa è una domanda da fare alla Fondazione!

C’è un brano che ti ha fatto tribolare nella scelta?
Ho fatto molta fatica nella selezione quando mi sono resa conto di come fosse importante includere nel programma alcuni brani che ricordano la presenza delle più grandi voci italiane, artisti che hanno portato a Sanremo alcune perle meravigliose con interpretazioni tecnicamente eccellenti. Sono moltissimi gli esempi e ho dovuto fare una scelta sintetica. Va spiegato che il festival di Sanremo nei primi anni Cinquanta era “festival della Canzone” e si avvicendavano soltanto due o tre cantanti per presentare tutte le canzoni in gara. Nel corso del tempo è cambiato fino a raggiungere la dimensione extramusicale che ha espresso recentemente, in cui succedono molte cose che esulano dall’interesse musicale, o lo incrinano. Per un momento, però, fu anche il festival delle grandi voci: voci finemente educate e ineguagliabili, piene di pathos, sapienti e tecnicamente ineccepibili o autenticamente naturali e piene di struggimento poetico, con il cuore in mano su qual palco. Difficile scegliere quale brano (tra tanti bellissimi) usare per rendere giustizia a questi miracoli interpretativi, però qualunque fosse stata la mia scelta sapevo che essa faceva parte del messaggio: si deve tornare a questo livello di bellezza non ci si può più accontentare di modalità interpretative nelle quali si parla durante la strofa e si urla nel ritornello.

Vanessa Tagliabue Yorke © Roberto Cifarelli

Come si inserisce questo progetto nella tua visione/carriera artistica?
Suppongo che questo progetto si sia inserito in modo arbitrario ed epifanico, come se si fosse preparato per anni e anni nel subconscio del vento e questo vento, oggi, lo avesse portato qui. Ho dovuto imparare a guardare in faccia le mie origini, scoprendo che tra le radici e le alterazioni disponibili della mia identità ci fosse a pieno titolo anche la possibilità, la capacità ed infine l’occasione di cantare nella mia lingua alle persone del mio paese. È una interessante scoperta per me, un lato della mia identità che non conoscevo. Non so che cosa potrebbe diventare, anche niente oppure una seria consuetudine, una direzione, non si sa, vedremo. Fino all’anno scorso cantavo il jazz in inglese americano, cantavo in arabo, finlandese, vietnamita, giapponese, francese, portoghese, spagnolo, svedese e russo. Adesso a quanto pare la versione italiana di Vanessa sta guadagnando uno spazio di rilievo che non era stato preventivato.

Qual è la voce sanremese alla quale avresti voluto rubare qualcosa?
Neanche una, ci ho impiegato così tanto tempo a trovare un suono che fosse il mio, tutta la storia del jazz è storia di persone che lottano per la loro identità negata, calpestata, minacciata o vilipesa, discriminata… Quando tra il 1807 e il 1808 la tratta degli schiavi fu abolita e poi permessa solo come commercio interno, i proprietari terrieri cominciarono a intuire che possedere dei neonati africani destinati a diventare schiavi adolescenti fosse la nuova frontiera dell’accumulo di ricchezza. Immaginate un individuo che nasce da genitori sfruttati in questo senso, e che oltre a non avere rapporto con il paese d’origine non ha più nemmeno una dimensione familiare. Suppongo sia da questa necessità di autoaffermazione e di ricostruzione del singolo come parte di una dimensione sociale che è nata quella che io chiamo Società Elettiva del Jazz, costellata di Mama e di Papa, di King e di Lady, di Prez (President) e di Empress, Queen e Lord. Io amo questa storia, credo in questa storia, per me il suono della mia voce è l’identità solo mia con difetti e pregi solo miei che ho creato con la fatica e con la visione, con l’esperienza e la ricerca, con l’amore e con le contaminazioni tra me e tutti gli altri artisti. La mia è la voce risorta di una ragazzina adolescente vittima di bullismo che oggi è diventata Principessa.

Cosa è scritto nellagenda di Vanessa Tagliabue Yorke?
Ci sono cose bellissime nella mia agenda. Quest’anno alcune persone straordinarie mi hanno dedicato spazio, risorse, tempo, immaginazione e hanno permesso che il mio lavoro fiorisse. Con grande affetto io ringrazio la Fondazione orchestra sinfonica di Sanremo per questa idea di cui abbiamo raccontato. Ringrazio Azzurra Music per avere creduto nel nostro recente  «The Princess Theatre» in cui io e Paolo ci esprimiamo in grande libertà e che presenteremo nei concerti che abbiamo in programma questa estate. E.. sulla mia agenda c’è un evento straordinario per il quale egualmente mi sto preparando con dedizione e cura da mesi che è stato sostenuto dal Teatro Verdi di Pordenone, una realtà intellettualmente e creativamente all’avanguardia, organizzato sotto la direzione artistica di Francesco Bearzatti, che ringrazio di cuore. È una rassegna dedicata alla new wave del jazz europeo che si chiama Open Jazz. Avrò la possibilità finalmente di portare sul palco del Teatro Verdi tutta la mia Yorkestra al completo, quella del disco «Diverso, Lontano, Incomprensibile» (Ed. Artesuono 2020): Vanessa (voce, arrangiamenti e composizioni originali), Paolo Birro (piano), Francesco Bearzatti (clarinetto e sax), Michele Rabbia (elettronica e drums), Enrico Terragnoli (banjo e guitar), Emanuele Parrini (violino), Paolo Botti (viola), Salvatore Maiore (Cello) e Giovanni Maier (contrabbasso).
Alceste Ayroldi