Buongiorno Valentina, benvenuta a Musica Jazz. Parliamo subito del tuo ultimo lavoro discografico «Seta». Un disco che racchiude tante piccole sorprese: dall’omaggio a Debussy, passando per Stefano Benni. Cosa racconta questo album?
Seta rappresenta l’esigenza di trovare un angolo sicuro, un momento di dolcezza, una cornice di gentilezza in un contesto spesso violento e disincantato. Seta vuole essere una carezza, un quadro impressionista, un paesaggio sognante con sonorità leggere, sfumate, trasparenti. Seta vuole essere il recupero di alcuni momenti in cui ho sperimentato l’incanto, come quando ho ascoltato Étude pour les arpèges composés n 11 di Debussy, come quando ho visto le grandiose Ninfee di Monet al Musée de l’Orangerie, come quando ho sentito la storia di Billie Holiday attraversarmi la pelle. Allo stesso modo Seta può anche essere inteso come un nuovo, piccolo momento di brivido, un brivido che provo a raccontare attraverso alcune delle mie cose preferite. Ogni brano che compone il disco parte da qualche esperienza assolutamente autobiografica, perché spesso mi sembra di vivere come in una sceneggiatura cinematografica. A volte però, alla fine dei miei brani, mi riservo di decidere il finale, il come vorrei che andasse.
Perché hai voluto che il titolo dell’intera opera fosse il brano Seta?
Il brano Seta è stato l’ultimo che ho scritto. È quello più spontaneo, quello nato in meno di 10 minuti, quello che mi ha fatto vedere le fil rouge tra tutto quello che avevo composto prima. L’oggi con cui parte ogni strofa è ogni nuovo giorno in cui possiamo decidere chi essere. Una Seta che non è stasi, ma è azione verso se stessi e verso il mondo. Un invito a fare piuttosto che a tirarsi indietro, una riflessione operativa e dinamica.
Quali sono state le fasi attraverso le quali sei passata per arrivare a questo progetto musicale?
La fase primordiale è stata un sentimento di esplosione personale: c’erano tante piccole storie di seta che morivo dalla voglia di raccontare. Il complice per eccellenza è stato il mio pianoforte. Mi aiuta a comporre e ad avere una visione a 360 gradi della costruzione di ogni singola canzone. Poi ho sottoposto un primo ascolto a Simone, mio marito, il mio più grande critico. Solo dopo aver visto lo scintillio di felicità e approvazione nei suoi occhi, ho poi fatto ascoltare il pezzo al mio quartetto e a partire da quel momento abbiamo lavorato sul sound, sulla continuità sonora e filologica dell’intero prodotto. Poi, una volta convinti, siamo andati in sala e abbiamo lavorato su quasi tutti i pezzi, one mic one shot. Infine, io ed Enrico Moccia (Emme Produzioni Musicali) ci siamo reciprocamente cercati. Sono veramente felice di aver potuto pubblicare e iniziare una collaborazione insieme a lui.
Privilegi la forma della ballad. I ritmi sono soffusi, ovattati. Era la tua idea primigenia?
Beh, non è sempre vero. In questo caso è andata così. Più nascevano i brani e più l’idea del concept Seta si delineava. Ho voluto raccontare le mie storie con una voce soffiata, delicata, agile, sfumata come in un quadro di Monet.
Quali sono i brani che recano la tua firma come compositrice?
Quasi tutti. Welcome to the Day One è un brano di benvenuto a ogni nuova avventura, a ogni esperienza, a ogni luogo fisico o mentale in cui possiamo capitare. Ed è anche un augurio per me, in questo mio nuovo inizio da cantante, autrice, compositrice. Seta è l’intimità dei miei pensieri. Chocolate and Coconut è un riepilogo degli aggettivi simpatici con cui sono stata definita e che oggi sento di potermi rispecchiare, perché è vero, sono caotica, disordinata, a volte un po’ pigra, romantica e anche golosa… Valzer delle ombre è un brano che trovo pieno di fascino. È una composizione originale di Simone Sannino, mio marito, che ho ascoltato per la prima volta nella forma del valzer, sul divano di casa. Ne sono stata rapita. Il testo è nato quasi immediatamente e credo porti con sé il significato più profondo dell’intero disco. Kings and Queen, anche in questo caso sono autrice del testo ma non della musica che è di un pianista e compositore armeno di cui ammiro tanto la matrice bachiana. Pensieri sparsi è esattamente quello che dice di essere, cioè una raccolta di pensieri, sparsi tra i miei mille quaderni e raccolte di racconti, storie e fantasie. Lady’s gonna Sing the Blues, testo e musica originali, è dedicato a Billie Holiday e liberamente ispirato alla poesia di Stefano Benni. Few Words (go to hell) è stata una specie di gioco, basato su due idee principali: la prima, che dopo tante parole (mi piace molto chiacchierare), a volte dei concetti importanti possono essere espressi con poche sillabe. La seconda, che dopo tanta dolcezza, a volte nella vita ho sentito anche il sano bisogno di mandare qualcuno a quel paese. Con educazione, ma a quel paese! Prendiamoci un caffè, testo mio, musica del mio amico di sempre e geniale pianista, Francesco Marziani.
Vorresti parlarci dei tuoi compagni di viaggio musicali in questo disco?
I miei compagni di viaggio sono: Francesco Marziani, pianista e compositore, vincitore del premio Massimo Urbani nel 2008, incide con Shawnn Monteiro, con Massimo Manzi e Massimo Moriconi. Collabora con artisti come Jesse Davis, Gerald Cannon, Bobby Dhuram, Jimmy Cobb. È oggi tra i più affermati pianisti e romantico compositore della scena nazionale. Antonio Napolitano: vincitore del 1° premio Jimmy Woode, del concorso Chicco Bettinardi – Nuovi talenti del jazz italiano e del premio Moncalieri Jazz, collabora con artisti quali Lauren Henderson, Jesse Davis, David Kikoski, Bobby Watson, Joyce Elaine Yuille, Celia Kameni, Joy Garrison, Nicole Zuriatis. Max Del Pezzo: suona e incide con musicisti di fama mondiale tra cui Greg Cohen, Mark Sherman, Emanuele Cisi, Nico Gori, Gabriele Mirabassi, Dario Deidda, Giovanni Amato, Massimo Moriconi.
Quale standard avresti aggiunto alla tracklist?
Domanda difficile… Se parliamo di standard che credo possano essere il linea con il profilo di Seta nonché nella mia top list, potrei dire Save your Love for me, Love Dance, Everything Happens to me. Altri che mi piace cantare e che spero di poter inserire in un prossimo lavoro sono My Romance, Orange Colored Sky e Budo.
Parliamo ora di Valentina Ranalli. Qual è stato il tuo percorso culturale?
Sono made in Naples e sono sempre stata estremamente curiosa. Ho iniziato a studiare pianoforte a 6 anni e poi il canto che, nelle sue più diverse forme (prima canto lirico, pop, gospel, jazz), non ho mai lasciato. Ricordo ancora la domanda di mio padre, verso i miei 10 anni, che mi dice: “Scegli, o la ginnastica artistica o il canto.” La mia risposta si può facilmente immaginare. Nel frattempo, dopo il liceo linguistico ho studiato Cultura e amministrazione dei beni culturali, poi ho deciso di intraprendere un percorso triennale di musicoterapia. Contemporaneamente ho frequentato una scuola di musical per cinque anni e infine ho deciso di iniziare il conservatorio. Quindi mi sono diplomata in canto jazz prima al conservatorio di La Spezia e poi in musica jazz al conservatorio di Santa Cecilia. Credo di aver imparato molto sul campo, parlo bene l’inglese perché ho vissuto per un periodo in California, che è stata ragione di grande crescita musicale. La costante di tutta questa strada è stata la musica.
Quali ritieni essere i punti di forza della tua personalità artistica e quali quelli più deboli?
A oggi mi sento e tecnicamente solida, emotivamente pronta, e mentalmente aperta e agile. Certo, ogni concerto è un mondo a sé e l’approccio psicofisico è sempre un po’ diverso, ma posso dirti per certo che in ogni concerto sono felice. Quello che mi viene detto spesso è che sono anche una simpatica intrattenitrice e narratrice. Spesso il punto di forza è anche il punto di debolezza perché la grande carica emotiva e l’entusiasmo che investo in ogni mio lavoro, in ogni singola nota, è anche ragione di profonda crisi con me stessa, di continui conflitti e punti interrogativi, di attenta analisi. La stessa emotività rimbalza come un proiettile quando, inevitabilmente, trovo ostacoli e barriere durante il percorso.
La collaborazione con Enrico Pieranunzi ha influenzato la tua visione artistica?
Enrico Pieranunzi è una gioia, un mentore, un’ispirazione, un amico. Lavorare con lui mi dà ogni volta nuova ninfa e nuova energia, nuove partenze e nuovi orizzonti. La mia visione musicale è più ampia ma allo stesso tempo più definita. Conosco molto meglio la cantante che sono e che voglio essere. Forte del percorso fatto, felice di chi sono diventata e curiosa di scoprire le future evoluzioni. Enrico Pieranunzi, tra le varie cose, mi fa capire l’importanza della curiosità, della scoperta, dell’evoluzione. Cantare la sua musica è un’altalena di emozioni e un’impresa tecnica. Enrico è il mio anno zero musicale, esiste un prima e un dopo l’incontro con lui.
Da «Oversea» del 2017 a oggi, quanto è cambiata la tua tecnica vocale?
Sono sempre stata appassionatissima di tecnica vocale, mi piace pensare di conoscere il mio strumento, la sua meccanica, le sue potenzialità, le sue infinite sfumature. Probabilmente molte ancora non le conosco e non le ho esplorate. So che, se sono stata per lungo tempo una interprete come in Oversea, ho sperimentato la mia prima fase creativa fuori dal mio privato con le lyrics di Cantare Pieranunzi. Enrico mi ha dato lo slancio e ha sganciato la fiducia e il bisogno di dedicare uno spazio anche alla composizione. Sono certa che l’apertura mentale degli ultimi anni abbia dato una solidità anche alla parte tecnica ma soprattutto credo che ci sia stata una svolta dal punto di vista del linguaggio, del modo di stare sul tempo, della libertà interpretativa.”
Quali sono i tuoi obiettivi come artista?
L’esigenza primaria è quella di esserci. Vorrei essermi guadagnata la possibilità di lavorare serenamente nei migliori contesti. Tra i miei obiettivi c’è senza dubbio quello di calcare palchi e club importanti. Voglio mantenere accesa la mia collaborazione con Enrico Pieranunzi, consolidare la musica con il mio quartetto ed essere pronta a tutto quello che verrà.
Invece, quali sono i tuoi progetti futuri?
Intanto, c’è un nuovo lavoro in elaborazione con Enrico Pieranunzi di cui non vedo l’ora di raccontare. Sono in piena attività creativa e vorrei chiudere questa intervista, di cui ti ringrazio di tutto cuore, con un estratto dalle riflessioni filosofiche e umanistiche di Louis de Broglie: “Ogni nuova scoperta ci apre nuovi orizzonti e contemplandoli noi siamo presi da nuovi stupori e da una rinnovata curiosità. E, poiché l’ignoto si estende sempre all’infinito davanti a noi, nulla sembra poter interrompere questa successione continua di progressi e curiosità…”.
Alceste Ayroldi