«Iridescent». Intervista ai TriApology

Nuovo lavoro discografico per il trio formato da Vincenzo Saetta, Giovanni Francesca ed Ernestro Bolognini. Ne parliamo con loro.

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Chi è l’artefice dell’idea di Triapology e come è nata?
V.S.  L’idea del nome è stata mia, eravamo un trio senza basso e questo strumento è sempre stato un perno fondamentale nella storia delle formazioni moderne, sia nell’ambito jazz che rock. Ma ad un certo punto c’era un bisogno ed una voglia di sperimentare, di trovare un altro tipo di sound che riuscisse ad essere valido ed alternativo. Apologia a difesa del trio senza basso. TriApology.

Perché un trio e non altro tipo di formazione?
E.B. Ci siamo ritrovati in tre, con le stesse esigenze e stesse sensazioni, di conseguenza abbiamo formato un trio, se fossimo stati in quattro forse sarebbe stato un quartetto, chissà. Non abbiamo “costruito” un gruppo in base al progetto musicale, è stato tutto molto naturale e casuale. Abbiamo seguito il flusso del momento…

« Rockinnerage» è il primo capitolo al quale è seguito «Iridescent». La prima domanda è: perché dare una nuova veste a dei brani immarcescibili del rock?
V.S. Non è una cosa mai facile e scontata reinterpretare un brano di altri, soprattutto quando si tratta di capolavori della musica rock – pop come in questo caso. Le mie origini sono rockettare, sono cresciuto con la musica di David Bowie, Lou Reed, Led Zeppelin, etc. etc. Sicuramente il tributo va a loro e alla loro meravigliosa musica con l’intento anche di dare un messaggio alle nuove generazioni che iniziano a dimenticare chi erano i Beatles!. Il concetto di dare una nuova veste non è diverso dal jazzista che rielabora una canzone “standard” della tradizione popolare americana degli anni Quaranta. Credo che ormai la musica sia una sola non importa come si chiami il brano, la differenza sta nel linguaggio sonoro, il Sound è quello che conta. E poi i grandi maestri come Miles Davis, Herbie Hancock, Brad Mehldau, Joshua Redman e molti altri, lo hanno fatto molto prima di noi denominandoli New Standards.

C’è un criterio nella scelta dei brani?
E.B. Il criterio è legato esclusivamente all’ascolto musicale passato e presente di ognuno di noi, la scelta di ogni brano ci riconduce ad un ricordo personale, ad un posto o ad un momento particolare della nostra vita.

Immagino che sappiate che molti “puristi” del jazz storceranno il naso di fronte a dei brani rock… Avete già pronte le risposte da dare?
G.F. Impossibile avere le risposte già pronte per un atteggiamento, quello dei puristi, che continua a sorprendere e a lasciare senza parole. Penso di poter parlare a nome di tutti e tre se dico che, con la nostra musica, facciamo un piccolo tentativo di abbattere i muri della discriminazione e dell’appartenenza a filoni precostituiti e chiusi. Nel modo si combattono ogni giorno guerre per contrastare gli estremismi, le lobby, le discriminazioni sessuali e razziali. Penso che questi concetti possano essere applicati anche alla musica con il risultato di ottenere nuovi approcci e quindi risultati inaspettati. Lo sforzo più grande che faccio quotidianamente è quello di sentirmi me stesso, prima ancora di essere un jazzista, un rockettaro o un suonatore di liuto.

La vostra formazione è sassofoni, chitarre e batteria, che è piuttosto inconsueta. E’ una scelta maturata per caso o volutamente?
All’inizio ci mancava il bassista… Ma niente è per caso o forse lo è stato e quindi partendo da questa circostanza è nato un sound diverso e devo dire ormai molto attuale. Oggi sono nate diverse formazioni così quindi credo non sia più inconsueta e forse è proprio l’assenza del basso che libera e tiene in tensione nello stesso tempo il concetto del trio. Poi l’uso degli effetti ha arricchito il tutto facendo fluire i suoni più liberamente.

Ora, è il caso di passare alle presentazioni: chi è Vincenzo Saetta, chi è Giovanni Francesca e chi è Ernesto Bolognini?
La maggior parte delle volte è più facile dire chi non siamo…dei musicisti ecumenici in ricerca, speriamo possa bastare.

Chi è il più “rockettaro” di tutti e tre?
G.F. Onestamente, penso di essere io. Ora Vincenzo si arrabbierà, perché anche lui ha un animo rockettaro e riconoscibile, ma io ne ho suonato veramente tanto mentre lui volava già tra scale be-bop e standard jazz. Sono arrivato al jazz abbastanza tardi e incuriosito soprattutto dall’arte dell’improvvisazione più che dal linguaggio in sé e dai caratteri estetici. Naturalmente, non c’è niente di lodevole in tutto questo…la migliore attitudine è essere rockettari o jazzisti al momento opportuno. Penso che in questo TriApology si sforzi di cercare una sua dimensione.

A proposito di «Iridescent», perché questo titolo?
V.S., E.B., G.F. Come ogni lavoro si arriva sempre lì… Che nome dare, che significato e perché. Iridescent in questo caso rispecchia il nostro Sound, i nostri animi e le nostre personalità sia musicali che umane, un ventaglio di tonalità che viste da angolazioni diverse assumono colori differenti, come il riflesso di piume di uccelli il nostro sound cerca di liberare sfumature  diverse, libere da qualsiasi schema.

L’edizione digitale dell’album è invece doppia. Perché questa scelta?
V.S. In questo caso la scelta è stata discografica, La Tŭk Music ha voluto collegare i due lavori inserendo «Ubik»  come se fosse una copia omaggio da regalare all’ascoltatore.

Troviamo nella versione digitale un vecchio progetto di Vincenzo Saetta, Ubik. Qual è il nesso con TriApology?
V.S. Chiesi a Paolo Fresu un po’ di tempo fa se poteva distribuire «Ubik» in digitale poiché questo lavoro non era mai uscito in digitale e ci tenevo, essendo il mio primo lavoro discografico. La Tŭk Music è sempre attenta alle esigenze dei musicisti con cui collabora e quindi è stato scelto  di unire i due dischi per il digitale.

Invece, la versione su cd vede anche una bella copertina realizzata da Cinta Vidal. Ce ne vorreste parlare?
V.S. La Tŭk Music è molto attenta all’immagine dei suoi lavori discografici, i quadri, disegni scelti, sono delle bellissime opere d’arte che arricchiscono inevitabilmente il valore sia estetico del CD sia quello musicale. Paolo ha scelto in questo caso un’opera di Cinta Vidal, street artist e illustratrice spagnola con sede a Barcellona conosciuta per i suoi progetti fluttuanti opere complesse che sfidano la gravità come nel caso della copertina di “Iridescent” molto suggestiva con quattro prospettive diverse. Un artista straordinaria che con la  sua opera ha abbellito questo CD.

Quindi, cd e digitale. Non avete pensato al vinile?
V.S. Il vinile è un oggetto di culto che per quanto possa essere diffuso (io compro vinili e li ascolto) non è facile stamparli i costi di produzione sono molto alti, ma sicuramente per me rimane sempre più affascinante del CD. Mi auguro che per il prossimo lavoro si possa realizzare.

Ci sarà la possibilità di vedere TriApology dal vivo?
V.S., E.B., G.F. Sicuramente, in questo momento alcune date sono saltate per via di questa situazione che ha messo il mondo sotto sopra. Speriamo di ritornare a suonare in primavera.

Dopo questo secondo disco, cos’altro bolle in pentola?
V.S. Si vedrà. Sicuramente ci sarà un’altra sfida e si volterà pagina: brani originali, senza dubbio.
Alceste Ayroldi