Intervista a Tamara Obrovac: seconda parte

Si articola in due puntate questo viaggio nella musica e nella vita della cantante di Pola. Di seguito la seconda parte dell'intervista.

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Tamara Obrovac - snimila : Mare Milin

Mi piace moltissimo la frase che apre la tua biografia sul tuo sito web tamaraobrovac.com: Jazz is my freedom and my roots are my inner truth. Cosa spiega di te questa frase?
Grazie, ne sono felice, cercherò di fare chiarezza richiamandomi alla spiegazione che accompagna uno dei primi cd; sin dall’inizio della mia vita artistica ho cercato di dare seguito alla mia inclinazione a comporre nella ricerca sia di un mio segno distintivo sia di ciò che consideravo la mia originalità, in un processo di articolazione della mia verità interiore. Verità e fondamento le ho trovate nell’appartenenza all’Istria, nella melodiosità della parola e della musica, che ho unito nelle armonie, nei ritmi e nella libertà di improvvisazione tipiche del jazz contemporaneo. Nelle interviste confesso spesso di esssermi accorta, ad un certo punto, di non essere americana ma istriana e che il fatto di cantare nel mio dialetto apre potenzialità emotive e metafisiche completamente diverse rispetto al cantare in inglese.

Dal punto di vista musicale, invece, quali sono gli idiomi che fanno parte del tuo codice genetico?
Presumo che l’appartenenza a una certa regione, ce lo dice la genetica, includa anche la tradizione musicale. La musica popolare istriana è arcaica, non temperata e basata su doppie voci e intervalli stretti, eseguita da voci o sopele, ed è inclusa nella lista UNESCO del patrimonio mondiale immateriale in Europa. Vela e mala sopela sono strumenti simili agli zurli, i predecessori dell’odierno oboe. A giudicare dalla mia reazione – cioè mi vengono i brividi quando ascolto questo tipo di musica popolare in cui sono presenti intervalli stretti (che in Croazia, oltre che in Istria e Quarnero, sono presenti in Lika e nella Zagorje dalmato) sarebbe una sorta di mio linguaggio musicale tramandato geneticamente. Ho anche i brividi quando ascolto la lingua albanese anche se non la capisco, il che se c’è una memoria genetica forse si spiega con il fatto storico che gli albanesi sono discendenti etnogenetici degli Illiri, cioè della tribù degli Histri, una dei primi abitanti dell’Istria.

Tamara Obrovac Quartet

Si diceva che hai diversi progetti con diversi musicisti. Quali sono le caratteristiche che devi vedere in un musicista affinché tu decida di collaborare con lei o lui?
I musicisti con i quali collaboro sono estremamente talentuosi e originali nella loro espressione musicale, e per me è particolarmente importante che possano sentire l’essenza della composizione e migliorarla con le loro performance, quindi questi sono musicisti che non usano un virtuosismo fine a se stesso, ma al servizio della musica.
Oltre all’emotività dell’esecuzione di ogni musicista, per me è estremamente importante l’ascolto reciproco e la creazione istantanea, l’essenza di ogni esibizione, che poi crea un insieme, la cosiddetta “chimica” che si crea tra noi sul palco e si trasmette al pubblico. Ciò è particolarmente presente nell’ensemble Transhistria, un ensemble che suona insieme da più di vent’anni e ha creato delle sonorità particolari, ed una connessione quasi telepatica tra i musicisti. Dopo uno dei nostri concerti una ballerina del teatro nazionale croato mi ha detto: “canti come se fosse l’ultima cosa che farai” che descrive molto bene ciò che accade nelle nostre esibizioni, donare e appartenere quindi alla musica senza riserve attraverso la comunicazione reciproca a più livelli, con la musica, con se stessi e con gli altri interpreti. Come ebbe a dire mio padre: “L’arte è una ricerca della comunicazione perduta”.

Tamara, il gender gap nella musica si fa ancora sentire. E’ così?
È difficile dare un giudizio assoluto, ma è vero che nella nostra civiltà persiste un atteggiamento patriarcale, il che si avverte anche nella musica: minore rappresentanza delle donne in questo settore, anche se personalmente non ho avuto modo di sperimentare tale gap. Se però ci penso, tratto i miei musicisti come farebbe una madre, forse è questo atteggiamento a creare l’equivoco, è anche colpa nostra di noi donne (sorride, n.d.r.).

Sei ospite in molti festival e rassegne in tutta Europa. Quali sono le principali differenze che evidenzi nell’approccio del pubblico alla tua musica?
Sebbene esista un “denominatore comune” che caratterizza il pubblico del jazz, è interessante osservare come gli spettatori dei concerti reagiscano in modo diverso nei diversi paesi, il che dipende in parte dalla mentalità della gente, ma anche dalla loro preparazione ovvero dalla conoscenza del jazz. Ciò non sempre corrisponde alle nostre convinzioni, che spesso sono errate: ad esempio, gli scandinavi sono chiusi e moderati, gli italiani sono estroversi, gli austriaci e i tedeschi sono riservati, ecc. La realtà per fortuna spesso smentisce i pregiudizi, quindi ad esempio gli austriaci reagiscono molto durante il concerto, gli italiani soprattutto alla fine. Ho avuto un’esperienza incredibile con i tedeschi nella chiesa in cui a fine concerto si “ululava alla luna”, che in quel tour era il nostro scherzo privato diventato pubblico a chiusura dello spettacolo. La reazione più strana è stata in Cina, che è un mercato jazz molto giovane che non so quanto venga percepito, comunque gli applausi erano “composti”.
In generale, le mie esperienze con il pubblico internazionale sono estremamente positive, anche se si tratta di una forma di jazz meno conosciuta. Di solito le reazioni variano da una sorta di stupore e sorpresa fino al massimo gradimento. La cosa più importante nel rapporto tra musicista e pubblico rimane lo scambio di sensazioni, il pubblico che prova emozione è il mio preferito.
Ricordo un concerto del quartetto a Marijampole in Lituania, dove i concerti jazz sono rari, … ebbene a fine di uno spettacolo veramente riuscito c’è stata una standing ovation, anche se durante il concerto non ero certa di quanto il pubblico riuscisse a seguirci, non c’erano le solite reazioni, gli applausi dopo gli assolo e cose del genere, nonostante ciò qualcosa è successo ed è stato davvero bello.

Tamara Obravac Transhistria

Invece, quali differenze trovi a livello di organizzazione e serietà dei promoter e impresari?
Le esperienze sono diverse, dipende in gran parte dalla persona con cui si comunica, a volte si risolve tutto in poche email e a volte è più difficile, il che non sempre è in linea con la reputazione del festival stesso; per esempio, una delle peggiori esperienze della mia carriera è stata recentemente in uno dei più grandi festival in Germania, mentre ad es. in Lituania, in due concerti in due città più piccole, tutto è stato fantastico, dall’organizzazione al pubblico, anche se la comunicazione non è stata sempre al livello desiderato.
Sono estremamente precisa nell’organizzazione dei miei concerti per il semplice motivo che cerco di anticipare e prevenire qualsiasi situazione che possa influenzare negativamente l’esecuzione. Naturalmente le variabili sono molteplici dal supporto tecnico, agli strumenti di backline, il sistema audio e il monitoraggio sul palco, ad altri elementi logistici, o le difficoltà del viaggio, ecc., in tutto ciò sono molto precisa, esigente, il che a volte può rendere difficile il rapporto con le maestranze a livello di comunciazione.

Quali sono i tuoi ascolti musicali abituali?
Ultimamente propendo verso i classici, agli inizi della mia carriera ero vorace nell’ascolto di tutto ciò che potevo trovare, ora lo faccio sempre meno senza riuscire a comprendere in motivo, forse semplicemente provo fastidio a mescolare ciò che ho dentro e ciò che mi arriva dall’estero.

Quando e perché hai deciso che avresti fatto la musicista di jazz?
Mi sono diplomata al liceo musicale di Pola citta natale nel corso di flauto. Ma è stato il mio trasferimento a Zagabria per continuare gli studi a farmi scoprire un mondo nuovo: ho formato la prima band ed ho iniziato a scrivere canzoni con molti elementi jazz, poi c’è stata la collaborazione con musicisti jazz e la scoperta della scena jazz zagabrese che mi ha conquistata per la libertà di esprimere ciò che sentivo.

Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e i tuoi prossimi impegni?
Oltre alla consueta attività concertistica, quest’anno realizzerò la colonna sonora del lungometraggio Štriguni (Stregoni), l’ensemble Transhistria lavorerà sul materiale che sto preparando per un nuovo CD, che dovrebbe uscire nel 2025, e quest’anno un disco intitolato «Apoxyomenos recomposed», che ho registrato con Stefano Battaglia; si basa sulle composizioni che ho composto per il balletto Apoksiomen del Teatro Nazionale Croato di Zagabria nel 2017.
Io e Stefano abbiamo lavorato al nuovo materiale all’accademia musicale Chigiana di Siena, dove abbiamo registrato tutte le composizioni. È stata un’esperienza meravigliosa, lui è davvero un grande musicista, è un piacere lavorare con lui e Siena è una città bellissima. I testi delle canzoni sono in greco antico, che è allo stesso tempo austero e melodioso e quindi impegnativo da interpretare, e si basano su frammenti di versi delle Troiane di Euripide. Dato che si racconta la guerra in La donna di Troia, è un tema molto attuale, descrive infatti il tragico destino delle donne in esilio dopo la fine della guerra di Troia. Le composizioni musicali parlano di sentimenti come la tristezza, la disperazione, il dolore, la rinuncia, la speranza, la gioia, la pace e l’accettazione di ciò che non può essere cambiato, mentre la visione artistica del progetto poggia sulla statua di Apoxyomenes ritrovata nel mare vicino all’isola di Lussinpiccolo, manufatto bronzeo di una civiltà scomparsa, simbolo di un mondo sommerso, di una lingua estinta, di un naufragio, e della metafisica del mare come tomba, ma allo stesso tempo fonte e continuazione della vita.
Che dire? Fino ad ora ho cantato in diversi dialetti istriani, che pochi hanno compreso, questa volta magari non mi capirà praticamente nessuno!
Alceste Ayroldi

*La prima parte dell’intervista è stata pubblicata mercoledì 20 marzo 2024.