«Morning Raga». Intervista a Simone Basile

Nuovo album per il chitarrista e compositore pugliese. Ne parliamo con lui.

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Simone, perché questo titolo «Morning Raga»?
Il titolo è la vera e propria sintesi di tutto ciò che è racchiuso in questo disco. Tradotto significa appunto Raga del Mattino (uno dei raga più suonati nella musica orientale, quasi un “saluto al Sole”, propiziatorio alla giornata), ma dietro a questo titolo si cela l’intento di voler riportare chi lo ascolta a un risveglio più profondo, amore verso l’arte, la musica, lo stare insieme agli altri e condividere le passioni, gli interessi, dopo questo periodo pandemico un po’ buio e solitario per tutti. Se dovessi sostituire il titolo con una parola sceglierei Risveglio.

A tuo avviso c’è un rapporto profondo tra la musica indiana e il jazz?
Il connubio tra la musica indiana e il jazz è sempre esistito sin dalla metà del Novecento, basti pensare a Coltrane e ai suoi ultimi lavori più spirituali. Si basò molto sulle scale indiane, studiandoli fino a fondo in modo da poterli integrare nella propria musica. Io stesso ho iniziato ad avvicinarmi alla conoscenza dei raga grazie a un foglio manoscritto di Coltrane in cui erano annotate alcune di queste scale, tra cui la morning raga. Il jazz per me è sperimentazione e come i raga indiani non ci si ripete mai come la prima volta, è tutto lasciato all’estemporaneità.

Possiamo dire che il filo conduttore di questo tuo disco è la pace?
Possiamo dire che la pace è uno degli argomenti che ho voluto trattare nel disco, non potevo far finta di nulla visto il periodo che stiamo vivendo. Il vero filo conduttore è quello di un «risveglio» generale, di apertura verso gli altri, l’arte, la musica e «tutto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta», per citare il discorso di Bob Kennedy con cui ho voluto aprire il disco, in cui denuncia il capitalismo americano. Quando ci sarà pace su questo pianeta allora sì che ci sarà un risveglio generale in tutti noi.

Nella tua musica c’è sempre un grande spazio per gli altri. Insomma, non tendi a primeggiare come solista. Questa tua scelta nasce da un’esigenza personale o dalla musica che componi?
Sono un amante della musica fatta insieme agli altri e con l’aiuto e la partecipazione attiva degli altri componenti del gruppo. Quando scrivo penso sempre prima alla musica e non a voler mettere in mostra le mie capacità (forse perché sono molto critico nei miei confronti). Ho cercato un equilibrio all’interno di ogni traccia del disco, in cui ognuno di noi ha un ruolo ben preciso ed importante quanto gli altri… spero di esserci riuscito!

Particolarmente toccante è Hope. Qual è la tua speranza più importante?
La speranza che voglio esprimere con Hope e quella di avere un mondo più attento all’ambiente, ritornando sempre al tema di un risveglio generale che ovviamente deve toccare anche l’aspetto ambientale. Spero vivamente si possa arrivare a un mondo più green nei prossimi anni! (Nei prossimi mesi uscirà un mini video su questo brano!).

Nella tua musica confluisce tanto la tradizione jazzistica, quanto il mainstream, ma anche l’avanguardia. Hai già trovato il tuo punto di equilibrio?
Purtroppo ancora no. Con questo disco ho voluto sperimentare un po’ di più arrivando anche a toccare leggermente l’avanguardia con Hope, ma è sempre un po’ lontano dal free vero e proprio. Ci ho voluto provare! Sono un amante dello standard jazz e delle songs, costituiranno sempre il mio terreno base, ma piano piano sto cercando di ampliare le mie influenze, come in questo disco con la musica orientale.

Ci parleresti dei tuoi compagni di viaggio in questa nuova avventura discografica?
Che dire…sono fantastici! Tra di noi c’è molto affiatamento e intesa, sia musicalmente che nella vita di tutti i giorni, si sta davvero bene insieme e per me questo è fondamentale. La sezione ritmica di questo quintetto è la base anche della mia nuova vita fiorentina da ormai otto anni, due fratelli, Ferdinando Romano al contrabbasso e Giovanni Paolo Liguori alla batteria, una delle sezioni ritmiche più solide della nuova generazione jazz. Manuel Caliumi è uno dei sassofonisti più completi che circolano ad oggi in Italia, suono, fraseggio e un gusto che pochi hanno. Enzo Carniel invece è una mia vecchia conoscenza parigina. Per circa un anno nel 2017 ho vissuto a Parigi, ed è li che ci siamo incontrati per la prima volta. Dal primo momento che lo sentii suonare pensai che se mai avessi dovuto registrare un disco con un pianista l’avrei certamente chiamato, e così è stato.

Sei nato a Taranto, ma hai scelto Firenze quale tua città di residenza. E’ stata una scelta di tipo artistico che ti ha spinto in questa direzione?
Firenze è stata un crocevia di scelte. Quando mi sono trasferito nel conservatorio ad insegnare chitarra c’era il grande Umberto Fiorentino, che non finirò mai di ringraziare per l’opportunità datami per studiare con lui e per tutta la conoscenza trasmessami e che tuttora continua ad influenzarmi. Nel 2015 tra l’altro Firenze era molto attiva a livello musicale, tanti giovani che volevano fare musica, sperimentare, era un continuo suonare tra locali e session private, ora purtroppo un po’ meno.

Simone, il jazz sta invecchiando? Il pubblico è sempre più agè…
Eh, che dire…questo è un argomento abbastanza complicato. Credo che dipenda molto anche dai contesti in cui viene eseguito e organizzato. Abbiamo suonato di recente al Firenze Jazz Festival per presentare il disco e devo dire che nel pubblico erano presenti molti ragazzi che hanno apprezzato e seguito il concerto con entusiasmo. Il problema principale del jazz, credo, sia il fatto che spesso viene presentato come musica difficile da capire, e che quindi genera noia e non divertimento, di conseguenza le nuove generazioni spesso e volentieri non ci provano nemmeno ad avvicinarsi a un concerto di jazz. Bisognerebbe eliminare questo pregiudizio dalla base, intervenendo nella formazione scolastica dei ragazzi, portandoli ad assistere a concerti nei festival o a teatro che possano stimolare il loro interesse.

Come è iniziata la tua storia professionale nel mondo della musica?
L’entrata nel mondo professionale musicale è avvenuta con «Time» il mio disco d’esordio in guitar trio con Francesco Angiuli al contrabbasso e Marco Valeri alla batteria. E’ un disco che mi ha insegnato molto, dal suonare con gli altri, ascoltando, fino al lato organizzativo dei viaggi, i festival, interfacciarmi con un direttore artistico, insomma tutte le cose necessarie a poter fare questo lavoro oltre al solo aspetto di suonare lo strumento. In questo devo ringraziare anche Enrico Moccia, che con l’etichetta Emme Record mi supporta ormai da anni e contribuisce alla mia formazione.

Il tuo precedente album ci fa intuire del tuo debito nei confronti di Wes Montgomery. Mi sembra, però, che non sia l’unico tuo faro. Giusto?
Wes Montgomery è la mia ossessione perenne. Sono sempre alla ricerca di un suo vinile (vorrei arrivare a collezionarli tutti!) o di un suo assolo da trascrivere, mi ha insegnato molto, in particolare il groove e il lirismo nell’improvvisazione. Ma ovviamente non è il mio unico faro. Amo molto Pat Metheny per la sua scrittura musicale e Jim Hall per la scelta delle note nell’improvvisazione. Un altro gruppo a cui mi ispiro particolarmente come mood sonoro e di scrittura musicale è Brian Blade & The Fellowship Band.

La tua playlist preferita è formata da…quali artisti?
Pianisti. Ascolto molto i pianisti come Oscar Peterson, Bud Powell, Red Garland, Thelonious Monk. Cerco molto di imitare il piano con la mia chitarra.

Invece, il libro che rileggeresti più di una volta, qual è?
La musica è un tutto di Daniel Barenboim. Un libro in cui l’autore lega la musica alla scelta giusta o no che sia, che produce bellezza. Una scelta che si ritrova in tutte le cose della vita, nella politica, nella filosofia, ecc… .

Quali sono i prossimi impegni di Simone Basile e quali i tuoi prossimi obiettivi?
I miei prossimi impegni sono suonare la mia musica dal vivo, farla conoscere e incontrare più persone possibili con cui parlarne e recepire le sensazioni che ne ha prodotto. Questa credo sia la fase più bella di una nuova uscita discografica.  Il mio prossimo obiettivo e studiare un pò di più la chitarra in guitar solo, voglio approfondire questo aspetto, sperimentando nuovi orizzonti, anche con l’aiuto dell’elettronica.
Alceste Ayroldi