Serena, il successo di Baccalà è, oramai, planetario. Vorresti dirci come è nato questo brano?
Baccalà nasce dall’idea di voler sperimentare. Era da un po’ di tempo che giocavo sui social. Giocavo col dialetto, giocavo con le parolacce, con gli studenti che mi seguono e che fanno con me scrittura creativa. Volevo cambiare, volevo giocare e volevo ritrovare il lato ludico della musica che avevo un po’ perso tra la laurea, tra l’insegnamento, la docenza, le masterclass e poi studiare, analizzare, sperimentare con la loop station.. Mi stavo un attimo chiudendo in una session di studio costante sia a casa che poi sul palco. Mi sentivo come se si dovesse sempre dimostrare che si sa un voicing di più o una struttura più difficile dal tempo dispari eccetera. Poi è arrivato baccalà grazie a un video su TikTok dove ho ascoltato il Baile Funk, questo groove bellissimo. Ho cominciato in treno a scrivere questa filastrocca. Ho conosciuto successivamente Dropkick su Instagram perché volevo invitarlo come finger drummer per il nuovo live e fargli sentire questa filastrocca. Lui lì ha suonato con l’MPC il brano Baccalà. Dopo due giorni, nonostante noi non ci conoscessimo bene, ci siamo presi un appuntamento per fare Baccalà nella macchina. Posso dire quindi che Baccalà nasce dalla voglia di sperimentare, non prendersi sul serio e giocare sui social. Questo sicuramente penso sia la spiegazione più giusta di Baccalà, perché sembra qualcosa che è arrivato dal nulla ma in realtà è un risultato di una ricerca che partiva da un paio di anni addietro.
Mi sembra che la tua produzione musicale si stia orientando verso un linguaggio differente, rispetto a quello che ha segnato il tuo inizio e, anche, il tuo percorso. Quali sono le influenze artistiche e musicali che hanno caratterizzato questo cambiamento?
Sono sempre stata influenzata da un gruppo vocale che conosci benissimo, loro sono le Faraualla. Io sono cresciuta avendo come insegnante di canto popolare jazz e pop Gabriella Schiavone, leader del gruppo di musica folk e vocale che porta vari dialetti in tutto il mondo. Lei mi ha dato un imprinting libero nello studio. Con lei studiavo da Carmen McRae ai brani della comica Paola Cortellesi a Steve Wonder. Questa libertà mi ha aiutato fin da piccola a non sentirmi imbrigliata nei generi musicali. Un’influenza importante è stata la mia insegnante Gabriella e con lei le Faraualla.
Serena, un’altra domanda su questo punto. Anche Quincy Jones ha tessuto le lodi della tua voce, così come altri grandi del jazz. Il jazz fa ancora parte della tua vita artistica?
Quando mi voglio ricordare cosa significhi cantare, metto il mio disco preferito di Carmen McRae o di Ella Fitzgerald, vado proprio sul sicuro perché ricordo cosa si l’emissione o una nota bella senza vibrato. Non avendo la traduzione simultanea dei brani in inglese, degli standard jazz ascolto molto come si canta il jazz, mentre poi nel secondo ascolto recupero il significato della canzone. Questo mi aiuta ad ascoltare ed emulare il vero canto, che per me è il canto jazz, che va a racchiudere il canto popolare che diviene più alto e prezioso. Il jazz fa parte di me e guai a chi me lo tocca.
Come è iniziata la tua carriera nel mondo della musica?
Ho iniziato come violinista, mia madre aveva una scuola di musica e voleva studiassi uno strumento classico. Suonai il violino per i primi 5 anni a Bari, mentre mia sorella suonava il pianoforte. Questo influì molto sui miei ascolti perché a casa sentivo Beethoven o Rachmaninov. Tutto è partito dalla musica classica.
Il 23 agosto ti esibirai al Kaulonia Tarantella Festival. Quale sarà il repertorio che affronterai e con quale formazione?
A Caulonia porterò il repertorio che continua da trentaquattro date. Questa sarà la trentaquattresima data a Reggio Calabria. È un repertorio che spazia da un omaggio alla musica napoletana, alcuni brani del disco «Je so accussì» e gli ultimi brani in cui il dialetto è più presente. Non manca la mia parte da sola con la loop session e la batteria elettronica ma c’è anche una piccola parentesi di musica tecno con Dropkick. È una festa che gioca e cammina tra i generi musicali.
Quali sono i tuoi prossimi impegni e quali i tuoi prossimi obiettivi?
Più che obbiettivi, voglio continuare ad essere pronta e sicura. Voglio continuare a essere determinata e avere il giusto focus, che ho da un po’ di tempo, la concentrazione giusta per andare avanti, perché è un momento di successo mio personale. Sono contenta che con la musica dialettale, con i generi tra la tecno, la Baile Funk e il reggaeton, sono riuscita a trovare il mix perfetto per descrivermi, ora devo rimboccarmi le maniche e continuare tenendo fede. Vorrei comporre una ballad in dialetto in cui emerga la voce e quella che sono realmente, una cantante che canta utilizzando il dialetto. Di obbiettivi ne ho molti tra cui un album che stiamo chiudendo, ma sicuramente vorrei fare un bel concerto a Bari. nel mio posto del cuore e vederlo pieno, facendo felici tuttu i baresi che mi stanno sostenendo.
Alceste Ayroldi