«Maé». Intervista a Roberto De Nittis

Nuovo disco per il pianista foggiano con una dedica particolare al compositore Umberto Giordano. Di seguito uno stralcio dell’intervista che sarà pubblicata prossimamente sulle pagine della nostra rivista.

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Roberto De Nittis © Roberto Cifarelli #jazz #jazzphoto #jazzmusic #music #musician #robertocifarelliphoto

Roberto, parliamo subito di «Maé». Un disco che, a mio avviso, rappresenta il consolidamento della tua svolta compositiva. Un lavoro importante dal punto di vista della scrittura, sinfonico, corale, d’ampio respiro, con il jazz che fa da linea portante a un tema musicale che è profondamente lirico. Come sei arrivato a questo tipo di scrittura e qual è stata la genesi di questo disco?
L’orchestra per me ha da sempre rappresentato la massima espressione della grandezza della musica. Sin dagli inizi dei miei studi musicali, ogni qualvolta entravo in Conservatorio e sentivo l’orchestra provare, ne rimanevo affascinato. Era come se venissi investito da un flusso di energia molto particolare e incontenibile. Detto ciò, dal momento in cui ho avuto la fortuna di iniziare a comporre musica, ho visto l’orchestra come una tavolozza infinita di colori da cui poter accingere per esprimere al meglio ogni pensiero e sensazione musicale. Entrando nello specifico di «Maè», il tutto prese forma quasi per diletto, volendo orchestrare tre mie nuove composizioni ispirate alla vita di Umberto Giordano, compositore dai miei stessi natali. Lì decisi di studiare più approfonditamente l’arte dell’orchestrazione classica prendendo in analisi diverse partiture di composizioni che amavo. Parliamo di Giordano, Puccini, Mahler, Wagner, Rachmaninoff, Poulenc e Gershwin. Il jazz è il filone portante degli ultimi 11 anni della mia vita, ed è stato il genere che mi ha avviato alla composizione, grazie al compianto Marco Tamburini, il quale mi chiese di scrivere un brano qualche mese dopo il mio trasferimento a Rovigo. Da lì mi son reso conto quanto mi affascinasse esprimermi attraverso gli stilemi del jazz.

Le tue radici, le tue origini sono celebrate in questo disco. E, quindi, non potevi fare a meno di tributare Umberto Giordano. Non ti chiedo quali sono i tuoi attuali rapporti con la città di Foggia, ma quali sono i tuoi rapporti con Umberto Giordano?
Umberto Giordano ha rappresentato una sorta di bordone nella mia vita musicale. Ogni giorno, frequentando le scuole medie del Conservatorio che porta il suo nome, nel percorrere la strada che da casa mi portava a scuola, passavo «sotto casa sua»: la piazza che sfoggia statue rappresentanti le sue opere, il museo, il teatro, nel quale suonai per la prima volta proprio una sua opera lirica, Il Re, che prevede il pianoforte nell’organico orchestrale, (diretto -tra l’altro- proprio dalla mia prima e più importante Maè, Gianna Fratta). Quindi si può riassumere il tutto con il termine “viscerale”, che è lo stesso tipo di rapporto e legame che io ho con Foggia, la mia città, alla quale -come scritto all’interno del booklet-, ho dedicato l’intero lavoro.

Roberto De Nittis © Roberto Cifarelli #jazz #jazzphoto #jazzmusic #music #musician #robertocifarelliphoto

Ci parleresti dell’orchestra e dei sodali al tuo seguito in «Maé»?
Quando il direttore del Conservatorio, M° Francesco Montaruli, mi confermò la disponibilità di prendere parte a questa mia «follia» (registrare un disco per trio jazz e orchestra sinfonica) mi propose di far fare quest’esperienza all’Orchestra Sinfonica Young, diretta magistralmente dal M° Andrea Palmacci, idea che mi entusiasmò come mai prima. La possibilità di vivere l’esperienza registrazione con ragazzi di vent’anni in media alla loro prima esperienza discografica è stata incredibile. Quello che è veramente tangibile, ascoltando il disco, è la totale empatia musicale che si è creata con questi ragazzi, i quali sin dalle prime note si sono affezionati al progetto, alla mia musica e hanno impreziosito la stessa con la loro genuinità e professionalità nel suonarla e interpretarla. Sento, per questo motivo, che il disco suoni in foggiano. Incredibile scoperta fu l’altro featuring del disco, il fagottista Antonio Pio Russo, il quale mi fu segnalato come sassofonista, ma non avevo bisogno di quel timbro, tanto meno di un assolo di sassofono. Il caso volle che scoprii attraverso i social, che qualche giorno prima arrivò in finale al Premio Massimo Urbani, con il sax. Fu lì che mi venne l’idea di proporgli di fare un assolo in Don Gaetano, ma con il fagotto, strumento per il quale nutro un particolare affetto. Si è rivelata una scelta di cui sono ogni giorno più felice. Con me, inoltre, era inevitabile portare due grandissimi amici oltreché musicisti sopraffini quali Riccardo Di Vinci al contrabbasso e Marco Soldà alla batteria, con i quali siamo ad un livello di intesa personale e musicale che ormai va oltre ogni tipo di “costruzione”. Il tutto ha preso forma anche grazie all’ingegnere del suono Lorenzo Sementilli, il quale ha svolto un egregio e grandioso lavoro di ripresa del suono e di missaggio. «Maé» mi ha regalato l’opportunità di capire quanto sia fondamentale, per noi musicisti, creare un rapporto simbiotico e di totale fiducia con il proprio ingegnere del suono il quale è l’unica figura che ha i mezzi per far arrivare, a chi ascolta un disco, il giusto sapore della tua musica.

Il toy piano è uno strumento che non manca mai nei tuoi dischi. C’è un motivo in particolare?
Il toy piano è la mia «coperta di Linus». Nutro un enorme valore affettivo in lui ed è sempre presente nella mia musica, perché mi consente di restare legato visceralmente al Roberto bambino. Una sorta di sindrome di Peter Pan musicale.
Alceste Ayroldi

*L’intervista completa sarà pubblicata prossimamente sulla rivista Musica Jazz.