Ciao Pierpaolo, complimenti per il tuo nuovo disco «Dark Allegro». Sei stato capace di mettere insieme jazz, rock, new wave dark (anni Ottanta), venature di soul, psichedelia… In particolare, il tuo basso suona incessante e cupo: alla Simon Gallup (The Cure) e/o alla Peter Hook (Joy Division). Cosa ti ha fatto venire in mente un disco di questa fattura?
Ciao, grazie per queste parole! L’idea alla base della scrittura di «Dark Allegro» era proprio quella di mischiare un po’ tutte le mie influenze musicali e non solo; sono contento che dall’ascolto arrivi tutta questa commistione di generi, perché è anche la fotografia dei miei ascolti. Non ho mai amato gli album dei musicisti in cui il focus è solo sul proprio strumento anche nelle scelte di mix, per cui volevo che il basso fosse il centro ma senza prendere troppo la scena; più che altro volevo che il lavoro fosse il più musicale possibile, sfruttando le sonorità del mio strumento, e accessibile a chiunque, a rischio di risultare mainstream, che per me è sempre e comunque un complimento. Certo non mancano spazi più complessi, ma quello che m’interessava era di cercare di ottenere una girandola sonora nei 36 minuti mantenendo comunque una unità come disco, caratteristica che cerco sempre quando ascolto un album. Giorgio Lovecchio di Tosky Records, che ha prodotto con me l’album, ha sposato in pieno questa scelta. Mi fa particolarmente piacere che citi Simon Gallup e Peter Hook, bassiti al servizio della musica, appunto, dei quali suono e stile hanno ispirato generazioni di musicisti, compreso me.
Devi spiegarci anche il perché di questo titolo…
Il concept del disco è il contrasto. «Dark Allegro» gioca proprio su questo, mi piaceva che il titolo racchiudesse la doppia anima del lavoro e del mio strumento stesso, da una parte scuro come sonorità ma nello stesso tempo capace di creare groove. Mi piaceva inoltre che nel titolo ci potesse essere una parola italiana usata pure all’estero, allegro è un termine appunto utilizzato in musica classica per indicare il movimento. Anche la copertina, ideata da Enrico Vartani, evidenzia questo elemento, un demone che suona il basso, per cui un essere apparentemente malvagio che però è intento a suonare e a creare.
Ci vorresti parlare dei musicisti che ti affiancano?
A differenza del mio precedente album «I Am A Peacock», in cui ho suonato quasi tutto a parte la batteria acustica e qualche modulare, ho voluto condividere questa esperienza musicale con i musicisti con cui collaboro abitualmente e quindi in primis grandi amici che sapevo che avrebbero messo l’anima in questo lavoro. Alessandro Canini, oltre a suonare su alcuni pezzi la batteria, ha missato e masterizzato il disco prendendo parte anche alla produzione artistica, Alessandro Gwis ha suonato il piano e i synth, Matteo Di Francesco ha suonato su due brani, uno dei quali nato proprio su un suo groove, Marco Rovinelli, che aveva lavorato al precedente disco, ha suonato le batterie che dialogano nel brano Dark Was The Night, Duilio Galioto le tastiere sul brano Domino e poi ancora Roberto Gatto ha suonato su due brani; infine ho avuto il piacere di ospitare anche Marina Rei, con la quale collaboro da anni nei suoi progetti, che ha suonato la batteria nel brano The Last Joker (non dimentichiamo che è figlia d’arte: il padre, Vincenzo Restuccia, è stato uno dei più importanti batteristi che abbiamo avuto).
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e quali i tuoi prossimi impegni?
Il 2024 è stato un anno incredibile, a fianco ai miei progetti ho avuto il piacere e l’onore di essere il bassista dell’Orchestra di Sanremo di questa edizione e poi ho fatto un tour lungo e fantastico con Fiorella Mannoia, coronando quindi due sogni che avevo, di conseguenza il disco non poteva che uscire in questo anno; per il momento terminerò il tour sinfonico di Fiorella Mannoia fino alla fine del 2024, poi porterò avanti i progetti che ho con Roberto Gatto, tra cui il tributo a Tony Williams e la doppia formazione PerfecTrio e ImpercfecTrio, e il mio altro progetto Butterfly in trio il cui nuovo disco, “Hit”, è uscito a maggio. Nel 2025 vorrei cominciare a portare un po’ in giro, negli spazi giusti, i miei due lavori e cercare di mettere la basi per un nuovo album.
Alceste Ayroldi
*L’intervista integrale sarà pubblicata prossimamente sulla rivista Musica Jazz