The End is the Beginning. Intervista a Ohm Guru

Torna sulla scena il noto producer bolognese con un nuovo album, il primo di una trilogia.

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Riccardo, era da tempo che non usciva un tuo disco. Cosa è successo in questi anni?
Ecco! E’ Una bella domanda. Lavorando come professionista nella produzione musicale, ho passato questi anni a creare un bel team di lavoro, validi musicisti e collaboratori e ad allargare i miei orizzonti musicali. Ovvio, non sono più un ragazzino, si dice Senior Producer negli Stati Uniti, a bologna si dice Vez. E cosi, devi finire il tuo disco, butti giù pezzi nuovi, attendi che il solista che vuoi si liberi, e così via. Insomma mica me ne sono accorto che sono passati tutti questi anni! Anche perché ho la fortuna di amare il mio lavoro, ed anche con tutte le difficoltà del momento storico ho prodotto dischi su dischi, cercando intanto di creare una factory. E un bel giorno mi sono trovato con tre cd praticamente pronti. «The End is the Beginning» è il primo dei tre.

Una domanda a bruciapelo: perché hai scelto come alias Ohm Guru? Cosa significa?
Significa tante cose. Ohm è legato alla elettricità, e ohm è una parte molto importante di una disciplina spirituale. A me calzano tutte e due, una vita tra sintetizzatori e la ricerca di una serenità spirituale. E in ogni caso non me lo sono scelto io. Mentre registravo e mixavo «I messaggeri della dopa» con quello che al tempo era un artista hip hop sconosciuto e che, poi, sarebbe diventato Neffa, un amico mi ha portato un vecchio sintetizzatore non funzionante. Lo ho aperto ed aggiustato, era una cosa semplice, qualche saldatura partita. E il mio amico mi ha detto: «Sei proprio il Guru degli Ohm». A tempo perso stavo imbastendo «The Groove Improver» ( il mio primo lavoro ) e cercavo disperatamente un nome che fosse unico. E li, in una cantina di via Saragozza a Bologna è nato il mio alter ego.

L’elettronica è il tuo pane quotidiano, ma non ho trovato un sito a tuo nome! E’ noncuranza o una scelta voluta?
Korea. La risposta sta li. Sono stato sempre presente sui social, attivo e veloce. Ma l’anno scorso un hacker coreano ha preso possesso delle mie password e probabilmente ha fatto qualche mossa illegale. Il signor Facebook ha bloccato i miei siti e pagine artista, il signor Instagram pure. E devo dire che anche con tutta la buona volontà non sono riuscito ad ottenere la riattivazione. Adesso sto provvedendo ma è un lavoro lunghissimo!

«The End of the Beginning» fa parte di un progetto che prevede una trilogia di dischi. Qual è lo scopo di questa trilogia?
E’ la mia sete di musica. Finisco un cd come «The End is the Beginning» e mi rendo conto che avrei voluto esplorare altri mondi. Il funk, l’elettronica, sperimentare. E come ti dicevo prima quando non produco altri faccio musica. Sempre. Che va a finire in una cartellina che si chiama «idee». Sono tre dischi, finalmente, ho aperto quella cartellina. Se apro anche le altre non smetto più di fare dischi.

Perché hai scelto questo titolo?
Perché è la fine di un percorso e l’inizio, se cosi si può dire, della mia seconda vita artistica. Ho cambiato molte citta e molte fidanzate negli anni che sono passati. Ho vissuto a Milano, a Londra e a Berlino. Ed ora che ho trovato la mia serenità ho pensato di mettere un punto virtuale sul prima e concentrami per bene sul dopo. Che in questo campo non è mai cosi definito, ma per me ogni challenge è un motivo per svegliarsi bene alla mattina e produrre “cose”

E’ un album di cover che hanno un significato particolare per te?
Sono i miei amori. La scelta non è stata fatta di testa ma di pancia. Mille ricordi legate ai alle canzoni, un concerto, un fallimento, un moneto di assoluta felicita. E poi i testi, le cose che dicono. Sono quelle canzoni che avresti voluto scrivere tu, che quando senti dopo tanti anni ti emozioni ancora. O come un brano dei Punch Brother che amo tantissimo e cantato dalla bravissima Giorgia Faraone mi da la stessa soddisfazione che ascoltare la loro versione.

Nel bel mezzo della scaletta, tra brani pop, rock, new wave, troviamo anche ‘Round Midnight di Thelonious Monk. E’ un legame tra te e il brano o te e Monk?
Guarda, sarò sincero. Monk è un intoccabile. Un grande tra i grandi. Ho scelto quel pezzo per la parte melanconica e intima del testo. Quando dice «fa veramente male verso mezzanotte», ecco mi ha proprio colpito e affondato. Poi ovviamente c’è anche l’ammirazione per il suo percorso e per la sua vita come essere umano e musicista.

Ci parleresti dei musicisti che collaborano con te in questo disco?
Prima di essere i miei musicisti sono innanzitutto grandi amici. Sono le persone con cui sono cresciuto, le persone con le quali ho attraversato l’Europa nei primi anni Irma Records. E si creano dei legami forti. La vita ti porta su strade diverse ma il legame non si spezza mai. E quando ci si riesce a trovare in studio è una festa di nuovo, un ascoltare e capire. Ascoltare, suonare e confrontarsi. Massimo Greco, Caterina “Agrado “Soldati, il Maestro Garofalo, compagno di mille produzioni, l’ultima arrivata Giorgia Faraone, non posso metterli tutti davvero… ma anche tutti gli altri hanno condiviso la loro sensibilità con me e con la mia visione. Non fatemi un regalo, fatemi un assolo.

Giorgia Faraone

Il secondo e il terzo disco cosa conterranno?
Il secondo è un disco di hard funk-hard bop selvaggio, senza limiti sulla sperimentazione ritmica e musicale.  E tutto suonato e senza filtri. Un po come tornare nei collettivi musicali degli anni Settanta, frichettone  e drogato. Si suona, si risuona finche non si trova il mood giusto. Non sarà un disco facile, ma non lo erano neanche quelli dei Can. (che adoro). Il terzo, tutto di inediti, esplora sonorità esclusivamente elettroniche, col sapore un po’ retro. Sono canzoni vere e proprie che seguono un bel sodalizio con il mio writer di testi Andrea Aiazzi (Bunen).

Ohm Guru e il jazz: come inizia questo rapporto e perché hai voluto mescolare il jazz con altre sonorità?
Ecco. Tasto dolente. Se ascolto jazz sono un jazzista? Credo di no. Sono solo un tizio a cui il jazz piace tanto. E qui ripeto la mia fortuna di avere iniziato le mie cose durante l’acid jazz. In quel periodo ho conosciuto musicisti con le palle, gente che ci è nata con lo strumento in mano. E io facevo elettronica (non era cosi diffuso in quell’epoca) e anche se venivo da un mondo diverso i miei musicisti (e amici) mi hanno fatto sentire uno di loro. Mi hanno insegnato tante e tante cose ed è stato uno scambio reciproco. Ho insegnato a loro cosi si poteva fare con un computer, ed ora sono tutti abili programmatori e hanno tutti uno studio personale efficiente e «autosufficiente». E mescolo tutto perché è la cosa che so fare meglio. Non mi ritengo un “musicista” ma un produttore. Che segue la sua visione della musica per stare bene e fare stare bene chi ascolta. Tutto qui, vorrei che chi ascolta la mia musica possa provare lo stesso sentimento che provo io.

Possiamo definire questo album un ritorno all’acid jazz?
Direi proprio di sì. L’acid era questo, cose nuove con cose piu antiche. Il sapere fare ballare con la musica jazz. Il ballo è importantissimo, il muovere il corpo con il battito è una cosa che è nel DNA della umanità intera. Quegli anni sono stati questo per me. Venivamo dalla discomusic, dove i musicisti seguivano un pattern chiuso, dettato da strofe e ritornelli. E il jazz andava verso la parte tecnica, verso la ricerca di un manierismo fine a se stesso. Credo che l’acid jazz abbia messo in contatto questi due mondi. Io sono figlio degli anni ottanta, tutto punk e sintetizzatori, e quei colori che ha portato l’acid mi hanno da sempre stregato e affascinato.

A proposito, secondo te perché l’acid jazz è durato relativamente poco? Quali sono state le ragioni della sua parabola?
Davvero a questo non saprei darti una risposta decente.

La tua attività artistica è iniziata negli anni Ottanta, di pari passo alla new wave. Ci racconteresti i tuoi primi anni nel mondo della musica?
Ho iniziato con due big bolognesi, Frank Nemola,(Vasco Rossi)  e Gaudi (ha anche un nome italiano, ma vive a Londra e vuole essere chiamato cosi). Da giovani pischelli abbiamo fatto mille rate e ci siamo comprati il primo campionatore AKAI s900 e il primo Mac Plus. Io facevo l’assistente da Malavasi, il ragazzo del caffe e che svuotava i cestini. E guardavo e imparavo. Con i miei amici abbiamo messo in piedi il primo gruppo di Producer di bologna. E da li a breve avremmo registrato e prodotto tutta la prima ondata di hip hop italiano. (Stop al Panico, Sud Sound System e tutti gli altri). Non credo che fossimo davvero così bravi all’epoca, ma eravamo gli unici ad avere un computer per produrre in casa. Poi ho conosciuto Luca Trevisi (LTJ Experience) che mi ha portato in Irma Records, dove ho imparato a produrre musica per il clubbing. E quello è stato un periodo molto creativo. Ascoltavamo i dischi che uscivano a Londra e ogni giorno era una nuova fonte di ispirazione. jungle, acid jazz, jackin house, acid house. Era un mondo vario e con mille sfumature.

Qual è il tuo strumento musicale?
Suono male tutto. Ed è stata la mia fortuna. Ho iniziato agli albori della computer music ed ho capito che potevo unire il mio talento unico col talento di altri musicisti davvero fenomenali. E come dicevo prima, è un modo di vivere la musica che per me non è mai cambiato.

Vista la tua grande esperienza nella musica, da ogni punto di vista, come giudichi l’attuale scena musicale?
Piatta. Senza molta energia o vita. Si sono persi i sapori diversi. E non ne faccio un problema di genere. Se ascolto trap o techno posso trovare cose belle, sonorità interessanti, e questo vale per tante cose che escono al giorno d’oggi. La cosa che mi spaventa di più è la poca voglia di ascoltare anche altro, che non sia solo quello che ci propina il dio Youtube o i format televisivi. E, credimi, non è un problema che ha la musica. E’ un problema culturale, figlio della mala gestione della cultura nel nostro paese. Perché la musica, tutta, è cultura. E un paese che non promuove la cultura è un paese che scivolerà piano piano in una totale e becera line piatta.

Trilogia a parte, cos’altro è scritto nell’agenda di Riccardo Rinaldi-Ohm Guru?
Produco artisti da sempre, vorrei avere le capacita economiche per aprire una vera factory dove chi ha idee e talento possa trovare un terreno fertile. Da poco ho finito l’ltimo lavoro di Zone (Enzo Torregrossa) che secondo me è ancora piu Acid Jazz di me. E sempre per enzo uno straordinario Domenico Prezioso, cantante siciliano col blues nel sangue. Poi tantissima elettronica nel progetto Bedroom Playground (Irma Records ) che invece è figlio di questo terribile periodo di lockdown. Mi sono inventato un collettivo con tutti i miei musicisti per creare cose insieme in un periodo dove è praticamente impossibile vedersi di persona. E la realta che se sapessi davvero cosa c’0e scritto nella agenda non sarei cosi felice. Anche se a quanto pare sono diventato un Vez, qualche parte del mio cervello non deve essere cresciuta bene.
Alceste Ayroldi