Intervista a Nico Morelli, ospite del Piano City Milano

Il pianista italiano, ma da tempo residente in Francia, sarà ospite della rassegna Piano City Milano a Magnete (quartiere Adriano), punto di Comunità di Lacittàintorno di Fondazione Cariplo.

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Nico, iniziamo dalla fine. È parecchio che non licenzi un nuovo disco. Cosa è successo?
Se ci riferiamo a dischi pubblicati in qualità di leader è vero che l’ultimo disco è stato pubblicato nel 2016 con il supporto di Puglia Sounds. Cerco di non crearmi l’obbligo di pubblicare dischi con scadenza regolare. In linea di massima decido di pubblicare quando si verificano le circostanze artistiche e tecniche per poterlo fare. Cerco di resistere alla tendenza di pubblicare nuovi lavori, soltanto per “esistere”, per non farsi dimenticare. È vero che, nel sistema attuale, ci abituiamo sempre di più a considerare le pubblicazioni come dei “prodotti”. Per quel che posso, cerco di considerare che anche nel 2022 una pubblicazione artistica non deve perdere il suo significato di “opera d’arte”.

Hai studiato in Italia, tra Bari e Roma, poi hai deciso nel 1998 di trasferirti in Francia. Perché hai fatto questa scelta?
In realtà le cose sono avvenute in maniera casuale, non ho ancora scelto nulla di preciso. Nell’ottobre 1998 Flavio Boltro mi invitava per fare un concerto a Parigi. Da quella circostanza sono poi nate collaborazioni con musicisti parigini che inizialmente, 1999/2000, mi hanno portato a fare molto pendolarismo, finché nel 2000 ho deciso di stabilirmi in maniera permanente. Ma ancora oggi, dopo più di 20 anni, considero la mia permanenza a Parigi un qualcosa di temporaneo, sebbene sia passato tanto tempo.

Quali sono le differenze tra l’industria culturale italiana e quella francese?
Se ti riferisci al mondo del jazz, i meccanismi nei due paesi somigliano molto. Forse in Francia il “business del jazz” è ancora più esasperato che in Italia.

Oltre che eccellente pianista, sei anche un attento compositore. Nella tua musica è presente la musica classica. La prima domanda è: quali sono le tue influenze classiche e come si è formata questa tua consapevolezza?
Devo dire che rispetto ai tempi dei miei esordi nel jazz, la mia musica, quello che faccio oggi è cambiato molto. Il mio primo disco, nel 1993, coincideva con la fine del mio percorso di studi classici in Conservatorio. In quel periodo ero anche convinto di poter affrontare il concertismo classico affiancandolo alle mie esperienze jazzistiche. Questo portava, forse, la mia musica ed il mio modo di approcciarmi, a realizzare (consapevolmente o inconsapevolmente) una fusione fra le due musiche. Il tempo poi mi ha portato in altre direzioni. Oggi non potrei affermare che la mia musica sia ancora in bilico fra i due mondi. Forse, soltanto, nel tocco pianistico, che probabilmente mi è ancora rimasto.

La seconda, invece, è di più ampio respiro. Nico, a tuo avviso musica classica e jazz sono due emisferi molto distanti tra loro?
Dipende: per come la vedo io, volendo davvero separare le due musiche attraverso un’analisi “superficiale”, il jazz è esaltazione dell’aspetto ritmico. La classica ha un’attenzione verso l’aspetto armonico. Questi due aspetti possono ovviamente in alcuni casi incontrarsi e dialogare, come è avvenuto tante volte nella storia di queste due musiche. Per cui non sono emisferi lontani, ma paralleli, che a volte si incontrano e dialogano.

Tra le tue formazioni, qual è quella che prediligi?
Al momento fra i miei progetti ho un quintetto, diversi trio, ed un progetto con trio più quartetto d’archi. Io amo suonare con altri musicisti. La cosa che mi ha “salvato” in musica è stato proprio questo aspetto. Nel periodo di cui parlavo prima, periodo in cui dopo i miei studi classici, mi sono avventurato nel concertismo “classico”, soffrivo proprio di questa solitudine sul palco. Non è un caso infatti che nei miei piano solo io utilizzi delle macchine (loop ed altro) che in qualche modo mi danno la sensazione di suonare con qualcuno. Quindi prediligo tutte le situazioni in cui sono con altri musicisti.

Nei prossimi giorni sarai ospite della prestigiosa rassegna Piano City Milano. Hai già in mente quale sarà il repertorio che eseguirai?
Generalmente nel mio piano solo affronto il repertorio senza darmi un limite stilistico nel repertorio. Ci metto dentro un po’ di tutto, da Mozart, ai Queen, dalla musica popolare a mie composizioni a standards rivisitati… utilizzo anche altri strumenti e delle macchine loop.

Hai studiato con Paul Bley, a Parigi. È strano che tu abbia deciso di trasferirti in conseguenza di questo incontro. È solo una coincidenza?
In realtà, non penso che esista un rapporto fra queste due esperienze. L’incontro con Paul Bley è avvenuto nel 1994 a Poitiers. Ero molto curioso di entrare nel suo mondo e nella sua visione artistica, ma non credo che questo incontro abbia inciso consapevolmente nelle mie scelte successive.

Sei giunto a cinquantasette anni. Ti andrebbe di fare un bilancio intermedio della tua carriera artistica?
Sono nato in un piccolo paese (Crispiano) della provincia di Taranto, dove negli anni Ottanta le attività lavorative principali erano quelle di lavorare in Ilva oppure in campagna, e dove dire di voler diventare musicista corrispondeva a farsi prendere per un illuso. Oggi mi trovo a vivere della musica in una metropoli europea forse più internazionale ed a collaborare con musicisti provenienti da tutto il mondo, realizzare dischi, tournée internazionali, sogni… Se considero tutto questo la mia “carriera” (la metto fra virgolette perché ho un rapporto strano con questa parola in musica) è andata estremamente più lontana di quelle che erano le mie aspettative iniziali. Per cui il bilancio è estremamente positivo.

Quali sono i tuoi obiettivi artistici e, al momento, pensi di averli rispettati?
Non penso essere fra quegli artisti che si danno degli obiettivi precisi e che “strutturano” il loro percorso in anticipo. Cerco piuttosto di ascoltare le mie esigenze “artistiche” man mano che cresco e man mano che affronto la vita e le nuove esperienze musicali o di altro tipo. Quindi, da questo punto di vista, penso di aver rispettato tutti i miei obiettivi artistici.

Nico, qual è il tuo rapporto con le tecnologie, sia in ambito musicale che in quello social?
Non le rifiuto. Se pensiamo che il pianoforte stesso, e così tutti gli strumenti, sono il risultato di una tecnologia, allo stesso modo voglio avere un’apertura verso le nuove possibilità che ci vengono offerte grazie alle ricerche del tempo che viviamo. I social li utilizzo. In diverse occasioni mi hanno dimostrato di essere utili per l’aspetto più “gestionale” della mia attività ed anche io, come molti colleghi, li uso per questa finalità.

Cosa è scritto nell’agenda di Nico Morelli?
Proprio in questi giorni ho terminato un’impegnativa tournée fra Francia e Italia in trio con il contrabbassista americano Hilliard Greene ed il batterista canadese Karl Jannuska, con cui presto registreremo un nuovo album. Nei prossimi mesi sarò per mio grande piacere coinvolto con miei progetti in diversi festival fra Francia e Italia. C’è una nuova tournée che si sta delineando per l’Ungheria per il 2023. Ho cominciato una collaborazione con un nuovo club parigino che mi dà cartes blanches permettendomi di scegliere a mio piacimento collaborazioni in nuovi progetti artistici. C’è in ballo un concerto al senato di Roma per settembre… insomma, è un bellissimo periodo estremamente fertile, e ne sono felicissimo.
Alceste Ayroldi