La parola alle associazioni: intervista a Marco Molendini

Iniziamo una serie di interviste con i responsabili delle diverse associazioni che in Italia radunano buona parte degli operatori d'ambito jazzistico.

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Perché è nata Jazz Italian Platform e quali sono gli obiettivi che si è prefissata?
La nascita di JIP è avvenuta per germinazione spontanea. Voglio dire che una serie di soggetti hanno sentito l’esigenza di incontrarsi perché nel recente associazionismo jazzistico nazionale c’era un vuoto macroscopico: quello che riguarda le idee. In Italia la realtà del jazz è assai sviluppata dal punto di vista territoriale. Una crescita che ha la sua giustificazione nel modo in cui questa musica si è sviluppata da noi, in stretto contatto con le istituzioni e gli enti locali. Ma questo contatto così stretto comporta un pericolo, quello di vivere in modo del tutto subordinato rispetto al settore pubblico. C’è, invece, l’esigenza di crescere anche con le proprie forze, lavorando sulle idee, sui progetti, sulla capacità di collaborare creativamente.

E quali sono gli obiettivi che, seppur in parte (tenendo conto del fatto che il sodalizio è nato da poco tempo), ha raggiunto?
Giustamente siamo nati da poco. Il primo obiettivo raggiunto è stato quello di fare breccia nel mondo del jazz nazionale. Siamo nati in otto ora siamo venti, ci sono altre organizzazioni che sono in procinto di entrare in JIP, tutto questo indica un fatto incontrovertibile: il bisogno che abbiamo sentito noi, quando ci siamo riuniti, è largamente condiviso. Oggi JIP, coi suoi soci, rappresenta una fetta predominante del movimento nazionale, per numero di concerti, di biglietti, di investimenti.

Uno dei primari obiettivi dell’associazione è quello di favorire gli scambi con realtà internazionali, grazie a una sorta di agenzie di programmazione, la cui funzione è quella di rapportarsi ai committenti di opere pubbliche. Vorrebbe spiegarci meglio in cosa consiste questa attività?
Sul piano internazionale siamo iscritti a Europe jazz network (che, è utile ricordare, è nata in Italia per iniziativa di Filippo Bianchi). Lo siamo sia come associazione, sia con alcuni singoli membri. Il nostro lavoro è quello di stimolare quel raggruppamento spingendo soprattutto sulla sua identità geografica, nel senso che oggi è fortemente sbilanciata in senso nordista, con i soci europei settentrionali maggioritari. Noi vogliamo invece che sia rappresentata e abbia una voce quanto meno altrettanto robusta un’area altamente creativa come quella rappresentata dal sud Europa e dall’area del Mediterraneo. Faccio presente che in EJN ci sono già soci israeliani e nel board c’è addirittura un socio residente in Australia.

Marco Molendini

Una domanda che potrebbe risultare pleonastica: c’è competizione con I-Jazz e la Federazione nazionale del jazz italiano?
La competizione con i-jazz non ci può essere, perché facciamo mestieri diversi. Noi, nel momento in cui abbiamo costituito l ‘associazione, avevamo ben chiaro in testa che non volevamo essere un’agenzia di festival che si occupa di procacciare finanziamenti pubblici per i propri soci. Siamo altro, il nostro obiettivo è stimolare l’attività dei singoli soci, appunto con il concorso delle idee e con lo scambio di progetti. Insomma essere un network creativo. Quanto alla Federazione in un primo tempo abbiamo chiesto di essere associati. Il primo voto della Federazione è stato un no. A bocciare il nostro ingresso sono stati i-jazz, che evidentemente temeva la concorrenza, l’associazione dei musicisti e quella dei fotografi. Questo voto, che poi è stato corretto  (sempre con la posizione contraria di i-jazz) quando ormai JIP aveva preso la sua strada e aveva capito che nella Federazione ci son cose che non vanno, spiega il problema. Una Federazione per funzionare deve tenere insieme interessi comuni. Mi spiega quali possono essere gli interessi comuni fra soggetti che fanno altri mestieri e sono addirittura controparti? E che senso ha, per esempio, che un’associazione di musicisti e una di fotografi dicano no a un’associazione che conta fra i suoi membri il più grande festival italiano, Umbria jazz?

Allo stato attuale, quali sono gli enti che ne fanno parte?
Come dicevo Jip è partita per iniziativa di 8 soci, oltre a Umbria jazz, Crossroads, Jazz in Sardegna, Bologna jazz, Pomigliano jazz, Saint Louis music center, Veneto jazz, Visioninmusica. Poi sono arrivati gli altri: Roma jazz festival, Catania jazz, Young jazz, Festival Dromos Oristano, Nora jazz, Jazz club Bologna, il Torrione di Ferrara , Padova jazz, PercFest di Laigueglia, Nomos jazz Palermo, Musicarte Caltanissetta, Brass group di Alcamo.

A suo avviso, qual è il ruolo che deve avere un’impresa culturale nel tessuto socio-economico italiano?
Nel nostro paese, specie in questo momento, c’è gran smarrimento per tutto quello che è successo, parlo del covid, ovviamente. Ma oltre alla necessità di un intervento pubblico che sostenga tutto il mondo dello spettacolo dal vivo, che evidentemente ha sofferto in modo profondo in tutte le sue componenti, c’è bisogno di aver molta attenzione perché questo sostegno sia destinato non solo a tamponare la situazione ma a stimolare un sistema, insomma siamo contro i soldi a pioggia, ma favorevoli a interventi che possano premiare la professionalità e le capacità, in modo da rimettere il motore della musica a pieno regime.

Ovviamente, un’associazione come Jazz Italian Platform non può prescindere dall’avere dei rapporti istituzionali. Quali sono i vostri rapporti con il ministero di riferimento?
Siamo in una situazione particolare. Il jazz, qualche anno fa, diciamo due governi fa, ha avuto un’apertura di interesse inedita da parte del governo grazie alla presenza di un ministro, Franceschini, che ne ha pronunciato per la prima volta la parola. Quell’apertura ha significato anche interventi economici, come il bando del jazz. Dobbiamo evitare che quella sorgente economica improvvisa si trasformi in un boomerang. Mi spiego: l’uso di quelle nuove risorse deve essere rigoroso, efficace, produttivo, altrimenti ci vorrà un attimo per ripiombare nel passato, se non peggio. E, quando dico rigoroso, dico che deve premiare le capacità, la professionalità, la creatività, i risultati più che i rapporti. Noi abbiamo registrato la nostra presenza presso il ministero, abbiamo avuto contatti con i suoi dirigenti, siamo sicuri che appena ce ne sarà occasione ci sarà un confronto anche con le nostre posizioni, visto anche che rappresentiamo la parte più cospicua di questo mondo.

Jazz Italian Platform offre anche dei servizi ai propri iscritti?
Come dicevo non siamo un’agenzia di servizi. Ma non escludo che in futuro ci possa a essere anche una condivisione operativa.

Marco Molendini

Durante il c.d. lockdown provocato dalle restrizioni imposte in conseguenza del Covid-19 il sodalizio da lei presieduto ha svolto o promosso delle attività?
Durante il lockdown ci siamo subito mossi per cercare di indirizzare gli interventi di sostegno pubblici verso l’utilità maggiore e non verso la distribuzione a pioggia. Sul piano dell’attività artistica abbiamo messo insieme, credo che sia la prima volta, un festival on line, trasmesso sulla nostra pagina facebook e su quelle dei singoli festival, una lunga serie di concerti, con protagonisti i più importanti jazzisti italiani, organizzati dai nostri soci e che hanno avuto un ottimo riscontro.

Qual è il bilancio delle organizzazioni associate a JIP per le attività svolte quest’estate?
Il bilancio è molto confortante. Il jazz, paradossalmente, ha conservato un rapporto forte con il suo pubblico, in proporzione molto più di quanto non sia accaduto al pop. I concerti estivi sono andati mediamente bene, pur con le restrizioni del distanziamento. Bisogna sapere, però, che oggi fare un concerto con distanziamento, conservando per gli artisti i cachet professionali che giustamente richiedono, significa fare attività in perdita.

Quali sono i prossimi impegni di JIP?
Abbiamo la convention a Bologna, nei giorni 10 e 11 ottobre, organizzata da Jazz Network durante il festival, dedicata a un fenomeno territorialmente assai ampio che è quello delle orchestre, organici che hanno una valenza culturale e sociale importantissima ma non trovano sostegno nel quadro legislativo vigente. E’ una dimostrazione eloquente di cosa significhi per noi fare politica: lavorare nell’interesse generale, facendo proposte concrete per risolvere contraddizioni e problemi del nostro mondo.
Alceste Ayroldi