Intervista a Lisa Manara

Uscirà nel 2024 il primo Ep della vocalist romagnola, anticipato dal singolo Lasciami cadere.

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Buongiorno Lisa, vorrei iniziare parlando del tuo EP in fieri, che uscirà nel 2024. A parte il brano Lasciami cadere, potresti dirci qualcosa in più su questo lavoro?Questo lavoro è nato senza la necessità che diventasse un lavoro unitario. Si tratta di brani che ho scritto negli anni, ma che a distanza di tempo, riascoltando ho intuito rappresentassero uno spaccato della mia personalità artistica perché non potevano avere altra forma se non quella primordiale: io e il pianoforte che ci inseguiamo e supportiamo, la melodia che esce libera dalla mia bocca e le parole che giorno dopo giorno si fanno più nitide, scritte su qualche foglietto di carta o tra le note del telefono. In quel periodo collaboravo con il batterista Youssef Ait Bouazza che mi ha aiutata nel definire la struttura del brano e nella ricerca dei suoni che più si accostassero alla mia personalità artistica. Federico Squassabia ha prestato con grande cura le sue mani per la registrazione del pianoforte.

Lasciami cadere è un brano autobiografico. Cosa racconta?
È un brano totalmente autobiografico, non riuscirei a scrivere nulla di cui non conosca a fondo la reale intensità. Lasciami cadere non ha una trama, un percorso ma è un complesso caotico di immagini e sensazioni del rapporto con mio padre, che sono impresse nel derma del mio inconscio. Una claustrofobica vicinanza e lontananza, l’uno il riflesso dall’altro da cui però ci si vuole affrancare; un amore che a volte non rispetta le nostre aspettative di figli perché l’unica cosa che vorremmo è poter sentirci liberi di essere, di sbagliare e quindi di cadere.
Un’altra nota autobiografica del brano è il suono del pianoforte che accompagna tutta la canzone e con cui, fin dall’età di 4 anni, ho conosciuto la musica e tuttora compongo i miei brani. Volevo che fosse protagonista della canzone e accompagnasse in modo delicato le parole del testo. Mi piaceva l’idea di recuperare la primordiale natura del brano e vestirlo di pochi ulteriori dettagli per mantenere la sua semplice essenza.

Dal punto di vista musicale, almeno questo brano attesta che hai messo da parte la via del jazz e del blues. E’ questa la direzione in cui vuoi andare come compositrice?
Quando compongo non ho la velleità di dare una direzione univoca e precisa a ciò che scrivo ma credo che la musica si tinga di tutto ciò che finora mi ha attraversato e con cui la mia emotività è entrata in risonanza. Il jazz e il blues intesi nella forma più canonica probabilmente non sono presenti nei miei brani scritti finora, ma si ritrovano nelle inflessioni che spontaneamente la mia voce segue, o nella ricerca di un sound minimale e libero da sovrastrutture.

Invece, parlando dei tuoi altri progetti L’urlo dell’Africanità va in tutt’altra direzione, visto che metti insieme le grandi voci del passato e del presente. Come è nato questo progetto e come hai selezionato le artiste da rappresentare?
Come tante cose nella vita accadono dall’incontro con altre persone, così anche questo progetto è nato entrando in contatto con nuovi musicisti che mi hanno introdotto e stimolato a conoscere il mondo della musica sudafricana. Il progetto prese forma circa sette anni fa con musicisti del calibro di Federico Squassabia , Aldo Betto e Youssef Ait Bouazza. Già da qualche anno mi ero appassionata alla musica africana e soprattutto a quella del Mali con artisti come Ali Farka Tourè, Fatoumata Diawara e Oumou Sangarè. Dapprima mi sono avvicinata perché travolta da questi ritmi e poliritmie che ti fanno muovere in modo incondizionato e libero, che ti fanno battere mani e sorridere tanto, poi ho iniziato pian piano a scoprire la cultura che c’è dietro e quanto la musica sia centrale nella quotidianità di qualunque africano. La tesi che decisi di fare al conservatorio verteva proprio sul legame tra musica sudafricana e jazz, fu così che ebbi modo di conoscere  ancora più nel profondo la storia della musica sudafricana.  Mi appassionai alla maestosa figura di Miriam Makeba che rappresentò nel mondo la voce del suo popolo in un periodo di grande oppressione. Mi hanno sempre affascinata le artiste che hanno fatto della loro musica un’espressione di rivalsa da una condizione di assoggettamento e hanno messo tutto il loro talento al servizio della lotta contro le ingiustizie che le vedevano coinvolte. È proprio questo il filo che unisce tutte le artiste che ho scelto di interpretare in questo progetto: Miriam Makeba, Nina Simone, Fatoumata Diawara, e l’Urlo dell’Africanità rappresenta la necessità di rivendicare la propria identità, il proprio posto nel mondo.

Invece, il progetto in duo quale repertorio affronta?
Il progetto in duo con Aldo Betto, ripropone alcuni brani del jazz del Sudafrica, rivisitati in chiave più acustica, per poi proseguire alla scoperta della morna e colaidera di Capo Verde, del fado portoghese e di tutte quelle melodie che portano con sé un groviglio di influenze che dilatano i confini musicali fini a farli scomparire.

Hai partecipato anche alla trasmissione televisiva The Voice. Ci racconteresti di questa esperienza?
L’esperienza a The Voice è stata per me molto pesante emotivamente. Non avevo nemmeno vent’anni, ero immatura ed il piccolo schermo ha dinamiche e tempistiche che ignoravo totalmente, di conseguenza fu difficile per me gestire la pressione esercitata dal format e portare sul palco la mia personalità. Ora, più di 10 anni dopo, probabilmente riuscirei a viverla con più leggerezza.

Lisa Manara

Per due anni hai collaborato con Gianni Morandi. Come è nato questo sodalizio?
La collaborazione con Gianni è arrivata inaspettatamente. Il caso vuole che il direttore della band Alessandro Magri cercasse cantanti in zona Bologna per un nuovo tour di Gianni Morandi. Quasi un  mese di prove per mettere in piedi uno spettacolo che avremmo portato poi a calcare circa 70 palchi tra cui l’Arena di Verona, l’Anfiteatro di Taormina e tanto altri. Mi sono gettata in questa esperienza, curiosa di scoprire un mondo nuovo. Un lavoro completamente diverso da ciò che avevo fatto fino ad allora. Ho potuto constatare quanto lavoro e preparazione ci sia dietro ad un grande show che include la cura di tantissimi aspetti: tempistiche, posizioni sul palco, l’immagine, luci, e ovviamente la musica che deve essere il filo conduttore della serata.

Lisa, qual è il tuo background culturale e di studi?
Mi sono diplomata al liceo scientifico e se non avessi deciso di intraprendere subito dopo il percorso di studi al conservatorio di jazz, probabilmente avrei intrapreso un percorso inerente alle materie umanistiche, psicologia o filosofia, o ancora mi sarebbe piaciuto diventare veterinaria.  Scelsi di proseguire con la musica, e a quel punto mi laureai al biennio superiore di canto jazz al conservatorio di Ferrara.

Cosa ti ha spinto a diventare una cantante?
Faccio la cantante perché non riuscivo a raccontare chi fossi realmente, mentre dentro di me sentivo bene la mia personalità seppur contraddittoria e cangiante, ma ero in implosione e contemplavo senza relazionarmi realmente con la società. La musica mi ha fatto rompere questi muri e la voce che è lo strumento più in relazione con l’emotività  perché ne subisce gli effetti e i mutamenti , è la mia possibilità di stare nel mondo e con esso.

Segui un processo particolare quando scrivi e/o componi?
Solitamente le canzoni nascono seduta ad un pianoforte, un’idea melodica ripropongo con la voce e le parole che giorno dopo giorno si fanno più precise e sartoriali. Nei periodi di scrittura, mi aiuta tantissimo stimolare la mia immaginazione attraverso la lettura .Non ho un metodo predefinito, è un lavoro di artigianato in cui le immagini, emozioni o vissuti si traducono in musica nel modo più autentico possibile.

Quale musica ascolti in questo periodo?
Mi piace ascoltare un po’ di tutto, solitamente mi innamoro di un artista e per un periodo esiste solo quello nelle mie orecchie. In questo momento Benjamin Clementine mi sta accompagnando ormai in tutti i miei viaggi.

A tuo avviso in Italia una (o un) giovane musicista ha le possibilità di intraprendere una carriera artistica di successo?
Le possibilità di poter vivere solo d’arte e farlo in un modo dignitoso, oggi credo sia molto limitata. La musica è poco strutturata in termini di percorsi di carriera, poco regolamentata anche a causa dell’esponenziale accelerazione tecnologica, mancano tutele e diritti dei lavoratori dello spettacolo ed una riconoscibilità sociale del lavoro. Un altro tema importante sono gli spazi dedicati ad essa che stanno via via riducendosi, soprattutto i piccoli/medi club che potrebbero ospitare realtà emergenti.

Poi, il fatto di essere donna è ancora un problema? Esiste il gender gap nel sistema della musica italiano?
È innegabile che il gender gap esista e la musica italiana non sia esente da questo meccanismo. Il mondo musicale è pieno di stereotipi di genere e modelli culturali che si sono consolidati nel tempo. Ci sono meno donne sui palchi, sui cartelloni dei festival, sulle piattaforme digitali, in classifica. Sono pochissime le donne nei ruoli di autrici, direttrici, produttrici, musiciste, ingegnere del suono o in posizioni apicali, c’è un mancato riconoscimento della professionalità e del valore. Credo che alcuni passi in avanti si stiano facendo e soprattutto che stia crescendo la consapevolezza e l’attenzione a questo problema.

Quali sono i tuoi modelli di riferimento in campo musicale?
Moltissimi e cambiano continuamente. La mia prima musa ispiratrice fu Janis Joplin che mi folgorò con questa emotività travolgente; nel tempo ho avuto diversi innamoramenti musicali da Nina Simone, a Cesaria Evora, Fatoumata Diawara, Lhasa De Sela, HER, Jeff Buckley, Anthony and the Johnson per poi arrivare al cantautori italiani come Elisa, Dalla, Battiato. Mi piace curiosare e lasciarmi ispirare da giovani cantautori come Emma Nolde, Daniela Pes, Venerus e tanti altri che mi fanno vibrare le corde giuste.

Quali sono gli aspetti che preferisci del tuo lavoro?
Nel mio lavoro mi stimola tantissimo la continua ricerca che ci deve essere, il non farsi bastare le proprie conoscenze apprese: lessicali, strumentali, culturali. Fare l’artista significa farsi coinvolgere ogni giorno da qualcosa di nuovo, è un continuo lavorio di avvicinamento a sé, alla propria emotività. Un altro aspetto di cui rimango ogni volta meravigliata è la magia del palco che ogni volta svela parti di me che nella quotidianità tengo al guinzaglio e mi dà la possibilità di donare qualcosa agli altri.

Quali sono i tuoi prossimi impegni e quali i tuoi obiettivi?
A brevissimo uscirà l’Ep del progetto live L’Urlo dell’Africanità di cui sono molto felice; di certo non tarderanno ad uscire anche i brani che mi vedono come cantautrice, dimensione che ho intenzione di indagare sempre di più. Quest’estate ho avuto l’opportunità di aprire il concerto di Fabio Concato nell’ambito del festival umbro Suoni Controvento, portare al pubblico brani che hanno le mie parole ed i miei suoni, è un’esperienza sublime. Non mancheranno anche numerosi concerti, poi chissà, solitamente i piani si scompigliano sempre.
Alceste Ayroldi