Intervista a Laufey

Laufey Lín Jónsdóttir, meglio nota come Laufey ha vinto il Grammy Award come Best Traditional Pop Vocal Album con «Bewitched». Questa è la nostra intervista uscita sul numero di Musica Jazz di settembre.

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Non Lofey o Lovey, ma – come ci spiega lei stessa – Laywey (secondo l’accezione inglese). C’è da dire che è molto tollerante sulla pronuncia del suo nome, alle quali storture è abituata. Ventiquattro anni, cantante, violoncellista e pianista, e numeri da record: 425 milioni di ascolti in streaming; oltre 12 milioni di ascolti mensili su Spotify. Se pensiamo che Miles Davis ne ha appena due milioni e mezzo, Herbie Hancock sfiora i due milioni, i blasonati Snarky Puppy, che spesso sono in Italia, non arrivano alle 500.000 unità. A ciò si aggiunga un tour mondiale sold out. Laufey, al secolo Laufey Lín Jónsdóttir  è islandese di nascita e paternità, ma cinese da parte di madre e la sua voce evergreen, calda, penetrante e ricca di armonici, è già un «caso di studio» perché – strano a dirsi – i suoi concerti sono affollati da tantissimi giovani. «Bewitched» è il suo ultimo lavoro discografico che la vede protagonista non solo alla voce, ma anche a buona parte degli strumenti. Un album bello, classico ma splendidamente contemporaneo.

Buongiorno Laufey, piacere di conoscerti. Pensa che mi parlò di te circa cinque anni fa Mathieu Jaton, il direttore artistico del Montreux Jazz Festival: ci aveva visto giusto, ora sei una star!
Grazie a te e a Musica Jazz per avermi invitata. Sono stata a Montreux giusto poche settimane fa: è stato bellissimo!

Partiamo dall’inizio. Sei cresciuta in una famiglia molto musicale: tua madre e tua sorella suonano entrambe il violino e tu stessa hai una formazione classica in violoncello e pianoforte. In che modo la tua educazione ha ispirato il tuo sound?
Moltissimo. Crescendo con la musica classica e cantando musica jazz, ho sempre voluto portare questi stili musicali alla mia generazione, alle persone della mia età, perché sono sempre stata l’unica persona giovane ad ascoltare quel tipo di musica e sapevo che i ragazzi della mia età l’avrebbero apprezzata, ma avevano bisogno di sentirla da qualcuno di giovane. Mi ha ispirato molto nelle canzoni che scrivo, ho sempre il violoncello, ho registrato molto con l’orchestra sinfonica e suono il violoncello e il pianoforte in tutte le mie registrazioni e faccio molte scelte classiche; ad esempio, nel mio prossimo album cito Rachmaninoff, cito Bach e molte altre influenze classiche, e anche Ravel sono nascosti lì dentro, molto. E credo che la ragione per cui oggi sono una musicista classica e jazz.

Hai affermato: «Come musicista, il mio obiettivo è portare il jazz e la musica classica alla mia generazione attraverso un percorso più accessibile». La domanda è: come si fa?
Quello che ho fatto credo di averlo tradotto ai giovani. Nessuno vuole sentirsi dire dagli adulti cosa deve fare; ascolto i ragazzi della nostra età, quindi credo che per me i social media siano stati molto importanti, come Instagram e Tik Tok, per quanto possa sembrare stupido è lì che si trovano i giovani. Quindi faccio video su quella musica, sono influenzata da quella musica, condivido ogni giorno quello che sto ascoltando e di solito si tratta di dischi jazz o classici con playlist e li condivido. Ho avuto uno spazio radiofonico con la BBC, il canale classico; lavoro con l’orchestra sinfonica, suonerò con la National Symphony qui e con la Los Angeles Philarmonic a settembre; poi con la China Philarmonica, con la quale sto registrando, portando i giovani in questi ambienti perché ci sono io, è un’altra parte di questo lavoro, ma è anche una sorta di creazione di qualcosa che non è così seria. Crescendo mi sono resa conto di quanto la musica possa essere seria e scoraggiante: ascoltando Bill Evans o Coltrane, sentivi che dovevi davvero capirla e studiarla in ogni sua parte per essere in grado di ascoltarla, partecipare e parlarne, e dopo aver imparato tutto questo mi sono detta: che ne dici di fare di nuovo musica? Solo qualcosa da ascoltare, non devi essere in grado di essere istruito o di dover conversare su di essa, devi solo godertela.

Sei incredibile perché è molto difficile avere, soprattutto in Italia, ad un concerto di jazz, dei giovani.
È divertente! Ho suonato in festival jazz: a Newport, ho suonato a Montreal, molti di questi si sono trasformati anche in festival quasi pop, e ho suonato al Gand festival, sai festival dove in realtà c’è soprattutto una generazione più anziana ed è buffo che io attiri, in particolare, un pubblico molto giovane al mio spettacolo. Tutti gli organizzatori e i collaboratori dell’evento vengono sempre da me, di solito sono uomini anziani, e mi dicono: «il tuo pubblico è così giovane!» La mia speranza è che vengano ai miei spettacoli e magari, la sera prima o quella successiva, vedano un trio che si esibisce e vadano lì ad ascoltare e a conoscere anche loro.

Hai mai suonato in Italia?
No, non l’ho fatto. Ho suonato a un matrimonio a Firenze, ma non credo che conti perché era per un islandese e gli invitati erano tutti islandesi. Ma sono stata in vacanza in Toscana tre volte e quest’anno ho trascorso un paio di giorni in una stanza a Firenze ed è stato così bello e la adoro:  alcuni dei miei più cari amici vengono da lì, quindi penso che suonerò lì l’anno prossimo e non vedo l’ora.

Parliamo del tuo ultimo album «Bewitched». Qual è stata la genesi di questo disco?
Ho pubblicato il mio primo album «Everything I Know About Love» circa un anno fa e mi sono detta che se avessi avuto abbastanza energia avrei disco un altro album e in qualche modo l’ho fatto. Credo di essere tornata alle mie radici in questo album. Con il mio primo disco ho pensato: vediamo fino a che punto posso spingermi nella musica jazz e classica senza spaventare i giovani. Quindi, in quell’album ci sono un po’ più di influenze pop e anche altro. Una produzione moderna, quello che volevo ci fosse in questo album e poi ho trovato quello che piace a loro di me. Le mie canzoni più popolari sono quelle che suonano davvero jazz, che sembrano degli standard jazz, e quelle con l’orchestra sinfonica. Quindi sapevo che con questo album volevo tornare alle mie radici ed essere più naturale. Tutti gli strumenti sono dal vivo, tutte le batterie sono dal vivo, gli archi e tutto il resto, mi sono appoggiata di più alle mie radici classiche e jazz. Ho lasciato vivere gli accordi più dissonanti e sì, sono davvero entusiasta, sono felice di poter fare la musica che voglio.

Perché hai scelto Promise come singolo per annunciare l’uscita del nuovo disco?
Credo che la prima canzone che ho pubblicato sia stata From The Start, che era piuttosto allegra e divertente e un po’ sfrontata, ma volevo mostrare un lato di me un po’ più serio, un po’ più maturo, come se fosse un po’ più vecchio sia nella scrittura che nella musicalità, quindi penso che sia stata quello il motivo, perché è una ballata al pianoforte ma con degli archi, ho pensato che esprimesse bene il mood dell’album. Quest’anno ho preso un pianoforte a coda che è nel mio appartamento e ho iniziato a scrivere al pianoforte, quindi scoprirete che c’è molto più pianoforte rispetto all’ultimo album e Promise è una di quelle canzoni che esprime al meglio questo concetto.

La tua voce è senza tempo e senza età, dove hai studiato? Chi è il tuo mentore per la voce? Quanto tempo dedichi alla tua voce?
Ho preso qualche lezione di canto quando ero un’adolescente, qualche lezione di canto jazz per un anno, dove ho studiato la forma, ma non ho mai preso lezioni di canto regolarmente e, probabilmente, dovrei farlo per proteggere la mia voce. Però, sono sempre stata una studentessa di musica, ho studiato violoncello e pianoforte da quando avevo quattro anni, quindi penso che il mio modo di cantare sia molto simile a come suono il violoncello, i suoni sono molto simili. Penso che sia l’educazione musicale in generale che mi ha insegnato e anche l’ascolto: ho ascoltato molti dischi, Ella Fitzgerald e Billie Holiday, Chet Baker e Astrud Gilberto e penso che lentamente ho capito e imparato e copiato un po’ il loro stile vocale, ma penso che sia soprattutto che canto come suono il violoncello, è da lì che ho preso il mio stile.

Chi ti accompagna in «Bewtiched»? Chi sono i musicisti di questo album?
Ho lavorato con il mio produttore, Spencer Stewart, e abbiamo suonato la maggior parte delle canzoni insieme: abbiamo suonato tutto. Io suonavo il piano, la chitarra, il violoncello e lui il basso e la batteria. La maggior parte delle canzoni sono così, stratificate, e anche mia sorella gemella ha suonato il violino in alcune di esse. Così abbiamo semplicemente sovrapposto archi su archi per farli suonare come un’orchestra d’archi, due canzoni sono registrate. Questo è stato possibile perché ho scritto le canzoni perché mi sento come se le suonassi, in un modo molto specifico, quindi mi piace suonare il pianoforte e la chitarra e il violoncello, e poi il mio produttore suona la batteria e il basso e a volte anche la chitarra, quindi siamo noi. Abbiamo suonato con la Philarmonia Orchestra e la Symphony Orchestra di Londra, per Bewitched e California and Me, e per altre due canzoni abbiamo avuto un trio jazz con cui abbiamo registrato dal vivo.

Sei cresciuta tra due mondi diversi, Reykjavik e gli Stati Uniti. In che modo, secondo te, il tuo retaggio culturale ha formato ciò che sei e il tipo di musica che crei?
Sì, lo ha fatto. Credo che crescere tra tante culture diverse mi abbia reso molto naturale mescolare culture diverse e stili musicali differenti tra loro. Non ho mai visto confini molto netti tra i generi, perché sono cresciuta in mezzo a tanti stili musicali diversi; sono anche mezza cinese, quindi ho imparato molto anche da quel lato della mia identità. Non so se sia una risposta chiara, ma crescendo e spostandomi spesso, ho sempre trovato una casa nella musica e non ho mai sentito il bisogno di attenermi a uno stile, a un’identità. Non sono mai stato sola islandese o solo cinese o solo americana: sono stata un po’ tutto e lo stesso vale per la musica, non sono mai stata solo una cosa.

C’è una ragione particolare per cui preferisci tempi musicali lenti o medi?
Penso che sia solo il mio stile di scrittura, scrivo in tempi lenti o medi, non lo so, penso che le parti in levare siano così divertenti, ma non mi ci sono mai buttata. Il mio upbeat è probabilmente il mid tempo del mondo.

Non posso fare a meno di chiederti una cosa. Sei la cantante jazz più ascoltata nel 2022. Hai 425 milioni di ascolti in streaming. Tournée da tutto esaurito. In un momento storico in cui il jazz fatica a farsi ascoltare, soprattutto dai più giovani, tu ottieni risultati incredibili. A parte ciò che hai già detto, qual è il tuo segreto? Che cosa hai fatto per attirare l’attenzione di un pubblico così vasto?
Penso che sia stato possibile entrare in contatto con i fan, mostrando loro che sono reale e umana e che sono parte integrante di questo progetto e mostrando loro il mio apprezzamento nei loro confronti e che non sarei in grado di fare ciò che faccio senza di loro. Quindi penso che abbiamo costruito questo tipo di comunità, in cui spero di sentirmi reale con loro perché loro si sentono molto reali con me. Credo che un altro segreto sia che nessuno chiedeva questa musica per le persone della nostra età e, invece, ho molti più ascoltatori di quanto pensassi. Credo che sia anche uno stile di musica che mette d’accordo vecchi e giovani, che sembra familiare per un pubblico più anziano e nuovo per un pubblico giovane. E’ musica che una famiglia può ascoltare insieme, si spera, senza che sia strano per nessuno.

Dove vivi ora?
Vivo a Los Angeles, ma non sono mai qui perché sono spesso in tournée.

Perché hai scelto Los Angeles?
È una bella domanda, me la sono posta ogni giorno. Penso che qui ci siano i giovani musicisti e non direi che qui ci siano i musicisti jazz, ma è qui che ci sono i musicisti della musica pop e io faccio musica jazz, faccio musica classica, faccio musica pop e l’industria dello spettacolo è qui: tutti i produttori sono qui. Penso che anche crescere in Islanda, a Los Angeles ti dà una specie di «stelle negli occhi». E’ un posto molto eccitante in cui vivere, a questo punto della mia carriera. E’ un bel posto tranquillo in cui vivere.

Los Angeles è la città del cinema, dei film e penso che la tua musica potrebbe essere molto adatta a un film romantico.
Lo spero, questo è il mio sogno! Voglio davvero farlo.

Laufey
Foto di Gemma Warren

Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sicuramente continuare a fare questo e continuare a divertirmi e a sorprendermi ogni giorno. In questo momento della mia carriera tutto ciò che sta accadendo di nuovo e tutto ciò che sta nascendo è molto eccitante. Quindi spero di poter continuare a crescere e a mantenere l’emozione per questo lavoro e la voglia di novità.
Alceste Ayroldi