«Omaggio a Donaggio». Intervista a Isabella Turso

Parliamo con la pianista e compositrice veneta del suo personale tributo a Pino Donaggio, uscito in vinile colore bianco e in serie limitata, e di molto altro.

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Buongiorno Isabella e benvenuta a Musica Jazz. Inizierei subito dal tuo ultimo lavoro discografico «Omaggio a Donaggio». Naturalmente, la prima domanda è perché Pino Donaggio?
Buongiorno Alceste, il mio tributo a Donaggio rappresenta la sintesi perfetta delle mie principali passioni, la musica il cinema e la canzone d’autore. Con Pino si è creata un’empatia speciale che mi ha dato l’ispirazione per realizzare questo album di brani per pianoforte, in uno stile tra musica classica, jazz e contemporanea.

La domanda potrebbe sembrarti oziosa. Quanto c’è in questo disco di Pino Donaggio e quanto di Isabella Turso?
Non è un album di arrangiamenti pianistici, ma è un album di brani originali per pianoforte in cui ho preso spunto dai temi di Donaggio per ricreare qualcosa di nuovo. Ho fatto dialogare alcuni suoi temi con i miei, inseriti in nuove atmosfere. Ho pensato che il modo migliore per rendere omaggio a un grande artista non dovesse limitarsi a riarrangiare le sue musiche, ma dimostrare quanto egli possa essere fonte di ispirazione creativa inesauribile per le nuove generazioni. Credo che il mio lavoro non tradisca la natura di ogni brano, ma semmai tenda a estenderne le possibilità espressive, al di là del contesto originale, e possa soprattutto rappresentare un colorato omaggio a un grande musicista italiano.

Pino Donaggio e Isabella Turso

Hai seguito un criterio per selezionare i brani?
Ho ascoltato per giorni e giorni quasi tutto il suo repertorio e devo dire che a un certo punto dev’essersi creata una sorta di fusione, perché avevo assorbito più di quanto potessi immaginare e la stesura dei brani è stata molto istintiva. Ho scelto i temi che più si legavano alla mia sensibilità musicale e inoltre ho scelto i brani legati ai film che mi hanno appassionato particolarmente, a partire dai film Brian De Palma.

Come hai agito in fase di composizione?
Dopo la selezione dei brani ho cercato di legare subito le musiche ai video. Ogni brano è intimamente legato alle immagini e questo mi ha aiutato molto a sperimentare con la creazione di nuovi temi. Ho utilizzato principalmente temi tratti da colonne sonore, ai quali ho poi aggiunto due canzoni Io che non vivo e Come sinfonia, nonché Past Shadows, un brano che ho composto a quattro mani con Pino Donaggio. Nella scelta dei titoli mi sono divertita a giocare liberamente con anagrammi, citazioni e stravaganti invenzioni.

Isabella, mi sembra di capire, anche dalla tua discografia, che ti piace suonare da sola. Mi sbaglio?
Ti sbagli! In realtà amo condividere la mia creatività con altri colleghi, tant’è che ho realizzato un intero album con un rapper italiano, Dargen D’Amico. Mi sono esibita moltissimo con orchestre e gruppi da camera, ho avuto l’occasione di eseguire le mie musiche con Paolo Fresu e l’orchestra sinfonica. Ho suonato tanto in formazioni classiche, jazz, rock e ultimamente ho sperimentato anche l’hip hop. Giusto per non farmi mancare nulla.

Nelle tue corde si ascolta, in maniera direi quasi costante, un’inclinazione al jazz. E’ solo una mia impressione?
L’inclinazione c’è ed è viscerale. Sono colori jazz che cerco di inserire nel mio linguaggio più classico. Non nasco jazzista e generalmente la mia è musica scritta, ma non posso fare a meno di quelle atmosfere.

Anche se accanto al tuo nome compare sempre un genere musicale che non riesco a collocare: neoclassical. Ci spiegheresti l’accezione di questo termine?
Bravissimo! Ti ringrazio per questa domanda. È la discografia che ti impone di essere inserito in un preciso contesto. Non condivido questa esigenza di voler sempre incasellare qualcosa di nuovo in un determinato settore, dargli un nome, un’identità di genere. Se proprio devo trovare una definizione direi che neoclassical si riferisce sostanzialmente una composizione contemporanea che utilizza stili, forme e strutture tipici della musica classica, ma attraverso un linguaggio melodico e armonico che rispecchia la sua contemporaneità e anche la sensibilità dell’autore, traendo spunto da esperienze variegate che vanno oltre la musica colta/seria, ma che interessano anche il genere popular e il folclore. Nel mio caso direi che sono una pianista classica ma non la classica pianista.

In realtà, mi piace molto di più la definizione che ha dato del tuo approccio pianistico il compositore statunitense Maury Yeston: «classica-jazzista, che esegue i propri brani, scritti con un’evidente impostazione classica, come se fossero improvvisati». Ti ritrovi in questa definizione?
Mi ritrovo totalmente. Yeston ha capito subito senza dovergli spiegare nulla, ha scoltato dal vivo la mia esibizione all’Opera America Center di NY, ed è venuto a salutarmi nel backstage dopo il concerto, dicendomi quella frase che traduce al meglio quello che faccio, mentre eseguo la mia musica e mentre la scrivo.

Tornando al jazz, nel tuo universo musicale ci sono dei riferimenti pianistici a dei jazzisti in particolare?
Sempre Maury Yeston mi disse che gli ricordavo Dave Brubeck e difatti la sua musica mi ha accompagnato per una bella parte della mia adolescenza. Oltre a lui ho ascoltato tanto Peterson, Ellington, Evans, Monk, Corea e molti altri.

Sei anche direttore artistico della casa discografica con la quale hai licenziato il tuo omaggio a Pino Donaggio, la Bluebelldisc. Ce ne vorresti parlare?
La Bluebelldisc è un’etichetta che raccoglie l’eredità artistica della Bluebell Records e Belldisc Italiana, storici marchi fondati da Tony Casetta negli anni Sessanta che tennero a battesimo il grande Fabrizio De André, ma non solo. Ho raccolto la proposta del manager della label, Andrea Natale, di scegliere i progetti artistici da produrre e distribuire. Soprattutto alla scoperta di nuovi talenti da seguire passo dopo passo in un mercato, quello discografico, assai tortuoso e sempre meno incline a supportare la qualità artistica.

Hai numerose e differenti collaborazioni. Ce ne è una, in particolare, che ha influenzato il tuo modo di vedere la musica?
Ognuna di queste collaborazioni, proprio perché molto diversificate, mi ha influenzato al punto da farmi scegliere una direzione che sto perseguendo con sempre maggiore consapevolezza e passione e che mi sta portando a delineare in maniera sempre più chiara la mia figura artistica.

Isabella, qual è il tuo background artistico?
Ho conseguito la laurea in pianoforte e in musica da camera presso il conservatorio di Trento, la mia città natale. Mi sono perfezionata all’Accademia pianistica di Pescara e all’accademia Marshall di Barcellona. Nasco quindi come interprete del repertorio classico, ho lavorato molto anche nell’ambito della musica contemporanea, sperimentando il repertorio del Novecento. Ho avuto la fortuna di lavorare per tanti anni con un artista che ha fatto della poliedricità il suo marchio distintivo, Maurizio Dini Ciacci. Da lui ho appreso tanto del linguaggio compositivo e della magia dell’interpretazione.

Ti è venuto mai in mente di lasciare l’Italia?
Certo! Tante di quelle volte! L’ho lasciata per due anni trasferendomi a Barcellona, dove ho studiato lavorato e condiviso tante esperienze artistiche meravigliose. Poi però i casi della vita hanno deciso per me, ho avuto un figlio e questo mi ha fatto scegliere di rimanere in Italia, ma sono sempre stata in movimento, escludendo ovviamente questo ultimo terribile momento storico che ha fermato un po’ tutti.

Cosa è scritto nell’agenda di Isabella Turso?
C’è una collaborazione con un artista americano, di cui non posso ancora svelare il nome, a cui tengo molto. Inoltre sto per entrare in studio a registrare nuovi brani per pianoforte e archi.
Alceste Ayroldi