«People». Intervista a Igor Caiazza

Nuovo lavoro discografico per il batterista, compositore e bandleader campano. Il 21 gennaio sarà di scena presso il Mileston jazz club di Piacenza.

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Buongiorno Igor e bentornato a Musica Jazz. Parliamo subito del tuo nuovo disco «People», che arriva dopo due anni circa da «Blu». Qual è la genesi di questo disco e, poi, visto che non c’è un brano eponimo, perché hai voluto questo titolo?
Buongiorno Alceste. «People» è il titolo che ho scelto per il mio ultimo lavoro perché le composizioni musicali sono state ispirate dai luoghi, dalle situazioni, dalle occasioni, dalle sensazioni, dalle emozioni provate nel corso di questi anni, tutto ciò influenzato e dominato da un unico filo conduttore: gli esseri umani, ovvero, le persone che hanno accompagnato, volutamente o involontariamente, questi momenti della mia vita.

Qual è, sempre che ci sia, il filo conduttore tra «Blu» e «People»?
Premettendo che sono molto istintivo, come persona e quindi come musicista e compositore, scrivo sempre in modo estemporaneo, spontaneo. Posso dire che il filo conduttore tra «Blu» e «People» è proprio la semplicità, l’immediatezza della musica, dei brani, che puntano all’ascolto leggero, spensierato, che però, tengo a specificare, non per questo superficiale.

Un disco riflessivo, a tratti malinconico, anche allorquando si intona un samba. Però vi è sempre un marcato senso dell’ironia. Ora, queste sono le mie sensazioni all’ascolto. Coincidono con i tuoi obiettivi, oppure la tua chiave di lettura è un’altra?
Credo che la musica abbia la fortunata caratteristica di avere più chiavi di lettura, in base a chi l’ascolta, a quando l’ascolta, a come l’ascolta. Premesso ciò, ad un certo momento ho scoperto che la vita può essere molto più semplice e leggera di quanto spesso rischiamo di renderla. Le cose importanti e necessarie sono davvero poche, e l’ironia che avverti ascoltando la mia musica in fondo è proprio il senso che do alla vita, ai momenti anche apparentemente difficili, che presi in un certo modo possono essere superati senza amarezza e sconforto.

Parliamo dei tuoi compagni di viaggio, compreso l’apparentamento con Nico Gori.
Con Nico, anche da questo il significato di People, è stato amore a prima vista! Dopo una serie di concerti effettuati l’estate prima di registrare, grazie alla naturale empatia e l’interplay umano oltre che musicale, abbiamo deciso di condividere un progetto insieme! Così, ho scritto i brani come un vestito su misura per Nico e per il suo stile e modo di suonare. Tant’è che non immaginerei mai un live di People senza la presenza indispensabile di Nico Gori!

In Frissón emerge la tua metà artistica legata alla musica classica. Cosa racconti in questo brano?
Vero, Frissón è influenzata molto dalla musica classica, fulcro fondamentale nella mia vita, che in questo caso ho cercato di mescolare al genere brasiliano che altrettanto amo. Così, questo choro è una composizione che celebra l’amicizia, la spensieratezza e l’agio che si prova con gli amici di sempre, quelli con cui non c’è nemmeno bisogno di parlare per capirsi.

Come hai agito dal punto di vista compositivo?
Ho studiato composizione tradizionale al conservatorio, e per me la conoscenza compositiva è semplicemente un mezzo per esprimere le emozioni e le sensazioni che intendo condividere con gli altri. Anche in questo caso, com’è stato per Blu, la direzione è quella della semplicità, per condividere con chiunque, anche con chi non avrebbe i mezzi perché non “addetto ai lavori”, la musica e ciò che sto cercando di trasmettere.

Ho trovato molto gradevole e originale la copertina del tuo album. Chi è l’artista che l’ha realizzata e qual è il significato?
La copertina è un’opera realizzata dall’artista Rosario Memoli, amico da molti anni e grande appassionato di musica jazz. E’ lo stesso autore della copertina di Blu, e questa volta, mentre per Blu ho avuto una richiesta ben precisa e quindi la copertina è stata realizzata “su misura”, in questo caso ho volutamente deciso di prendere una sua opera già esistente, affinché fosse celebrato appieno l’artista, la persona, per essere coerente con il disco.

A proposito di classica e jazz, quanto influisce la tua autorevole militanza nel mondo della musica classica sul tuo percorso artistico da jazzista?
Posso dire che la musica classica influisca totalmente il mio percorso da jazzista. Nel modo di scrivere ma anche nel modo di suonare. Tant’è che non credo di essere un jazzista “puro”, tradizionale, ma che sia il vibrafono, la marimba o la batteria, suono in maniera del tutto condizionata dagli studi classici e accademici. D’altronde dopo vent’anni di carriera operistica credo sia quasi impossibile non esserne condizionati, ma trovo che ciò sia un valore aggiunto, nonostante io mi sforzi continuamente per essere il più possibile somigliante a un batterista jazz tradizionale!

La tua carriera nella classica è di quelle da incorniciare: hai collaborato – e collabori – con Muti, Abbado, Boulez, Maazel, Barenboim e Dudamel; incidi per Decca, Sony, Deutsche Grammophone. Cosa ti ha condotto al jazz?
Nonostante la mia fortunata carriera nella classica, per natura ho sentito la necessità di sentirmi più libero di esprimermi. Forse non tutti sanno che la musica classica è un genere pieno di schemi, di limiti, non nel cattivo senso del termine, ma per essere eseguito a perfezione c’è bisogno di seguire determinate regole imprescindibili, che limitano la creatività dell’esecutore. Questo è un dato di fatto, e probabilmente c’è chi convive serenamente con questo modo di fare l’artista. Personalmente il mio carattere iperattivo mi ha reso a un certo punto insofferente, e così, da sempre appassionato di altri generi musicali perché batterista sin da bambino, ho deciso di iniziare a “frequentare” un genere che fosse culturalmente paragonabile alla musica colta, e che mi desse soddisfazione musicale e in quanto artista, dandomi però nello stesso tempo la libertà di esprimermi. Così, la musica jazz è stata la mia salvezza!

Dal punto di vista socio-economico quello della classica e del jazz sono due emisferi differenti? Quali sono le differenze tra questi due mondi?
Beh, ammetto che uno dei motivi per cui non ho mai abbandonato la musica classica, oltre alla fortissima passione, è che il jazz non sempre riesce a compensare determinati standard socio-economici che invece la classica può offrire. Lasciando stare il punto di vista economico, già soltanto la possibilità di essere in un Teatro come l’Opéra de Paris, la Scala di Milano, il Metropolitan di New York, l’Opera House di Sydney o l’Arena di Verona, per un Concerto, con l’emozione di suonare davanti migliaia e migliaia di persone, non credo che avrei vissuto queste esperienze se avessi suonato soltanto il Jazz. Così, ho la fortuna di prendermi il bello sia da un genere sia dall’altro, e finché dura cerco di godermi questa condizione.

Igor, ma il pubblico del jazz è più agè di quello della classica?
Affatto, anzi, credo che il pubblico più agè ce l’abbia proprio la classica. Questo però in Italia, perché all’estero invece moltissimi giovani vanno all’Opera.

Qual è la tua missione come artista?
Ecco, questa domanda subito dopo quella precedente è perfetta, perché appunto la mia missione è proprio quella di avvicinare il pubblico del Jazz alla Musica Classica e il pubblico della classica al mondo del jazz. Forse ambiziosa come missione, ma credo che i generi musicali, quelli qualitativamente e culturalmente elevati, non debbano avere erroneamente classificazioni.

L’ultimo libro che hai letto…
Il Tempo, la sostanza di cui è fatta la vita di Stefan Klein.

L’ultimo disco che hai acquistato…
West Side Story, la versione jazz di Dave Grusin.

Cosa è scritto nell’agenda di Igor Caiazza?
Dopo i bellissimi concerti al Napoli Jazz Festival, al Potenza Jazz Club, a Roma, a Salerno, con Nico Gori, Claudio Filippini e Tommaso Scannapieco continueremo a presentare People il prossimo 21 Gennaio al Piacenza Jazz Club Milestone, a febbraio al Pub il Moro di Cava De’ Tirreni, e altri concerti definiti a breve. Il 3 Marzo, con Fabrizio Bosso, Nico Gori, Luca Bulgarelli e altri amici suoneremo al Palazzo dei Congressi di Lugano un mio arrangiamento di Pierino e il Lupo in chiave Jazz, per Sestetto e voce recitante. Altri appuntamenti ancora non confermati li dirò a breve, e infine quest’anno ci sono in cantiere nuovi lavori discografici, non soltanto di jazz..
Alceste Ayroldi