La parola alle associazioni: intervista a Giovanni Serrazanetti, presidente Italia Jazz Club

Prosegue la serie di interviste con i responsabili delle diverse associazioni che in Italia radunano buona parte degli operatori d'ambito jazzistico. Oggi parliamo con Giovanni Serrazanetti, presidente dell'associazione Italia Jazz Club.

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Presidente, quando e perché è nata l’associazione Italia Jazz Club?
L’associazione è nata nel gennaio del 2018, quasi contemporaneamente alla nascita della Federazione del Jazz Italiano, nella quale l’associazione è confluita immediatamente.

Da chi è composto il consiglio direttivo?
Oltre a me da Nino Antonacci del Moody Jazz Cafè di Foggia, da Angelo Bardini del Milestone di Piacenza, da Nicolò Ferrari Bravo dell’Unisono Jazz Club di Feltre e da Mauro Picci del Dai De Jazz di Bertinoro.

Quanti sono gli iscritti e come sono distribuiti geograficamente?
Ad oggi gli iscritti sono poco meno di 20 distribuiti geograficamente su tutta la penisola, con una maggioranza di presenze al centro Nord.

Quali sono gli obiettivi che si prefigge?
L’associazione si prefigge innanzi tutto di tenere alti i valori della musica Jazz suonata nei Club, luoghi molto speciali dove la vicinanza ed il contatto tra pubblico e musicisti, uniti alla assenza di quella ritualità un po’ sacrale associata ai teatri, dà la possibilità al pubblico di partecipare a quell’atto creativo e carico di emozioni che è sempre un concerto jazz. Riteniamo che nei teatri si assista ad uno spettacolo, mentre nei club si partecipi ad un atto creativo, una differenza fondamentale che è avvertita da pubblico e da musicisti assieme e che ci rende unici. Questa la parte filosofica che sostiene il nostro agire, dal lato pratico ci prefiggiamo di crescere assieme, confrontandoci, aiutandoci e collaborando tra noi, e di rappresentare gli interessi dei jazz club sia all’interno della federazione, sia presso le istituzioni.

Quali sono i risultati fino a ora conseguiti?
I risultati sono parecchi ed assai interessanti, tra gli altri vorrei segnalare che, nel corso del 2018 e 2019, abbiamo iniziato un importante confronto con la Siae volto principalmente ad eliminare il regime dei minimi o perlomeno a renderlo giusto ed uniforme su tutto il territorio nazionale. Dal 2018 ogni anno abbiamo gestito un palco della manifestazione Il Jazz Italiano per Le Terre del Sisma a L’Aquila, promuovendo collaborazioni importanti tra i musicisti presenti e organizzando le jam session serali. Quest’anno abbiamo partecipato al bando indetto dal Nuovo Imaie, organizzando una rete formata da cinque jazz club e tre Festival. Lo abbiamo vinto e, proprio grazie alla rete, la cui esistenza veniva premiata, abbiamo visto tutti i nostri otto i partecipanti classificarsi ai primi otto posti su circa cento della graduatoria nazionale.

L’associazione da lei rappresentata fa parte della Federazione Il jazz italiano; quindi, dovrebbero esserci degli intenti comuni. In nuce, quali sono gli intenti che condividete con le altre associazioni e con la stessa federazione?
In buona sostanza sostenere sempre e comunque la causa del Jazz. Purtroppo ci si dimentica sempre che in Italia il jazz è figlio di un dio minore, il jazz è associato con le cantine fumose e con la via da bohémienne; è una musica che spesso è guardata dalle altre musiche con supponenza o con sospetto e che dalle istituzioni è stata fino a pochissimi anni fa quasi sempre ignorata o poco più. Gli esempi si sprecano: I fondi del FUS che sono totalmente inadeguati rispetto alla quantità di concerti jazz che vengono effettuati ogni anno, l’assenza di qualsiasi meccanismo di previdenza sociale e quindi poi di trattamento pensionistico per la stragrande maggioranza dei musicisti jazz, il fatto stesso che i club con musica dal vivo in Italia giuridicamente e normativamente non esistono, (in Italia, oggi, i luoghi di aggregazione del pubblico o sono pubblici esercizi (bar e ristoranti) o sono teatri, la categoria in mezzo semplicemente non c’è)! Tutti questi temi e tanti altri su cui non mi dilungo anche perché sono ben noti, possono essere affrontati solo con azioni collettive di comparto, queste azioni noi le condividiamo e vi partecipiamo, convinti che la nostra partecipazione attiva a questi processi di evoluzione permetterà ai club di crescere e migliorare assieme a tutto il jazz.

Presumo che uno degli intenti dell’associazione sia quello di avere maggiore potere negoziale-contrattuale con artisti, italiani o stranieri, in tour, affinché si possano ripartire le spese e ottenere un miglior prezzo sul cachet. Ciò, però, porta anche a un appiattimento dei cartelloni, perché alcuni nomi compaiono in diversi club e manifestazioni italiane. Qual è il suo pensiero al riguardo?
Il mio pensiero è che questo pericolo semplicemente non esista, prima di tutto accanto alla presentazione di nomi di cartellone i club da sempre fanno produzioni autonome che tendono a valorizzare il meglio del proprio territorio, inoltre da sempre i jazz club offrono ai giovani talenti emergenti un palco dove crescere e confrontarsi con il pubblico. Quando si fa un progetto di rete tutte queste istanze sono sempre considerate e quindi attraverso meccanismi di collaborazione che sono di volta in volta messi in atto vi è sempre la possibilità di far emergere i migliori talenti. Inoltre i nomi di artisti che godono di fama tale da poter essere accolti sul palco di qualsiasi club in Italia è talmente esiguo ed i costi sono spesso talmente alti che questo problema forse non esiste proprio a prescindere.

Giovanni Serrazanetti

Avete instaurato rapporti con associazioni similari europee?
Purtroppo, non ancora a livello europeo, mentre abbiamo iniziato e stiamo portando avanti quest’anno, una proficua e interessante collaborazione con l’associazione italiana Keepon Live che raggruppa molti dei live club nazionali che programmano musica non jazz.

Avete formulato delle proposte ai competenti organi ministeriali?
Certo, le nostre proposte e le nostre richieste sono confluite in una serie di documenti che sono stati portati sia al Ministro Franceschini che al Ministro Bonisoli, nell’interregno di Franceschini. Tra queste, il riconoscimento del nostro ruolo all’interno del comparto jazz e del valore culturale delle nostre proposte e del nostro modello, abbattimento dell’Iva sulle nostre attività, le sburocratizzazione delle procedure di inizio attività, la creazione di una serie di bandi ministeriali pensata per le esigenze ed i progetti dei club, ad esempio assegnando un alto valore premiale alla creazione di reti.

Immagino che, Covid-19 a parte, abbiate effettuato un monitoraggio sulle scelte del pubblico. Quali sono le tendenze del pubblico? Quali concerti sono più affollati?
Mi viene molto difficile generalizzare, ogni jazz club ha le sue caratteristiche ed ha il suo pubblico che normalmente rappresenta bene i gusti del luogo in cui il Club opera e delle sue scelte nel tempo. A Bologna ad esempio il pubblico più anziano ama ancora molto il bebop e l’hard bop, mentre quello più giovanile preferisce proposte di jazz più contemporaneo. So che già a Ferrara i rapporti sono ribaltati. Una cosa è certa: il pubblico accorre alle proposte più di cartellone, alle proposte di maggior appeal poetico, e infine, cosa importante e finora forse poco considerata, segue le proposte della direzione artistica sulla fiducia. Una fiducia che deve essere conquistata ma che una volta instauratasi lascia ai club un discreto grado di libertà e permette anche di proporre realtà nuove e poco o nulla conosciute, e questo finisce di rispondere anche alla domanda sul rischio dell’appiattimento delle programmazioni.

A proposito dell’emergenza sanitaria, qual è la situazione dei jazz club e quali interventi sono stati (o saranno) effettuati in favore del vostro settore?
La situazione ad oggi è tragica, i jazz club che operano con una autorizzazione amministrativa di pubblico spettacolo, sono di fatto normativamente dei teatri e quindi oggi sono chiusi, gli altri che operano con una autorizzazione di pubblico esercizio, devono chiudere alle 18, altroché ‘Round Midnight! Questi ultimi potrebbero in teoria effettuare attività di intrattenimento, magari solo il sabato e la domenica pomeriggio, associandole, ma tenendole subalterne, alla attività di somministrazione, ma mi chiedo se sia opportuno in questo momento.  Il ministero ha pensato anche ai club distribuendo due volte a pioggia, mi sembra, due milioni di euro; lo spoglio della seconda tornata di domande è in corso in queste settimane. Molti ne hanno goduto, ma naturalmente si tratta di briciole, i danni sono enormi e ci vorrà molto tempo per recuperare e tornare ad una normalità pre Covid, anche psicologicamente. Non ci dimentichiamo che noi offriamo un contatto molto vicino, anche fisicamente tra chi suona e chi ascolta.

Sempre Covid a parte, si parla sempre del fatto che il pubblico del jazz debba essere – anagraficamente – rinnovato. Avete pensato a delle strategie in proposito?
Certo, la chiave sta solo e semplicemente nel far conoscere il jazz! Il jazz è una musica bellissima, giovane, dinamica, piena di cose da dire e da scambiare, ha solo un problema, non è una musica commerciale, e quindi non c’è nei grandi media, non è offerta al pubblico, o almeno non lo è stata per tantissimo tempo e quindi il jazz è sconosciuto ai più. Le ragioni sono molteplici, storiche, sociali, economiche ecc. sarebbe troppo lungo addentrarci qui in una analisi del fenomeno, basti sapere che credo proprio che non vedremo mai un gruppo jazz partecipare a X Factor, o a San Remo ecc. Quindi sta in noi far conoscere il jazz anzi direi che sta al jazz farsi conoscere, e credo che uno dei percorsi più virtuosi che la Federazione ha messo in atto sia quello di avere creato al proprio interno L’associazione Il Jazz va a scuola che si occupa di portare l’insegnamento del jazz nelle scuole italiane. Come jazz club noi collaboriamo e promuoviamo iniziative assieme con IJVAS; ad esempio, abbiamo già diverse volte portato gruppi jazz anche dei conservatori, ma non solo, all’interno di scuole primarie per dare ai bambini pillole di jazz, con brevi spiegazioni sulla storia e sul linguaggio del jazz. Altre attività in essere da parte di diversi di noi sono collaborazioni attive con i dipartimenti jazz dei conservatori, per dare ai giovani studenti la possibilità di avere un palco su cui esibirsi. E ancora collaborazioni con le scuole secondarie per offrire ingressi agevolati ecc. Una attività che si sta prospettando proprio in questi mesi di emergenza è quella dell’utilizzo dei social per diffondere concerti in streaming. Questa attività è vista dai club in modo fortemente scettico, perché noi, come abbiamo visto, promuoviamo la cultura della musica partecipata, però questo mezzo, se può servire per fare conoscere il Jazz e far incuriosire il pubblico a partecipare poi ai concerti dal vivo, allora forse ben venga.

Quali sono le prossime attività che l’associazione intende porre in essere?
Continuare la collaborazione con Keepon Live su un progetto molto interessante che prevede la creazione e la istituzionalizzazione di un registro ministeriale di Live Club D’Essai, che vedrebbero riconosciuto il loro valore di promotori culturali ad a cui poi verrebbero riservati benefici fiscali ed economici. Poi, continuare il confronto con Siae e continuare a far confluire le nostre esigenze all’interno delle esigenze di comparto del jazz e partecipare quindi a tutte le battaglie che il jazz come tale farà. Dal gennaio 2021 potremo partecipare ai bandi regionali, ministeriali ed europei, è nostra intenzione essere molti attivi su quel fronte. E, ancora, continuare la partecipazione alla manifestazione a L’Aquila con progetti che puntino soprattutto a far nascere collaborazioni tra i musicisti di valore che sono lì presenti; creare al nostro interno una rete permanente di collaborazioni basata su meccanismi ben collaudati che ci permettano sempre più ed in modo continuativo di proporre ai nostri pubblici il meglio di quella bellissima musica che si chiama jazz.
Alceste Ayroldi