Presidente, quando e perché è nata l’associazione Associazione Manager e Agenti Musicali Italiani?
L’associazione è di fatto appena nata ma deriva dall’esperienza precedente, Italy Jazz Network, che si formò sulla spinta della allora nascente Federazione Il Jazz Italiano.
Quella esperienza ci ha fatto rendere conto di quanto fosse importante parlarci, confrontarci, di quante cose avessimo da dirci. E anche quante cose non sapessimo.
Sono essenzialmente due le categorie che rappresentate: manager e agenti musicali. Cosa si intende per agenti musicali?
Gli agenti qui in Italia sono coloro che si occupano della distribuzione dei progetti degli artisti, del booking. Nel mondo del jazz nostrano spesso le due figure, quella del manager e quella dell’agente, si sovrappongono ma sono due ruoli e due lavori ben diversi e, dato che il nostro obiettivo è quello di ampliare la visione mettendoci in relazione con colleghi di altri settori, abbiamo pensato di indicare entrambe le voci.
Da chi è composto il consiglio direttivo?
Oltre a me fanno parte del primo consiglio direttivo Aldo Mercurio, Claudio De Rocco, Ludmilla Faccenda e Rosario Moreno. Quando gli associati cresceranno di numero, speriamo presto, entreranno anche altri colleghi.
Quanti sono gli iscritti e come sono distribuiti geograficamente?
Gli iscritti al momento sono dodici ma stiamo invitando altri colleghi ad aderire. Siamo comunque già distribuiti su tutto il territorio nazionale. Stimolante, al di là della distribuzione geografica, è che rappresentiamo già le diverse declinazioni di queste professioni, e dunque il confronto tra noi è sempre proficuo. Alcuni di noi hanno grande esperienza ed hanno contribuito realmente alla storia del jazz in questo Paese. Lasciami ricordare Mario Guidi, che ci manca tantissimo, personalmente e professionalmente.
Attingo dal vostro sito: «L’associazione intende valorizzare il ruolo delle agenzie, dei management e della gestione artistica nello sviluppo della cultura musicale in generale». La prima domanda è: ritenete che la vostra categoria non sia sufficientemente valorizzata?
No, non è sufficientemente valorizzata, spesso non è neppure riconosciuta. Però pensiamo che il problema sia più vasto, culturale. In realtà il tema vero è l’affermarsi della professionalità, e non solo la nostra. Dobbiamo crescere tutti. Nel variegato mondo della musica in Italia ci sono tante cose da mettere in ordine, tanti meccanismi cronici che andrebbero disattivati poiché si basano sulla poca conoscenza e anche sulla poca disponibilità a conoscere, tra di noi e anche nelle Istituzioni. E anche tanta improvvisazione, realtà che nascono e muoiono nel tempo di una stagione ma che di fatto arricchiscono le possibilità per i musicisti di esibirsi, e questo è un dato di fatto che non possiamo trascurare. Le cose che non vanno hanno sempre una origine, si creano perché esiste una falla da qualche parte. È quella che va individuata e aggiustata, curata. Buona parte di questi meccanismi sballati si creano per carenze che sono ancora più a monte. È tutto il sistema che va riconsiderato, a partire dalla percezione che si ha del nostro mondo. Ce lo ha insegnato questa pandemia…anzi no, lo sapevamo già, la pandemia ha solo dimostrato quanto sia urgente e quanto queste carenze abbiano una conseguenza diretta sulla vita di ciascuno. Intanto noi stiamo cercando di crescere al nostro interno, scambiandoci le esperienze, le idee, aprendoci verso altre realtà e cercando un dialogo. Se non è riconosciuta la nostra professionalità non può essere solo per colpa degli altri. Un difetto piuttosto comune è l’autoreferenzialità. Tutti pensano di essere i più importanti e i più bravi, e che le loro soluzioni siano le uniche possibili. Invece credo che all’interno di tutte le categorie operanti nel nostro mondo ci debba la stessa necessità di conoscere e di ascoltare l’altro da sé per poter lavorare meglio, per essere più efficaci. Il periodo buio che stiamo vivendo da mesi ha dimostrato che da soli non si va lontano. Mi auguro che l’unità spontanea e solidale che si era creata a Marzo possa essere l’inizio di una consapevolezza rinnovata di essere, se non sulla stessa barca poiché è evidente che ad un certo punto gli interessi possono non coincidere più, almeno nella stessa flotta. Sono nate spontaneamente tante realtà trasversali in cui si attua un confronto interessantissimo, dobbiamo approfittare di questa connessione per fissare dei punti di forza e cominciare a risolvere le falle di cui sopra.
In che modo intendete procedere a tale valorizzazione e, in generale, quali sono gli obiettivi che si prefigge?
Continuando il discorso la nostra azione intende rivolgersi soprattutto al dialogo con le altre categorie, gli organizzatori innanzi tutto (festival e club) che sono coloro con cui abbiamo rapporto quotidiano. Dobbiamo cercare di moltiplicare le possibilità e comprendere fino in fondo quali sono le loro esigenze e i loro obiettivi, e mettere sul tavolo anche i nostri e degli artisti che rappresentiamo. E poi i musicisti. Anch’essi stanno facendo un percorso importante e siamo convinti di poter dare loro qualche elemento in più con cui confrontarsi, e di certo loro ci potranno dire meglio le loro difficoltà. Dobbiamo riuscire tutti ad andare oltre l’interesse immediato e specifico e provare a immaginare una strategia più ampia. Il fatto che ci occupiamo di musica comporta anche una responsabilità culturale e sociale. Per noi non possono vigere solo le regole del mercato, ma non possiamo neppure fare finta che non esistano, anche perché temo che i fondi pubblici siano destinati a diminuire e dunque bisognerà essere capaci di inventarsi altre soluzioni.
Qual è la procedura per poter diventare agente musicale o manager nel settore della musica?
Non esiste di fatto una procedura, non esiste un percorso di studi che poi ti da un titolo riconosciuto che poi abbia un valore concreto. Esistono ormai tanti corsi di management musicale, ma come in tutte le professioni poi è sul campo che puoi realizzare o meno il tuo sogno e quello dell’Artista che rappresenti. E comunque ci sono elementi che non possono essere insegnati, che sono il rispetto, la fiducia e la stima reciproca. Quelli si vivono o non si vivono, non c’è una ricetta. Un manager esperto e un artista talentuoso possono anche non ottenere nulla se non si rispettano, se non ci sono fiducia e stima reciproche. E poi ci sono le attitudini personali, la necessità di essere sulla stessa lunghezza d’onda, la voglia di parlarsi perché sai che l’altro ha voglia di ascoltarti. E infine la dote della relazione. Senza quella non vai da nessuna parte. Siamo nell’era dei social, ma quella è una realtà falsata. O meglio, può essere uno strumento molto utile per trarre degli spunti ma non può essere l’obiettivo. Il nostro è un mestiere dove per affermarti e per essere credibile, devi consolidare dei rapporti veri.
Se non sbaglio, inizialmente eravate membri della Federazione nazionale Il jazz italiano. Perché avete preferito lasciare il sodalizio?
Il motivo principale e stato mantenere una equidistanza dalle realtà che erano presenti nella Federazione e quelle che invece avevano scelto di non aderire. Per natura il nostro lavoro è quello di dialogare e armonizzare le volontà di elementi diversi e prendere una giusta distanza era necessario poter dare il nostro contributo tanto da una parte che dall’altra. Il secondo motivo è stato quello di voler ampliare il confronto con una realtà più vasta, che andasse oltre i confini del jazz, ma non per rinnegarlo, ma solo perché rimanere in quella “bolla” limitava la nostra possibilità di crescere, e magari di fare la differenza. La Federazione, ma soprattutto alcune delle realtà che vi appartengono, come Midj e I-Jazz, hanno una storia lunga e importante. Ciò che secondo noi è mancato è stato il percorso di connessione tra le diverse componenti. Penso che la Federazione avrebbe dovuto essere un punto d’arrivo, più che di partenza. Ma non è mai troppo tardi, noi siamo sempre disposti a collaborare.
Quali sono i risultati fino a ora conseguiti dalla vostra associazione?
È davvero presto per dirlo, se si parla di azioni concrete. Ma di certo un risultato importante per noi c’è ed è quello di essersi messi in gioco, di incontrarci per capire chi siamo e cosa vogliamo e possiamo fare per essere coprotagonisti dello sviluppo della scena musicale nel nostro Paese. Il resto è ancora tutto da fare…
Avete instaurato rapporti con associazioni similari nel resto del mondo?
Non direttamente, ancora, dobbiamo crescere ancora un poco, al nostro interno però ci sono colleghi che hanno una lunga esperienza internazionale con la quale ci confrontiamo continuamente. Quando ci sentiremo pronti avvieremo relazioni con associazioni simili alla nostra.
Avete formulato delle proposte ai competenti organi ministeriali?
Abbiamo collaborato alla stesura di vari documenti. Di alcuni siamo stati promotori, aggregando poi altri soggetti. Cerchiamo in tutti i modi di essere presenti e attivi.
La pandemia provocata dal virus Covid-19 ha, in pratica, fermato gli spettacoli dal vivo. Avete pensato a qualche soluzione che possa quantomeno reggere tale riduzione dell’attività lavorativa?
La pandemia è un flagello che ha messo in ginocchio tutto il comparto e tutto il Paese. Stiamo cercando di tenere botta, soprattutto ora che la prospettiva non è quella dell’estate, nella quale si intravedeva un po’ più di luce. Di nuovo il percorso può essere solo quello del dialogo con gli altri elementi della filiera da un lato e dell’unità nei confronti delle Istituzioni, perché sostengano e tutelino, dall’altro. Abbiamo in programma degli incontri con le altre categorie, in primis con alcuni rappresentanti dei Festival e del Clubs, per valutare insieme lo scenario che si prospetta. Come dicevo prima è possibile, anzi probabile, che i fondi pubblici diminuiscano in futuro poiché si moltiplicheranno i settori che avranno bisogno d’aiuto, quindi dovremo immaginare delle soluzioni tutti insieme. Inoltre dopo un anno come questo il rischio che scompaiano centinaia di piccole realtà che finora hanno garantito la ricchezza dell’offerta culturale, o che le grandi società le fagocitino imponendo una logica che non tiene più conto della varietà e dell’importanza di preservare l’identità del nostro Paese, sarà sempre più concreto. Dobbiamo essere capaci di resistere e contrastarlo.
Quali sono le prossime attività che l’associazione intende porre in essere?
Noi di mestiere pensiamo a strategie, sintetizziamo e armonizziamo obiettivi e interessi, facilitiamo rapporti tra categorie diverse. Dunque tutte le azioni che abbiamo in mente prevedono incontri, individuazione di obiettivi comuni e impegno per raggiungerli. Sia sul campo che nel rapporto con le Istituzioni. Ci rendiamo disponibili a collaborare con altri per sviluppare progetti, rivolti sia alla dimensione nazionale che internazionale, così come condivideremo le idee che possano svilupparsi al nostro interno per realizzarle insieme, ciascuno facendo rigorosamente il proprio mestiere.
Alceste Ayroldi