Buongiorno Francesco. Parliamo subito di «Indian Summer» il tuo ultimo lavoro discografico. Un titolo che sembra in antitesi con la musica che si ascolta nei dieci brani: tra il latin, sentimento mediterraneo, mainstream e jazz europeo. Perché hai scelto questo titolo?
Tra il 2017 e il 2019 ho suonato con il sassofonista americano Dave Liebman. Ospite in due miei progetti, «Early Afternoon» e «Tramas», ho avuto l’occasione di approfondire la sua conoscenza grazie ai nostri concerti, trasmissioni radiofoniche e master class. Ora non ricordo esattamente il motivo ma un giorno, parlando in macchina, disse questa frase: indian summer. Mi colpì subito. Mi è parso un titolo evocativo, forse aveva fatto risuonare qualcosa di profondo. Così divenne il titolo di un brano. La decisione di sceglierlo come titolo del disco è anche un atto di gratitudine e di affetto per Liebman.
Per te la melodia è molto importante. Possiamo dire che è l’elemento trainante dei tuoi lavori. Come hai costruito questo progetto musicale?
Sì, assolutamente. La melodia è un elemento onnipresente in tutta la mia produzione, ma in questo cd gioca un ruolo ancora più rilevante. L’altro elemento strettamente connesso, anzi simbiotico alla melodia, è l’armonia. La combinazione di questi due elementi si completa grazie all’idea ritmica. Nel brano Il tempo stinge melodia, ritmo e armonia coincidono. In Girotondo ci sono tre idee musicali distinte, ognuna caratterizzata da una melodia, armonia e ritmica differente. Ho pensato il disco perseguendo l’idea dell’essenzialità che ho cercato di ottenere attraverso l’equilibrio di questi tre elementi e l’uso di una formazione essenziale quale è il quartetto jazz. Il cd trova una sua unità nello stile, nelle differenze insite nei brani e nella poetica che esprimo attraverso di essi.
Al tuo fianco un combo d’eccezione. Ce ne vorresti parlare?
Comincerei con Ettore Fioravanti, con il quale collaboro da diversi anni. Da una parte è una colonna portante del jazz italiano. Suona con il gotha del jazz italiano ed internazionale dagli anni Ottanta, ma è anche in continua ricerca ed evoluzione. Jacopo Ferrazza fa parte della nuova generazione che sta dimostrando di padroneggiare il linguaggio musicale con elevato livello tecnico e un maturo stile personale.
Last but not least Javier Girotto al sax soprano, baritono e flauti andini. È un musicista di prim’ordine. Ci conosciamo da anni, ma non abbiamo mai lavorato insieme sino ad oggi, pur avendo in comune molte connessioni artistiche, cosa che ci ha permesso di capirci al volo.
Lavorare con una band di questo livello è stata un’esperienza formativa. Come responsabile del progetto ero molto concentrato durante le fasi di lavorazione del disco. Ancora non avevo la piena contezza del livello generale che stavamo producendo. Solo in un secondo momento mi sono reso conto della «grande bellezza» del disco che, a quanto mi risulta, sta riscuotendo molti apprezzamenti.
Quali sono le fonti che hanno ispirato questo tuo lavoro?
Posso citarne un paio. Il cinema per il brano I funamboli che è stato ispirato al film Les enfants du Paradis di Michel Carné (1945), ritenuto tra i film più importanti della cinematografia francese.
Lament Song invece è ispirato alla musica barocca. Il brano cita la celebre aria di Didone di Henry Purcell ma in una versione riarmonizzata con i flauti andini.
Qual pensi sia il tuo brand autoriale, la tua cifra stilistica?
Penso di aver risposto in parte a questa domanda. Non ho un filone unico, di volta in volta cerco di lavorare su aspetti musicali diversi. Il jazz è un «contenitore» quasi infinito di linguaggi musicali nel quale trovo continue ispirazioni da declinare secondo miei percorsi personali.
Francesco, è difficile fare jazz in Italia?
Domanda difficile che meriterebbe una risposta esauriente per la quale non credo di avere particolari competenze. Ma da quello che mi risulta fare il musicista non è facile da nessuna parte del mondo. Il jazz in Italia poi ha uno status ibrido che non aiuta. Si oscilla tra la musica di sottofondo e la musica d’avanguardia e di ricerca, con tutte le possibili sfumature all’interno. In ogni caso si tratta di musica i cui standard qualitativi sono mediamente alti. Anni di studi e continua formazione caratterizzano il percorso del jazzista, analogamente a quanto ci aspettiamo da un concertista classico.
Leggendo la tua biografia mi sembra di capire che il jazz non sia il tuo unico linguaggio musicale. Mi sbaglio?
Sono diplomato in pianoforte al Conservatorio di Perugia e precedentemente in Francia avevo conseguito vari diplomi tra cui composizione, orchestrazione ed “ecriture”. Ho seguito vari corsi di direzione d’orchestra tra i quali l’ultima master class di Sergio Celibidache alla Schola Cantorum di Parigi. Inoltre sempre in ambito accademico ho frequentato molte master class di composizione contemporanea. In questo ambito molto importante la frequentazione della classe di Fabio Vacchi con il quale ho conseguito un master post laurea di II livello in composizione teatrale e coreutica. Ho scritto varie opere eseguite e pubblicate di musica da camera, concerti, teatro musicale e altro ancora. Seguendo una mia esigenza ho conseguito la laurea magistrale in composizione jazz al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, con il docente Piero Leveratto.
Qual è il ruolo dell’improvvisazione nella tua musica?
Molto più centrale e determinante di quanto non si creda. Al di là della tecnica necessaria per fare un buon solo su una griglia di accordi ho sempre trovato nell’improvvisazione libera una fonte pressoché inesauribile di idee musicali. Nei concerti cerco sempre di ritagliarmi un momento fuori dagli schemi. Prassi dell’ignoto e dell’intuizione, al servizio di un pensiero irrazionale. È stato bello condividere questa cosa con differenti artisti come Dave Liebman, Marcus Stockhausen, Michele Rabbia e altri.
Qual è il tuo rapporto con il social network?
Appena decente, non sono affetto dal “postismo” estremo. Non so valutare ancora i pro e contro e non amo fare crociate moralistiche. Se per tanti aspetti il rapporto con i social può risultare deleterio, per chi fa ricerca e cultura offre risorse infinite, il modo più rapido per veicolare informazioni.
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi e impegni?
Sono attualmente impegnato con la promozione di Indian Summer che sta riscontrando un notevole interesse dei media. Nel frattempo sto lavorando ai prossimi concerti per portare in giro questo cd. Inoltre sto curando l’edizione di mie composizioni di musica da camera per un cd monografico.
Tutte le novità sono comunicate attraverso il mio sito www.francescovenerucci.it e i miei profili su Facebook e IG.
Inoltre molti video dei miei concerti sono disponibili sul mio canale YouTube https://www.youtube.com/@francescovenerucci2525
Alceste Ayroldi