«Ausencia». Intervista a Francesco Milone

Il giovane e talentuoso sassofonista ostunese, residente a Bologna, licenzia il suo primo lavoro discografico. Ne parliamo con lui.

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Ciao Francesco, benvenuto a Musica Jazz. Per il tuo esordio discografico hai scelto la formula dell’Ep. Quali sono i motivi di questa tua scelta?
Buongiorno Alceste e un saluto a tutto i lettori di Musica Jazz. Ho scelto la formula dell’ Ep come una piccola presentazione di ciò che sono come musicista, un preambolo di quello che sarà il mio primo vero e proprio disco che uscirà nel 2025.

Partiamo subito dal titolo. «Ausencia», perché hai scelto questo titolo?
«Ausencia» è parola che racchiude innumerevoli significati, come lontananza, inesistenza, assenza. Nel corso della mia vita mi è capitato spesso di essere travolto da turbine di emozioni, allontanarmi sempre di più da casa, numerose perdite affettive e una prima parte di vita in costante cambiamento. «Ausencia» è un omaggio a tutti questi sentimenti, potremmo dire che è molto simile alla concezione della saudade brasiliana.

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Come è nato questo progetto discografico?
Questo progetto discografico è nato quasi per caso, l’obiettivo era creare delle take da poter utilizzare in concorsi nazionali e internazionali. Come un «effetto domino» tutto è venuto da se passo dopo passo. Ci siamo divertiti tantissimo durante le prove e in una mattinata all’Hermes Studio di Vignola, abbiamo registrato i quattro brani. Riascoltadoli, anche insieme ad un mio caro amico fraterno Marcello, che da quando ci conosciamo mi spinge sempre ad osare e puntare sempre al massimo, la domanda è sorta spontanea: perchè non pubblicarli in un Ep di presentazione?

Vuoi parlarci dei musicisti che sono al tuo fianco?
Certamente! Sono stato molto fortunato perchè oltre a dei grandi musicisti, sono stato affiancato da persone umanamente e professionalmente davvero straordinare. Sono state parte attivissima contribuendo alla riuscita di tutto questo.
Ve li presento… Federico Rubin pianista eccezionale ha portato al progetto una profondità artistica impressionante. Le sue doti   tecniche, la capacità improvvisativa e il suo interplay rendono la sua presenza davvero fondamentale. Sergio Mariotti giovane contrabbassista dalle straordinarie capacita musicali ha dato un tocco timbrico essenziale, in particolare nella “Ballad” mettendo in risalto, l’acme intimistico del suo suono. Infine, Enrico Smiderle un batterista già ben noto in Italia, rinomato per il suo brillante talento. La sua energia, versatilità e capacità di accompagnare con eleganza ogni brano sono qualità che lo distinguono come uno dei migliori della scena jazz. Con loro è stato possibile creare una sinergia che ha dato vita ad un progetto ricco di emozioni.

Quale criterio hai seguito nella scelta dei brani?
«Ausencia» contiene tre standard, selezionati fra i tanti, che hanno segnato molto la mia vita da musicista, ispirandomi anche alle grandi figure del jazz bolognese che andavo ad ascoltare ogni sera nei jazz club della città che mi «ha adottato». La  ballad Tender Song è un omaggio  italiano al jazz potremmo dire non commerciale, è un bellissimo brano molto intimistico con armonie molto eteree del pianista compositore romano Corrado Nofri, portato in auge nella versione di Massimo Urbani nella registrazione «Live in Lovere ‘79». Contiene inoltre un mio inedito, una composizione originale dedicata ad una persona, Giovana, che ha cambiato la mia vita in un battito di ciglia.

Francesco, prima di arrivare a questo disco, cosa è successo nella tua vista artistica?
La mia vita artistica è stata, fino ad ora, un incredibile viaggio. Formazione classica, ho studiato sassofono classico con i maestri Vittorio Cerasa e Valter Arcangeli e strumentazione e  direzione per orchestra di fiati con il maestro Vincenzo Anselmi. Da sempre però ho avuto la passione per il jazz, frequentavo le lezioni in conservatorio come uditore e ascoltavo tantissimi dischi insieme al mio caro amico, Elio. Spronato molto da mia madre, mi sono trasferito a Bologna  ed ho avuto il privilegio di studiare jazz con il M° Barend Middelhoff. Pian piano è venuto tutto molto da se e le occasioni davvero incredibili, non sono mancate. Ho avuto modo di respirare l’essenza del jazz, mattina e pomeriggio studiavo e la sera ero sempre nei jazz club ad ascoltare e conocere i miei grandi idoli, frequentarli e soprattutto suonare con loro. Ad oggi, ho avuto modo di affiancare sul palco in tutti i tipi di formazioni, molte icone del jazz internazionale come Jim Rotondi, Stefano Di Battista, Teo Ciavarella, Piero Odorici, Francesco Angiuli, etc, etc. Ho avuto anche il privilegio di suonare in tante big band per citarne qualcuna l’Orchestra Nazionale di jazz diretta dal M° Pino Iodice, la Doctor Dixie Jazz Band, l’ERJ orchestra e la Martini Big Band.

Sei anche direttore artistico del Festival Jazz che si tiene a Ostuni. Quali sono le tue linee guida?
Sì, un’esperienza unica e incredibile. È terminata da poco la terza edizione, tre serate davvero entusiasmanti. Come linea guida, insieme all’organizzatore cerchiamo di avvicinare ed educare il pubblico e tutti gli amici che ci seguono a questo affascinante genere musicale e quale modo migliore se non iniziare dalla tradizione? Con il tempo le prospettive sono molto vaste e ci auguriamo di poter coinvolgere realtà jazzistiche giovanili molto presenti e influenti nel panorama jazz italiano e qualche grandissima icona.

Sei molto legato alla tradizione jazzistica. Quali sono i tuoi «milestones» e come sei arrivato al jazz?
La tradizione jazzistica per me è fondamentale, come cerco di insegnare ai miei allievi, è come se fosse una rampa di lancio per tutto quello che vogliamo raggiungere dopo. Una solida base, un ricco vocabolario (musicale), che ci permette di poterci esprimere come ci pare, poi si tratta solo di assumere un proprio stile/ linguaggio personale. Sono arrivato al jazz in punta di piedi e in piena adolescenza. Ho sempre ascoltato tantissima musica, poi ho conosciuto Elio, figura molto importante per la mia vita professionale e non, ogni settimana mi regalava un disco, era ormai come un appuntamento fisso. Ho ascoltato tanto quei dischi e pian piano, la sete di conoscenza cresceva sempre di più, provando a imitare con il sax qualche frase o qualche assolo che ascoltavo. Finito il percorso classico ho dedicato tutta la mia vita fino ad oggi a questa musica, ai valori e alla disciplina che porta con se, sono stato molto fortunato a poter frequentare musicisti che hanno costruito il mio “essere”, qualcuno in silenzio dandomi grande esempio, qualcun altro come il grande Teo Ciavarella e il M° Barend Middelhoff che sono diventati dei veri e propri guru per me. Le mie pietre miliari sono state, senza dubbio, «Saxophone Colossus» di Sonny Rollins, «Kind of Blue» di Miles Davis e «My second Prime» e «Do It» di Steve Grossman ma ho avuto una notevole influenza da parte di Stan Getz, Sonny Stitt. Di questi credo di aver trascritto e studiato buona parte delle loro discografia. Il jazz non è più per me soltanto un genere musicale ma come dicevo prima, un vero e proprio viaggio. Come affermò Midddelhoff in un’intervista rispetto al jazz e all’imprevedibilità della vita, «…quando inizi una frase è bello improvvisarla e svilupparla verso una direzione che non conosci…» ho fatto di questa affermazione, un vero e proprio stile di vita cercando di trarre il bello o far cambiare direzione anche alle avversità di ogni giorno.

Francesco, pensi che il jazz – almeno in Italia – sia trascurato dai giovani?
No, almeno negli spazi che frequento, c’è una forte componente di ragazzi che si dedica attivamente allo studio in generale del jazz, della tradizione e che nonostante la giovane età si predisponga all’ascolto e alla ricerca di questo genere musicale. È una cosa bellissima vedere a concerti o nelle jam sempre più ragazzi volenterosi, con tanta passione, con gli occhi carichi di sogni.

A tuo avviso, cosa bisognerebbe fare per incentivare e incrementare il pubblico dei giovani?
Sicuramente una forte componente è gestita dai musicisti stessi. Vedo molti grandi nomi del jazz che fanno vere e proprie lezioni di sensibilizzazione ed educazione all’ascolto partendo già dalle scuole primarie e una costante ricerca anche nei metodi d’approccio verso i più giovani. Tutto questo è davvero encomiabile. È vero anche come ci siano proposte musicali commerciali sempre più fuorvianti, semplicistiche che inducono a pensare un po di più al successo che alla sostanza. Qui credo che un ruolo fondamentale è assegnato alle famiglie, spegnendo social e tv, proponendo concerti o eventi    culturali di ogni genere per educare fin da piccoli all’ascolto e ad un eventuale primo approccio ad uno strumento.

Quali sono i tuoi obiettivi come artista?
Sicuramente un grande obiettivo è il disco nel 2025. Buona parte e già delineata e non vedo l’ora di andare in studio a registrare. Ma l’obiettivo principale è quello di conoscere sempre di più e migliorare ogni giorno, cercando e creando occasioni per poter suonare e divertirmi con questo grande Ideale che è il jazz.

Quali sono i tuoi prossimi impegni?
Ho degli spettacoli fissi a cadenza mensile presso il Teatro Mazzacorati di Bologna, del quale recentemente sono diventato responsabile  della programmazione per l’Ente Succede solo a Bologna. Ho delle registrazioni, fra cui un disco live dedicato a questo bellissimo Teatro e collaborazioni che partiranno a breve per la nuova stagione concertistica in giro per l’Europa. Tante sorprese che svelerò progressivamente, quindi per chi volesse può seguirmi su tutte le piattaforme musicali e social.
Alceste Ayroldi

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