«Nord». Intervista a Francesco Maria Mancarella

Escono due Ep a stretto giro a firma del pianista, compositore e direttore d’orchestra di Lecce. Ne parliamo con lui.

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Parliamo subito del suo nuovo lavoro discografico «Nord». La prima domanda è, per così dire, tecnica: perché ha scelto la forma dell’EP?
La forma dell’Ep divide la pubblicazione in due parti. Il 28 febbraio è uscita la seconda parte del disco che chiuderà il cerchio di questa esperienza islandese. Come se fosse un lato A e un lato B di un vinile.

Un lavoro che si ispira all’Islanda. C’è una ragione in particolare per la quale ha voluto dedicare un disco a questo Paese?
Ho avuto un’attrazione speciale per questo luogo. Grazie alla musica riesco a vivere esperienze incredibili: mi permette di girare il mondo. Avevo voglia di andare in un luogo dove il tempo si ferma, dove la natura ci rende “nudi” di fronte al mondo.

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I brani riprendono il mood paesaggistico, climatico e ambientale dell’Islanda. Comunque, la musica che si ascolta ha un tocco cinematografico. Per esempio, Aura potrebbe essere un’ottima colonna sonora per un horror, a mio avviso. Queste sonorità cinematografiche sono un suo brand, visto anche i suoi specifici studi al riguardo?
La descrizione fa parte del racconto. La musica in termini assoluti non ha il dono della parola pertanto è compito del compositore cercare di riportare l’ascolto nel contesto sonoro. Aver studiato stili musicali diversi tra loro è sicuramente un vantaggio che utilizzo nella composizione.

Quali sono state le fonti di ispirazione dei quattro brani contenuti nell’EP?
L’Aurora boreale, il suono del vento, la forza del mare ed i colori sensazionali che questa terra possiede. Ho registrato al mattino, molto presto. Il silenzio dello studio e la luce fioca, hanno creato il giusto compromesso per realizzare questo disco.

La sua musica viene definita un crossover tra classica contemporanea, jazz e pop. Si ritiene soddisfatto di questa definizione?
Sono io che l’ho sempre definita così. Non so se è la rappresentazione più vicina a quello che faccio. Il mio pensiero è quello di comporre senza barriere, senza struttura e con richiami alla musica pop che strizza l’occhio alla melodia. Con franchezza provo fastidio nell’etichettarmi. Tutti i miei studi musicali incontrano l’esperienza. Altrimenti saremmo tutti copie di qualcosa. Quando mi guardo allo specchio mi riconosco e questo è molto bello.

In Islanda ha vissuto anche la scena musicale del luogo? Una scena, tra l’altro e a dispetto dell’esiguo numero di abitanti, parecchio vivace.
Non ho avuto questa opportunità poiché ho impostato il mio viaggio quasi fosse un documentario. Non sono stato mai più di una notte in un solo luogo ed ho esplorato tanto. Avevo voglia di cercare dentro di me piuttosto che ascoltare quello che c’era fuori poiché sarebbe stata solo una distrazione.

Ritiene di rendere al meglio, anche dal punto di vista compositivo, in piano solo?
Uso il piano solo come un bozzetto ma nella mia testa la coralità è sempre presente. Ho la fortuna di suonare uno strumento che rende bene anche solo ma in un prossimo futuro vorrei riproporre il mio repertorio con l’orchestra. Il pianoforte mi permette di viaggiare ed esibirmi in luoghi molto particolari ed inaccessibili.

Il suo primo lavoro discografico è stato «Condivisioni» del 2018. Quanto è cambiato il suo approccio alla musica, la sua visione della musica da allora a oggi?
È cambiato molto, perché sono cambiato molto anche io. Condivisioni è un lavoro completo: c’è l’orchestra, c’è la band, ci sono gli ospiti ed ha un filo conduttore che ci riporta al jazz (non tradizionale). Nel secondo disco «Fate» suono in trio con beatbox e clarinetto. Un disco molto particolare e d’avanguardia. In Nord suono in piano solo. Ci sono io e c’è il pianoforte. A loro modo sono stati molto impegnativi tutti e tre e rappresentano tappe importanti della mia vita artistica. Il prossimo disco… chissà.

Lei è anche direttore d’orchestra e ha diretto anche all’ultimo Festival di Sanremo.
Da sempre suono e lavoro con la musica pop. La musica è cambiata in pochi anni e la tecnologia svolge ora un ruolo dominante. Per fortuna c’è ancora bisogno di professionisti come noi, che riescano a far interagire la tecnologia con l’uomo (strumentista). Baudelaire diceva che l’industria non si sarebbe mai confusa con l’arte: si sbagliava.

Francesco Maria Mancarella (ph. Michele Giannone)

Il ruolo di direttore d’orchestra è prevalente rispetto a quello di pianista e compositore o viceversa?
No. Sento di essere un compositore e di conseguenza, essere un pianista, un direttore d’orchestra ed un arrangiatore sono per me diverse facce di una stessa medaglia. Dirigo esclusivamente mie composizioni o brani che ho orchestrato e/o arrangiato.

Qual è il suo rapporto con l’improvvisazione?
È quello che il jazz mi ha lasciato a discapito di un’esecuzione identica alla partitura. I miei concerti sono così: mi lascio prendere ed aggiungo, tolgo, cambio tonalità. Insomma il jazz mi ha reso «libero» sul palco. La composizione mi ha reso libero nella vita musicale. La musica classica mi ha reso libero di essere consapevole.

Quali tra le sue pregresse esperienze ritiene essere stata importante nella sua crescita artistica?
I miei studi sono stati indispensabili. L’invenzione e la creazione del pianoforte che dipinge mi ha reso quello che sono oggi poiché mi ha permesso di calcare i più grandi palcoscenici della mia vita. Ancora oggi è qualcosa che mi completa e mi rende unico. Uno dei concerti che mi ha cambiato la vita è stato quello dello scorso anno a Miami nella Steinway hall.

Quali sono i suoi obiettivi futuri?
Essere in concerto con il mio pianoforte e poter, grazie alla musica, vivere esperienze uniche.
Alceste Ayroldi

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