«La musica non ha confini». Intervista a Francesca Gaza

La poliedrica artista italo-tedesca sarà in scena a Firenze venerdì 16 (Sala Vanni, ore 19) con il suo progetto Lilac for People.

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Buongiorno Francesca. Vorrei iniziare con il chiederti: qual è la tua formazione culturale-musicale?
Sono cresciuta fra Germania e Italia in una famiglia italo-rumena. Ho iniziato a suonare il pianoforte a sei anni e ad avvicinarmi al canto e la scrittura dalle Medie. Per caso, ascoltando dei concerti di Big Band, ho scoperto la musica di Duke Ellington e Count Basie e mi sono avvicinata al jazz. Mi sono poi formata alla Siena Jazz University in canto e pianoforte jazz, dopodiché al conservatorio di Basilea dove ho studiato composizione contemporanea e musica antica.

Il tuo ambito musicale è molto ampio, grazie anche alle tue straordinarie capacità vocali. Mi sembra di capire che per te non esistono barriere musicali, né generi. E’ giusto?
Proprio così, avendo interessi e amori diversi per epoche musicali non sempre vicine, il modo migliore per far coesistere questi mondi è crearne un distillato personale nella scrittura. Vengo da una formazione jazzistica, sono molto interessata alla musica antica, soprattutto quella rinascimentale, così come non posso negare di aver compiuto studi di musica classica e di adorare la forma canzone. Capisco bene che i generi debbano esistere per una questione di categorizzazione, che in molti casi è certamente utile per il mondo accademico e la specializzazione, che entrambi rispetto. Ma da un punto di vista artistico, non vedo perché non si possa essere incuriositi da Alice Coltrane come da Stravinsky, St. Vincent, Kenny Wheeler e Barbara Strozzi. Ora una bambina curiosa di Firenze può ascoltare una canzone bulgara in pochi istanti. Gli stili di oggi non nascono necessariamente da un’esperienza innata, ma da un interesse, da un’attrazione personale e rispettosa, si formano da collisioni che scavalcano la storia e la geografia. Per questo la fluidità dei generi storico-musicali mi è sempre sembrata una cosa spontanea, essendo io stessa cresciuta in una famiglia con origini molteplici. Mi stimola molto la scena culturale ricca di musicisti/e che hanno smesso di pensare al muro che un tempo separava il pop dalla classica e l’arte dall’intrattenimento. Mi piace essere collaborativa e aperta, coinvolta nell’indie rock e nel jazz quanto nella composizione classica.

Parliamo del tuo ultimo lavoro discografico «Sfiorire». In primis, perché hai scelto, tra i nove brani, proprio questo titolo?
«Sfiorire» è una parola molto significativa per me. È nata come titolo del disco e solo dopo ho scritto la canzone omonima. Questa parole, come il disco, esplora lo sfiorire (e il rifiorire) delle cose, delle persone, delle parole, della comunicazione, delle azioni, della natura e dell’età, così come il superamento della perdita dell’interezza e cerca di catturare e affrontare sia l’aggressività e la manipolazione, sia la riscoperta dell’ingenuità e la progettazione della bellezza. Volevo davvero dare a questo disco un titolo italiano e anche iniziare a scrivere di più in lingua italiana. Purtroppo, rimane però per me un passaggio difficile da affrontare. Cantare e scrivere in italiano è meraviglioso, perché mi rende molto esposta e vicina a chi ascolta e a me stessa, ma non è sempre facile poi eseguire i pezzi italiani davanti a un pubblico vero. Dipende tanto da chi ho davanti, di che umore sono, come ci sentiamo all’interno della band. Non c’è modo di nascondersi dietro nessuna licenza poetica dell’inglese. Lingua che adoro ma che mi è forse un pelino meno vicina dell’italiano. Certo, è bello e importante esporsi, ma non sempre si vuole essere così vulnerabili. Nel primo disco «Lilac for People» (2019), i testi sono spesso incentrati sulla natura, sui fiori, sugli alberi. È un disco molto positive, generoso e naive, in senso bello. Con il secondo disco ho voluto rimanere fedele alla mia inclinazione per le metafore della natura, ma il disco è sicuramente un po’ più travagliato, sia nel bello che nel complesso.

Qual è l’idea portante di questo album?

  • Un’estensione della strumentazione.
  • Esplorazione
  • E un’idea poetica che per me è riflessa nel concetto di sfiorire, e rifiorire.

Ci parleresti dei tuoi compagni di viaggio?
Da cinque anni ho la fortuna di essere accompagnata da un gruppo meraviglioso. Porto con me sette colleghi e amici che nutrono tutta la mia ammirazione e la mia stima. Non ci sono sostituzioni o cambi di formazione, suoniamo sempre in formazione stabile, ovvero in ottetto. Questo ci permette di fare un lavoro continuo e profondo che riflette i cambiamenti personali che ognuno di noi attraversa con il passare del tempo. Scrivere per Lilac for People è diventato un processo estremamente gratificante ed è, personalmente, il gruppo con il quale posso esprimere il mio amore per la forma canzone e l’arrangiamento di essa. Adoro i loro timbri e approcci individuali ed è estremamente stimolante ritrovarsi e stare insieme. Jacopo Fagioli è uno splendido trombettista e trombonista che ha appena pubblicato il suo album di debutto in duo con il pianista Nico Tangherlini e mi colpisce sempre per la sua poeticità e il suo interesse per i diversi aspetti della musica che suona. Al sax tenore c’è Francesco Panconesi, un musicista di una sensibilità rara con un suono che mi commuove immancabilmente e una flessibilità e attenzione importante per l’equilibrio del gruppo. Per completare la sezione dei fiati c’è il polistrumentista Federico D’Angelo che suona in modo sublime i tre strumenti più grandi (e più scomodi), ovvero il sax baritono, il clarinetto basso e la tuba. Per rimanere coerente con il suo amore per gli strumenti grandi sto cercando di convincerlo ad aggiungere anche il controfagotto ma ancora non ci sono riuscita. Con me alla voce e alla chitarra c’è Lorenzo Pellegrini, che ha lavorato anche come produttore al disco. Ha una profonda conoscenza del mondo del folk e del pop, che impreziosisce notevolmente il nostro immaginario sonoro con le sue conoscenze e abilità. Al pianoforte e al synth c’è Luca Sguera, un musicista estremamente artistico e sensibile che mi stupisce costantemente e che spesso regala un altro punto di vista ai miei pensieri musicali, ha altri progetti personali meravigliosi come compositore che mi affascinano sempre. Il disco è stato invece mixato dal bassista Alessandro Mazzieri, che oltre a essere un eccelso musicista è anche un formidabile fonico e ingegnere del suono. Devo dire che registrare e mixare il disco con una persona che conosce così intimamente la musica ha consentito di dare a questo disco un ulteriore livello di spessore. Infine, il batterista è Mattia Galeotti, musicista di cui mi fido così tanto da averlo coinvolto anche in altri progetti che seguo in svizzera di musica contemporanea ed è diventato praticamente fondamentale per la musica che scrivo. Come in ogni gruppo ci sono dei ruoli e delle dinamiche personali all’interno – ecco lui è quello che si occupa dell’aspetto logistico, è capace di salvarci da ogni improbabile situazione in cui ci si possa trovare in un tour di un ottetto.

Un disco che ti vede fare ingresso nella famiglia della Tuk Music. Qual è, a tuo avviso, il valore aggiunto di questa casa discografica?
Sono davvero felice e onorata di far parte di questa casa discografica. Mai prima d’ora mi sono sentita così rispettata e supportata, sia a livello organizzativo che artistico. Paolo e Luca si dedicano entrambi alla musica, alla poesia e al significato che essa assume rendendola pubblica. Sono anche molto felice della compagnia di cui il progetto può godere unendosi al loro roster di altri artisti stimolanti.

Prossimamente (venerdì 16 settembre) sarai di scena a Firenze, dove immagino che presenterai il tuo ultimo disco. Con quale formazione ti presenterai?
Come promesso, la formazione rimane sempre la stessa per suonare con Lilac for People, per cui saremo in otto con l’aggiunta del nostro nuovo fonico Olmo Giani.

Potrei sbagliarmi, ma nella tua musica – e nelle tue liriche – si ascoltano molti riferimenti letterari e di ricerca in tal senso. Quali sono i tuoi scrittori-scrittrici preferiti?
È giusto, sono grande amante di prosa e poesia e molto spesso trovo nelle letture che faccio risposte o domande che mi pongo e sento vicine. Provo grande ammirazione per poeti e scrittori/scrittrici come Sibilla Aleramo, Khalil Gibran e Hermann Hesse, ma anche per altre voci più contemporanee come Meg Wolitzer e Bernardine Evaristo.

Come agisci in fase compositiva-autoriale?
Non ho uno schema che seguo ripetutamente, piuttosto dipende molto dalla situazione per cui devo scrivere. Inizio sempre a scrivere tra il pianoforte e la carta spillata. Ho un piccolo quaderno in cui ogni giorno aggiungo piccole idee, frammenti di frasi, movimenti armonici, possibili combinazioni di orchestrazioni, mini-pensieri scritti che dopo qualche settimana sembrano miracolosamente trovare una connessione tra loro. Se ho un lavoro da consegnare, allora molto spesso mi spingo a trovare un nesso o a estendere ciò che ho già come idea, concentrandomi tanto sulla coerenza quanto sulla valorizzazione del materiale che in partenza mi sono messa a disposizione. Se invece devo scrivere per Lilac for People, allora l’impulso è molto spesso più poetico. Voglio dire, molto spesso le canzoni per questo gruppo iniziano con una poesia, un’idea per la struttura di una canzone, una linea di chitarra o anche solo una sensazione.

Cosa è scritto nell’agenda di Francesca Gaza?
Dopo il nostro concerto al Firenze Jazz Festival tornerò su a Basilea per due concerti con un coro classico in cui presenteremo un pezzo di A. Schnittke e V. Tormis, compositori che adoro. Dopodiché lavorerò a una nuova composizione per il coro di voci bianche di Soletta per la celebrazione del natale e contemporaneamente farò prove e concerti col mio Ensemble jazz-barocco. Lilac ovviamente rimane sempre nei piani futuri, e stiamo pianificando un tour per l’anno prossimo. Nell’agenda c’è anche scritto: tornare in Italia più spesso e andare a fare passeggiate nelle colline toscane.
Alceste Ayroldi