«[R]Evolution». Intervista a Elisabetta Antonini

Nuovo disco per la cantante, bandleader e compositrice romana. Ne parliamo con lei. Di seguito un breve estratto dell’intervista che sarà pubblicata prossimamente sulla rivista Musica Jazz.

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Buongiorno Elisabetta. Fela Kuti, Sebastiao Salgado, David Sylvian, Charles Bukowski, Pina Bausch, Dino Buzzati. Una dedica alla poetica, come tu dici, «rEvoluzionaria». Come è nata questa idea?
Mi piace l’idea di scrivere musica attorno ad un concept, un tema, un’idea, un personaggio, uno scenario. Dal tempo di «The Beat Goes On» il mio precedente album che ruota attorno alla poetica dei Beat, dove ho musicato poesie, interviste, reading e stralci di romanzi, mi viene naturale se non necessario prendere ispirazione da qualcosa che abbia acceso in me una riflessione, sollecitato un interrogativo, sorpreso, incantato. Alcuni di questi personaggi abitano nel mio mondo da tempo, altri li ho conosciuti meglio recentemente e mi hanno profondamente colpito per l’attualità, la bellezza del loro lavoro, la visione con cui si sono espressi nella loro arte che va molto oltre il linguaggio per cui sono noti. L’intento, condiviso con Alessandro Contini con cui ho scritto ogni passaggio di questo lavoro, è stato quello di cercare di trasfigurare in musica la potenza della loro arte, di riportarne le più sottili sfumature. e nel farlo ci è sembrato che il termine [R]Evolution sintetizzasse perfettamente il potenziale salvifico dell’arte che può squarciare, muovere le cose, trasformare, aprire verso dentro e verso fuori, spingere all’azione, al contatto, allo sguardo nuovo.

Tu e Alessandro Contini come avete agito dal punto di vista compositivo?
Questa è la nostra prima esperienza condivisa e nonostante all’inizio non avessimo idea di dove ci avrebbe portato questa collaborazione, siamo  arrivati ad un album compiuto con musiche scritte interamente da noi (tranne il brano di David Sylvian) partecipando ad ogni fase in modo naturalmente paritario e perfettamente allineato.  Nella scrittura, il nostro proposito era quello di trasfigurare alcuni temi che ci erano sembrati di forte ispirazione, come il ritmo della natura e i suoi cicli sempre uguali e sempre diversi, il tempo interiore, la propulsività della danza, il sussulto rabbioso, la vertigine malinconica, l’iperbole del desiderio e dell’immaginazione, l’ampiezza del silenzio, la profondità dello sguardo, il caos e la trasformazione. Nel far questo abbiamo richiamato alcuni riferimenti musicali condivisi negli anni che meglio di tutti sembrassero offrirci i codici espressivi appropriati, come il minimalismo, l’ambient, alcune espressioni di musica vocale contemporanea, il pop inglese sperimentale, alcune suggestioni afro, e abbiamo operato la nostra trasfigurazione musicale partendo da incroci ritmici e cellule melodiche, attorno alle quali poi abbiamo costruito tutto il resto. Ci è sembrato naturale dare alle nostre composizioni una forma libera o irregolare, lontana dallo schema canzone, più simile alla suite.

Hai cooptato in questo progetto Nils Petter Molvaer. Perché proprio lui?
Nils Petter Molvaer
è da sempre un musicista che amiamo per il suo modo di suonare il silenzio, lo spazio, precise sfumature di colore, precise tinte emotive, e per la sua capacità minimalistica di dire tanto con poco, di scegliere direi quasi, la parola giusta, di saper essere una perfetta sintesi tra passato e contemporaneità, tra genesi e avanguardia. Col suo suono, ancestrale e moderno, riesce a dare ad ogni nota un peso significativo e potente, e questo avviene nella sua musica e nella nostra, con grandissima gioia per noi.

Antonini-Contini
Foto di Paolo Soriani

Parliamo anche degli altri tuoi compagni di musica in questo disco?
Alessandro Gwis
è ormai la mia terza mano, la collaborazione più longeva, presente fin dal mio primo disco «Un Minuto Dopo», dove già era evidente la sua personalità artistica, lo spessore della sua formazione, la visionarietà nel suo approccio allo strumento grazie all’uso di una strumentazione elettronica originale, qualcosa per cui oggi è unico e immediatamente riconoscibile.
In «[R]Evolution» ha dato un contributo fondamentale, è stato il nostro interlocutore nella fase di ricerca con cui abbiamo condiviso ascolti, riflessioni, intenti. Ha lavorando in perfetta sintonia con le voci, dipinto  ogni paesaggio sonoro con delicatezze assolute, cercato soluzioni nuove e usato l’elettronica in modo sorprendente, proponendo raffinatezze formali e armoniche che hanno valorizzato moltissimo la nostra scrittura.
Michele Rabbia ha portato la sua dimensione mistica, il suo modo senza compromessi di farsi suono, di essere suono, un suono largo, profondo, siderale, pura vibrazione del mondo. Temevamo non fosse interessato a partecipare ad un contesto musicale strutturato come il nostro, ma fortunatamente ha accettato di far parte di «[R]Evolution» e ha fatto crescere molto il progetto, ne ha aperto gli orizzonti, ne ha allargato le prospettive.
Alessandro Contini è il mio compagno nella vita e questa volta anche nella musica. Ha del miracoloso per noi essere riusciti a creare qualcosa di nostro che sintetizza esperienze musicali tanto diverse e che tuttavia sembra essersi realizzato con grande coerenza, naturalezza e fluidità, con un perfetto allineamento nelle scelte musicali, ispirazioni, preferenze stilistiche e  intenti compositivi.
E’ stato bellissimo dare una nuova voce alle nostre voci, trovare nuovi modi di farle cantare e nuovi posti in cui farle risuonare e intrecciare, esprimerci in assoluti azzardi attraverso gli innumerevoli poliritmi, contrappunti, canoni, cluster che farciscono  questo lavoro.
Alceste Ayroldi

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