Dario, inizierei dal titolo: Paradossalmente cosa?
Le mie tempistiche, le mie scelte letterarie, musicali e di produzione esecutiva, i miei ideali, le mie curiosità e il desiderio di contaminazione anche estrema sono alcuni dei paradossi di un percorso artistico senza regole che si insinua in un progetto musicale condiviso, paradossalmente, tra il jazz, le sonorità brasiliane e la musica d’autore.
È un disco che hai costruito durante il periodo di lockdown?
Scritto, pensato già da tempo e rimasto nel cassetto per diversi motivi, ha trovato ora il momento giusto per venire alla luce. Durante il lockdown si è solo completato un ciclo, una gestazione ponderata per un atto finale che ha potuto concretizzarsi anche grazie al supporto di Puglia Sounds.
A tal proposito, quali sono le tue riflessioni sul periodo trascorso? A te come è andata?
Il testo di Paradossalmente esprime appieno lo stato d’animo con cui ho affrontato questo periodo. Mi sono ritrovato in spazi limitati e in solitudine, eppure ho riscoperto spazi infiniti nella mia mente e mi sono riappropriato “dello scorrere del tempo”. Certo, come per tutti, anche per me le ansie e le paure per la nostra salute sono state una costante inevitabile, ma sono riuscito ad esorcizzarle con una forte speranza di ricominciare e di ricostruire iniziando proprio da nuove progettualità.
Torniamo al tuo disco. Sono molte belle anche le immagini pittoriche che fanno da copertina e arricchiscono il booklet. Ce ne parleresti?
Provate a girare l’immagine della copertina, vi ritroverete una foto, che, vista al contrario, sembra un dipinto. E anche questo, paradossalmente, mi ha emozionato. Il mio caro amico Andrea Lagravinese mi ha fatto dono di alcuni suoi bellissimi scatti che catturano particolari, colori, immagini che raccontano le mie visioni letterarie e musicali.
Tu hai forgiato il barisiliano (al quale dedichi anche un brano del tuo ultimo lavoro discografico). Come è nata l’idea?
È nata davvero per caso e quindi è un altro paradosso. Le parole tronche del barese lo rendono ritmico «e con un gioco di parole» come recita il testo di Barisiliano, il mio dialetto può sembrare, come il portoghese, in perfetta sintonia con le sonorità brasiliane. Un neologismo che sintetizza la mia contaminazione musicale e questo mi ha permesso di raccontare in maniera più autentica la mia terra. Da musicista, della lingua barese mi ha interessato soprattutto il suono, non è stata una ricerca linguistica, ma soprattutto una ricerca musicale.
Hai preso spunto anche da un canto popolare siciliano per Padrone mio tra l’altro nella traduzione di Matteo Salvatore. Come mai questa scelta?
Ho voluto omaggiare il cantautore pugliese Matteo Salvatore. Questa è la sua versione, nel dialetto di Cerignola, di un canto popolare di un anonimo siciliano che racconta la condizione di sfruttamento dei contadini nel Sud Italia. Nel mio arrangiamento mi è sembrato giusto fare richiami corali afro e dare una veste nuova «progressive» a questo canto popolare che racconta di uno sfruttamento che ancora oggi è perpetrato nelle nostre campagne, e che ci vede come i nuovi carnefici di altri esseri umani.
A proposito di ricerca. Quali sono le tue fonti di ricerca? Come procedi?
Per le storie della mia terra mi sono avvalso della sapienza popolare raccolta per le vie della mia città e dei racconti di amici attori o semplicemente appassionati della storia e della cultura della mia città. Ho scoperto storie e aneddoti che non conoscevo, approfondendo con letture e studi linguistici attraverso la collaborazione di preziosi esperti della “lingua barese”. Un brano su tutti U monde russe, ad esempio, narra della scomparsa di un isolotto, prima che un fenomeno di bradisismo lo facesse sprofondare, e di un monastero, dei misteriosi rintocchi notturni di una campana. Una storia vera che riguarda il passato della città di Bari che, paradossalmente, non tutti i baresi conoscono. Tutto questo nasce dalla voglia di raccontare la tua terra per superare i propri confini «Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio», come dice Lev Tolstoj.
I testi in vernacolo barese sono un vantaggio o uno svantaggio nel proporti per i live?
Questa domanda mi dà l’occasione per sottolineare che la musica è davvero l’unico linguaggio sonoro universale. Se poi questo linguaggio viene codificato con espressioni ritmiche e armoniche jazz, bossanova o samba, qualsiasi lingua parlata diventa anch’essa universale. Anzi diventa spesso motivo di curiosità e originalità utilizzare quei «suoni», come definisco io le parole del mio dialetto, diventando onomatopeici cosi come avviene nell’intro del brano Amambara. Nei miei live i brani in dialetto hanno avuto sempre un riscontro positivo di pubblico, fuori dai confini regionali e nazionali, per il loro impatto sonoro e per il diverso piacere melodico e ritmico che esprimono.
Nel disco troviamo anche un bel brano strumentale, Soli. E mi sembra simbolico che tu abbia voluto inserirlo in chiusura del disco. Così come troviamo il brano eponimo e Nel vento che sono in lingua italiana. Forse sono simboli di un prossimo cambiamento nella tua carriera artistica?
Già nel mio primo lavoro discografico («Musicanima», 2010) sono presenti due brani strumentali, con fraseggi vocali senza l’uso di parole, e sei brani in italiano immancabili nei miei live. Nel mio ultimo lavoro ho voluto concludere la mia ricerca di contaminazione linguistica, ma la scelta di un brano in italiano come titolo dell’intero album mi colloca in una dimensione musicale e letteraria più ampia, sicuramente i miei prossimi lavori saranno in questa direzione.
Parliamo dei musicisti che ti accompagnano in questo disco, che sono tanti e diversi in ragione del fatto che troviamo delle formazioni diverse per ogni brano.
A tal proposito mi piace citare il Pensiero meridiano del compianto Prof. Franco Cassano, scomparso pochi mesi fa, amico e relatore della mia tesi di laurea sul Jazz in Sociologia, che in questo progetto ho voluto «incarnare» sottolineando, con la collaborazione di vere eccellenze pugliesi, la centralità di un collettivo straordinario assolutamente autosufficiente e protagonista nel panorama musicale nazionale ed internazionale. La preziosa collaborazione di Roberto Ottaviano al sax soprano, Pierluigi Balducci al basso, Mirko Signorile al piano, Giuseppe Bassi al contrabasso, Gianni Iorio al bandoneon, Nando Di Modugno alla chitarra, Gaetano Partipilo al flauto traverso, Agostino Marangolo alla batteria, per citarne alcuni, mi ha dato la possibilità di arricchire gli arrangiamenti con le scelte sonore più adatte ad ogni brano. Il talento di questi straordinari musicisti è certamente l’anima jazz del mio lavoro, le mie soluzioni armoniche e le mie incursioni improvvisative vocali hanno fatto il resto.
Immagino, però, che avrai anche un piano B per i live. Giusto?
Per i miei live si è consolidata una formazione in quartetto che vede me alla voce e chitarra, al piano Francesco Schepisi, al basso Poldo Sebastiani, alla batteria Fabio Accardi e, dove è proponibile, come è già successo in passato, con Fabrizio Bosso e Daniele Scannapieco, la presenza di un ospite come quinto elemento.
Parliamo di Dario Skèpisi compositore. Quali sono le tue influenze musicali?
Mi sono nutrito dell’ascolto e continuo a farlo, anche grazie alla presenza nella mia famiglia di mio figlio Francesco, ormai ritenuto giovane talento del jazz italiano, e con il quale c’è sempre stato uno scambio di conoscenze musicali. Il conservatorio per noi musicisti è principalmente l’ascolto, e la scrittura, lo spartito per intenderci, diventa un supporto alle capacità interpretative ed improvvisative. Questo sicuramente l’ho ereditato dal jazz. Ma sicuramente la musica brasiliana, che influenza più di tutti le mie scelte armoniche e ritmiche, un certo mood del jazz americano ed europeo, e la canzone d’autore italiana, rimangono i miei principali riferimenti. Citare un solo nome o solo alcuni mi sembrerebbe fare un torto all’immensa schiera di autori, musicisti e cantanti che mi hanno ispirato negli anni. I tanti musicisti brasiliani, le vocalità jazz, rock e pop dei grandi talenti nazionali ed internazionali, hanno indirizzato i miei gusti, è un po’ come dire «sei ciò che ascolti»: sembra banale, ma è così!
Hai mai preso spunto da un libro, o da uno scrittore?
Non posso che citare il brano Soli. È nato da un lavoro teatrale ispirato al racconto di Italo Calvino L’avventura di un soldato, in questo monologo musicato ci sono appunto le mie musiche e questo brano mi ha sempre emozionato, mi è sembrato quindi naturale proporlo nel mio ultimo lavoro discografico.
Invece, per quanto riguarda la vena autoriale, prendi spunto dal vissuto quotidiano?
Una storia, un testo, una canzone nascono sempre dal vissuto. Per quanto mi riguarda scrivere diventa un pretesto per raccontare storie e aneddoti, denunciare ingiustizie e disagio sociale come in Cape Uastate e Amambara, emozionarsi ed emozionare parlando di un amore eterno come nel brano Nel vento o d’intensi stati d’animo come in Paradossalmente. Penso che per un cantautore rimane imprescindibile il rapporto dei testi con la musica e quindi spesso sono le note a suggerirti le storie da raccontare.
Dario, chi è il tuo mentore artistico?
Il musicista che tantissimi anni fa si accorse della mia vocalità è stato il mio ormai carissimo amico, nonché affermatissimo musicista jazz, Vito Di Modugno. Mi coinvolse subito in una super band formata da Rocco Zifarelli alla chitarra, Renato Falaschi alle tastiere, Michele Vurchio alla batteria e lui stesso al basso. Da quel giorno la musica suonata sui palchi con musicisti talentuosi, condividendo con loro innumerevoli live, è rimasta una costante che mi ha permesso e mi permette ancora di crescere musicalmente. Non riesco ad immaginare la mia vita artistica senza live e questo lo devo sicuramente ai miei esordi con musicisti di grande valore che ti sanno donare il vero piacere di suonare la tua musica.
Tu hai maturato un bel po’ di esperienza nel settore della musica. In Italia c’è qualcosa che ancora non va?
Stiamo vivendo un momento storico di grandi cambiamenti e difficoltà e noi musicisti dobbiamo tenerne conto. Aspetti positivi ce ne sono, ad esempio qui in Puglia possiamo godere di una filiera che offre grande qualità per la realizzazione di un prodotto discografico. Vi sono ottimi studi di registrazione che non ci costringono necessariamente a migrare, e ottime produzioni editoriali con la possibilità di promuovere i propri artisti con il supporto di istituzioni come Puglia Sounds e Apulia Film Commission che hanno rilanciato, finalmente, produzioni musicali di qualità. In riferimento a quel pensiero meridiano di cui sopra, questo dà speranza alla nostra attività creativa. Quello che non va, lo sappiamo tutti, è la logica del mercato discografico sempre più legato alle capacità comunicative di ogni singolo progetto musicale, parlo di visibilità sui social, piattaforme digitali e simili, e poca ricerca e voglia di investire a beneficio di tanti talenti ancora troppo in ombra.
Hai live in programma per quest’estate?
Certo, con qualche difficoltà per la situazione che tutti conosciamo, c’è un calendario in divenire e già dalla prima metà di giugno sino ad ottobre ci sono diversi live del mio tour visualizzabili sul mio sito web. Caro Endrigo, ad esempio, sarà un live che si terrà ad ottobre, interamente dedicato a Sergio Endrigo. Quando mi è stato chiesto di partecipare al Festival Internazionale Time Zones per omaggiarlo, insieme all’attore Totò Onnis, la mia formazione in quintetto con Gaetano Partipilo al sax, i miei arrangiamenti in chiave jazz e la mia interpretazione, ne sono stato onorato e felicissimo. Ci sto ancora lavorando e sicuramente questo approccio con la canzone d’autore italiana mi dirotta ancora di più verso queste scelte musicali e letterarie per i miei prossimi lavori.
Cosa è scritto nel diario di Dario Skèpisi?
Tanta buona musica live, spero, l’interazione con altre forme d’arte, già iniziate con il teatro e le colonne sonore di lungometraggi, tanto studio sia nel canto che nella chitarra, prezioso supporto armonico per il mio percorso creativo non solo cantautorale, ma anche in veste di compositore per altri progetti artistici.
Alceste Ayroldi