«Out of the Fog». Intervista a Daniel Herskedal

Uno dei più interessanti autori di colonne sonore emersi negli ultimi anni è il giovane tubista norvegese, al cui recente album partecipa un importante chitarrista come Eivind Aarset.

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Foto di Knut Åserud

Il suo strumento non è di quelli che circolano con facilità, ma Daniel Herskedal è riuscito a conferire alla tuba una nuova veste sonora. Il quarantenne musicista norvegese pubblica il suo nuovo album, il secondo con l’Edition Records. «Out of The Fog» è un disco dalle mille sfaccettature, lirico, solenne, orecchiabile e danzabile. La musica di Herskedal è corroborata dai testi e dalla voce di Emilie Nicolas. Il tutto piacevolmente amalgamato nelle trame tessute dalla chitarra (ed elettronica) di Eivind Aarset e dai delicati sussulti dei tamburi e piatti di Helge Andreas Norbakken. Un disco che evoca i paesaggi nordici, senz’altro. Ma sottolinea l’esistenza di una musica senza confini e senza etichette.

Buongiorno Daniel, piacere di conoscerti. Nonostante la tua giovane età il tuo suono è facilmente riconoscibile, dal timbro, dal colore e dalla costruzione delle armonizzazioni. Sei ancora alla ricerca di un suono in particolare?
Piacere mio e grazie! Quello che cerco è un suono personale e riconoscibile. Si tratterebbe di un mix di tutti i tipi di stili e di interpreti che ammiro e da cui ho imparato nel corso degli anni. Ho una formazione jazzistica e classica come esecutore, e inoltre ho lavorato molto con la musica tradizionale di diverse parti del mondo.

Suoni la tuba, che è uno strumento insolito nel jazz (e  non solo). Perché hai scelto questo strumento?
Ero, e sono, dipendente dal suono del basso. Il legame tra me e lo strumento è stato immediato quando l’ho provato per la prima volta a quattordici anni.

Il New York Times ha scritto di lei: «una splendida colonna sonora del compositore jazz Daniel Herskedal», parlando della colonna sonora per il podcast 9/12. Allora, la mia prima domanda è: ti senti un jazzista?
Sì e no. Gran parte della mia influenza musicale proviene dal jazz, ma anche dalla musica classica e quella della tradizione folclorica scandinava hanno la stessa influenza. Quindi credo di essere un mix di molti generi. Per la maggior parte del tempo eseguo e registro la mia musica originale, il che è un lusso. Quale sia il genere non ha molta importanza per me, purché mi senta onesto con me stesso quando compongo e suono la mia musica.

Foto di Knut Åserud

C’è chi sostiene che la divisione della musica in generi ha portato a non pochi problemi e liti. Che ne pensi?
Dipende molto dall’ambientazione. Ci sono tradizioni forti e consolidate nella maggior parte dei generi ed è importante sapere di quale tradizione si fa parte, da dove si viene. Nel mio caso si tratta di una fusione di sonorità, di tradizioni, e quindi può essere difficile definire un genere con una sola parola. Ma se si suona jazz dal 1920, viola barocca o maracatu, allora avrebbe molto senso definire il genere.

Nel 2019 hai composto la tua prima Colonna Sonora per il film The Last Man in San Francisco, prodotto da Brad Pitt. Scrivere colonne sonore di film è un tuo obiettivo professionale oppure è accaduto incidentalmente?
Era un obiettivo per me, ma trovare la via giusta per entrarci non è così facile. Questa colonna sonora in particolare è venuta fuori per caso ed è stata una sorpresa. Ma ora sono più affermato come compositore cinematografico. Realizzo 5-6 partiture all’anno per film, podcast, spettacoli teatrali o di danza, oltre a commissioni per concerti. Vedere e sentire la mia musica che si fonde con altre forme d’arte è molto stimolante e sarà una parte significativa del mio lavoro nei prossimi anni.

Penso che il tuo processo compositivo cambi radicalmente quando tu scrivi per colonne sonore. Quali sono le fasi del suo processo compositivo quando compone per le colonne sonore?
Dipende molto dal processo dei registi e dei produttori. A volte vengo coinvolto in anticipo e realizzo la musica ancora prima del taglio della scena. È il caso di una serie televisiva per la quale ho realizzato le musiche nel 2022, Martine – Chasing Justice su Discovery+. Volevano avere la maggior parte della musica prima di iniziare il montaggio della serie. Nel cortometraggio Murmaid, presentato in anteprima questa settimana al Tromsø Internatinal Film Festival, ho ottenuto un film chiuso prima di iniziare a comporre e registrare. In ogni caso, in entrambi i casi è necessario rafforzare ciò che sta accadendo visivamente e allo stesso tempo lasciare spazio sufficiente per i dialoghi. Questo significa che spesso, quando compongo la musica, tralascio gran parte dei miei assoli espressivi. Mi trattengo – e quando c’è spazio per farlo lascio che la musica risalti di più.

Invece, quando componi non su commissione, come si sviluppa il tuo processo compositivo?
Dipende dal progetto, se si tratta della mia band o di un progetto solista o per un’orchestra sinfonica, ecc. In tutti i casi, spesso improvviso e registro degli schizzi, sviluppando ciò che mi piace. Poi lo passo al mio programma di notazione, quando è necessario. Ma cerco sempre di creare il più possibile per rendere la musica organica prima della notazione. Compongo sempre utilizzando la tuba e il pianoforte.

Cosa sai del tuo lavoro quando inizi a scrivere? E quanto si conforma alla tua idea primigenia?
Di solito so quale film sto registrando, quale album sto incidendo o per quale concerto o ensemble scrivo. Per questo motivo, di solito faccio molti bozzetti nell’arco di alcuni giorni/settimane, e poi cerco le connessioni in questi appunti, prima di svilupparli in musica finita.

La Norvegia, il paesaggio o il clima influenzano la tua musica?
Credo che in qualche modo sia così, non so come sarebbe stata la mia musica se fossi cresciuto altrove. Credo che la cosa più importante sia il tuo sviluppo musicale e umano durante la crescita. Quando preparo gli schizzi, spesso me ne vado in un posto dove posso concentrarmi al 100% sulla musica. Può essere un cottage sulle montagne norvegesi o uno studio a Copacabana. Ho provato entrambe le cose e molte altre ancora, e il risultato continua a suonare come me indipendentemente dal luogo in cui lavoro, purché abbia lo spazio per concentrarmi. Credo che anche un ambiente stimolante intorno a te (che può essere sia la natura che la vita di città) sia d’ispirazione per far sì che la musica venga fuori nel modo giusto.

Parliamo del tuo ultimo album «Out of The Fog», nel quale ti affiance Emilie Nicolas. Come mai hai sentito l’esigenza di dare delle parole alla tua musica?
Emilie ha scritto i testi di questo album. Ammiro molto il suono di Emilie e, dopo averla sentita scrivere il testo della mia composizione The Mistral Noir ed eseguirlo con una versione campionata della mia registrazione, ho sentito la necessità di fare musica originale con lei.

Foto di Knut Åserud

Oltre a Emilie Nicolas troviamo anche Eivind Aarset e Helge Andreas Norbakken. Praticamente un quartetto. Questo significa che qualcosa sta cambiando nel tuo modo di concepire la musica?
Nel corso dell’anno compongo per diverse formazioni: dal solo all’orchestra sinfonica. La collaborazione con diverse formazioni e musicisti sviluppa e colora la mia musica in modo molto sano. Il giorno in cui la mia musica smetterà di evolversi e svilupparsi in questo modo, avrò finito anche come interprete e compositore. Ho sempre bisogno di andare avanti in tutto ciò che faccio.

Quanto è importante l’elettronica per la tua musica?
Dipende dal progetto. La maggior parte della musica che faccio è costituita da registrazioni acustiche, e poi magari nel mix o sul palco uso qualche effetto. Ma fare musica acustica è il mio modo di fare musica organica. Detto questo, è stata una fantastica fonte di ispirazione lavorare con Eivind Aarset, che dimostra che se si conoscono abbastanza bene gli strumenti, si può creare musica organica sia con strumenti acustici che elettrici.

Qual è il luogo più inusuale dove hai suonato?
L’ Ice Music Festival in Norvegia. Creano tutti gli strumenti musicali con il ghiaccio e io mi esibisco con diversi corni fatti di ghiaccio. È un luogo all’aperto, anch’esso fatto di neve e ghiaccio, sotto la prima luna piena di ogni anno.

Quali sono le collaborazioni che ritieni più significative nella tua carriera di artista?
Senza dubbio, tutti quelli con cui suono. La mia band con Eyolf Dale e Helge Norbakken è stata la più importante con quattro uscite dal 2015 e circa duecento concerti.

Se tu dovessi comporre una colonna sonora per una serie televisiva da te ideata, quale sarebbe la trama?
Il più ovvio per me sono i documentari, perché la mia musica può essere riprodotta ad alto volume e in modo ricco senza ostacolare il parlato umano.

Se non avessi svolto la professione di musicista, che mestiere avresti fatto?
Pescatore o agricoltore. Come artisti creativi, non ci si riposa mai dal lavoro. Avere compiti concreti e lavorare nella/con la natura è qualcosa che vorrei poter fare, a volte.

Quali sono i tuoi prossimi impegni e obiettivi?
Quest’anno ho in programma di registrare tre nuovi album con diverse formazioni e alcune collaborazioni internazionali. Ho anche un paio di grandi commissioni: insomma, continuerò a fare musica.
Alceste Ayroldi

*L’intervista è stata pubblicata sul numero di luglio 2023 di Musica Jazz
Foto di Knut Åserud