È da poco terminata l’esperienza de Il jazz italiano per le terre del sisma, realizzata nonostante le restrizioni imposte dal Covid-19. Qual è il bilancio di questa edizione?
Un bilancio esaltante, lo abbiamo visto negli occhi dei musicisti, dello staff e dei cittadini aquilani. Un piano di sicurezza complesso per una manifestazione diffusa nel più grande centro storico d’Italia, dieci palchi, prenotazione nominativa, controllo dei distanziamenti, sanificazioni tra i set, 43 concerti con quasi 250 musicisti coinvolti. I biglietti sono andati a ruba, è andato tutto liscio, un lavoro corale!
Chi sono i sostenitori della manifestazione?
Il partner principale è il MIBACT che da 6 anni sostiene la manifestazione con un contributo di 100.000 €. Ci sono poi il Comune dell’Aquila con 80.000 € e la SIAE con 60.000 €, un sostegno importante per il mondo dei musicisti italiani, dato in relazione ai progetti con gli studenti del Conservatorio dell’Aquila. Nuovo IMAIE con 10.000 € completa il sostegno a una manifestazione molto legata al mondo degli artisti.
Qual è la ricaduta delle vostre attività in favore delle terre colpite dal sisma?
La prima ricaduta concreta viene dalle raccolte fondi, nel 2015 abbiamo regalato un pianoforte al conservatorio dell’Aquila, nel 2016 abbiamo avviato la raccolta fondi per la ricostruzione del Teatro di Amatrice, si sono uniti vari attori e abbiamo centrato l’obiettivo, i lavori sono in corso e inaugureremo presto. Quest’anno invece è stata aperta la nuova sede della Casa della Musica di Amatrice, inaugurata grazie a noi e alle partite della Nazionale Italiana Jazzisti. La seconda ricaduta è il cosiddetto impatto economico. I-Jazz ha realizzato col prof. Salvemini della Bocconi di Milano, il primo studio economico sull’impatto dei festival jazz, da cui emerge una ricaduta di 3,5 euro per ogni euro investito. Considerati i flussi turistici, Terre del Sisma dovrebbe avere una ricaduta che supera il milione e mezzo di euro. La terza ricaduta è diretta: il budget di 250.000 € è in gran parte speso nel territorio: il 79,1% va in costi artistici e dei concerti, di questi buona parte va al sistema ricettivo locale. Le squadre tecniche sono dell’Aquila. La comunicazione (6,9%) usa stampatori locali e poi c’è la CAFIM di Claudio Formisano che da anni omaggia tutta la backline. Il coordinamento è affidato a Pescara Jazz, tutti ragazzi abruzzesi. Una parte minima va allo staff di I-Jazz e di Federazione, persone che lavorano con passione perché noi tutti, come dice il Sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi, siamo ormai cittadini aquilani.
Quali sono le ricadute in termini turistici, culturali e formativi?
Queste le vediamo ogni anno negli occhi degli aquilani. Musica, cultura, creatività. Turismo qualificato. L’Aquila come luogo dove andare a vivere. Migliaia di persone che scoprono la città, testimonial nel mondo della grande bellezza aquilana. Infine, la ricaduta formativa, coi progetti residenziali per gli studenti del Conservatorio dell’Aquila, quest’anno con Enrico Intra, in un percorso più concreto e pervasivo.
Mi pare che vi sia anche una forte attenzione ai territori e alla promozione turistica.
Non dimentichiamo a questo proposito i concerti della Marcia Solidale Terre del Sisma da Camerino all’Aquila, passando per quattro regioni, alla scoperta di aree interne del tutto trascurate, un progetto quest’anno documentato da Luca Matteucci, vincitore del premio AFIJ giovani fotografi e dal regista Marco Mari che ha realizzato un film che sarà presto in distribuzione.
Come procedete alla selezione dei musicisti e delle maestranze da coinvolgere per Il jazz italiano per le terre del sisma?
Il comitato artistico, a cui compete la stesura del programma, è composto ogni anno da tre persone espressione delle categorie: Midj, I-Jazz, Italian Jazz Club, Fotografi di Jazz, Etichette ADEIDJ e Associazione IJVAS. Dopo Paolo Fresu nelle prime tre edizioni e Luciano Linzi, Ada Montellanico e Simone Graziano nel 2002, le categorie della Federazione, con l’idea di rappresentare organizzatori, musicisti e innovazione, hanno nominato per il 2021 Paolo Damiani, Rita Marcotulli e Alessandro Fedrigo (Premio Nuove Direzioni 2020). Una scelta con buon equilibrio anagrafico e di genere. L’assemblea delle categorie assegna poi ogni anno i premi annuali a un giovane artista visionario, quest’anno Evita Polidoro e alla carriera, cito per il 2020 il grande Franco Fayenz che ha dato tanto nella vita alla diffusione del jazz. Per la produzione, come detto, si lavora su aziende locali scelte dopo preventivi su schede tecniche e offerte al ribasso, valorizziamo il lavoro con attenzione ai costi. Anche quest’anno sono venuti all’Aquila a dare una mano, a titolo gratuito, i direttori di molti festival italiani, oltre 50 in questi anni, un momento unificante, in cui tutti noi ci occupiamo con passione di mille aspetti pratici. Dopo gli anni della raccolta solidale, dall’anno scorso gli artisti, senza eccezioni, sono pagati 200 € netti, con contributi pieni e copertura di tutti i costi di viaggio e ospitalità. Questo vale anche per i musicisti della Marcia Solidale, i cui costi comprendono anche le guide, le magliette, pasti e costi specifici della Marcia. I bilanci sono sul portale ItaliaJazz.it. Il consuntivo 2020 sarà pronto con l’arrivo di tutte le fatture e dei rimborsi spese, contiamo di produrre un libretto con tutti i numeri fino ad oggi, da presentare pubblicamente a JazzMI o al più tardi entro fine anno.
Che ruolo ha la Federazione Il Jazz Italiano nell’organizzazione dell’evento?
La strategia della manifestazione e la scelta del comitato artistico sono espressione della Federazione e dunque delle diverse categorie. La titolarità giuridica della manifestazione è invece in capo a I-Jazz che ha l’onere di gestire, oltre al coordinamento, il reperimento delle risorse e le pubbliche rendicontazioni.
Lei rappresenta I-Jazz. Potrebbe spiegarci, in sintesi, di cosa si occupa questa associazione e quali sono gli obiettivi che si prefigge?
I-Jazz nasce dodici anni fa con l’obiettivo di creare una rete di rassegne e festival italiani. Siamo ormai settanta in diciannove regioni italiane, una compagine senza eguali in altri ambiti dello spettacolo dal vivo. Abbiamo l’obiettivo di rafforzare il sistema italiano, di aumentare le risorse destinate al jazz, di stimolarne la diffusione, di ridurre le complessità, di lavorare su progetti di sistema, tra questi il rinnovo generazionale col progetto Nuova Generazione Jazz che apre la strada (oggi sugli under 35 per la logica dei fondi europei) a un Export Office che possa stimolare la circuitazione europea dei nostri musicisti, un progetto cui stiamo lavorando con MIDJ, che con AIR ha già lavorato sulle residenze internazionali.
In seguito alla nascita di I-Jazz sono state create ulteriori forme associative relative a diversi comparti, tutti afferenti al jazz. In sintesi, quali sono le funzioni di questi organismi e cosa hanno prodotto fino ad ora?
La nascita di MIDJ è stata importante per raccogliere i musicisti attorno a progettualità autonome. Sono poi nate altre categorie, penso a Italian Jazz Club, che nasce per rafforzare il sistema dei jazz club italiani, luoghi fondamentali per dare continuità alla programmazione jazz ma ovviamente anche a tutte le altre, AFIJ, ADEIDJ, IJVAS, il cui lavoro non può essere riassunto in un breve paragrafo.
Parliamo della situazione che si è verificata in conseguenza della pandemia. Qual è la situazione delle rassegne e dei festival alla luce delle attuali restrizioni?
Come sempre il mondo del jazz, in un contesto di difficoltà per tutto il comparto culturale, ha dimostrato grande umiltà, flessibilità, voglia di fare. In estate il mondo del jazz è ripartito e le giornate dell’Aquila sono state un grande segnale. Nonostante le difficili costrizioni delle attuali normative le programmazioni ripartiranno, sono in costante contatto coi soci e sento voglia di fare, orgoglio e passione nel portare avanti attività che nascono per dare un contributo culturale e sociale alle nostre comunità.
L’estate festivaliera è passata e, in alcuni casi, ci si sta leccando le ferite inferte dalle restrizioni. La prima domanda è: cosa ha potuto fare I-Jazz in tal senso?
Abbiamo fatto una grande campagna per la ripartenza, anche attraverso il nostro portale Italiajazz.it. Durante il lockdown abbiamo lanciato campagna Il Jazz Italiano per Bergamo a sostegno di Cesvi Onlus e dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Abbiamo lavorato ai tavoli istituzionali ottenendo la conferma dei fondi FUS oltre a un fondo specifico extra FUS a beneficio dei soci. Abbiamo realizzato molti webinar di formazione. Dove necessario, abbiamo fatto sentire la nostra voce presso gli enti locali a supporto dei soci. In molti casi, grazie al nostro intervento i contributi tagliati sono stati reintegrati. Nel sistema federativo, abbiamo lavorato per il sostegno agli artisti e ad una proposta per consentire l’ottenimento dei requisiti pensionistici anche ai musicisti che svolgono lavoro intermittente.
Come procede, invece, la promozione del jazz italiano sia sul territorio nazionale, che su quello estero?
L’annuario Siae ci dice, dati ufficiali 2019, che il nostro sistema è in crescita, così come lo sono le risorse, ancora troppo basse ma raddoppiate in tutti questi anni di nostro lavoro in associazione. Certo non basta, il sistema del jazz ha contributi pubblici nella misura del 3,5% del FUS ma rappresenta il 25% dei concerti. Occorre lavorare per ottenere un riequilibrio. Siamo in controtendenza grazie a una proposta larga e varia. Le difficoltà non mancano, dobbiamo insistere e possiamo farlo solo insieme, valorizzando le idee di tutti e allargando sempre di più la governance a persone nuove. L’estero invece è un discorso a parte. Con Europe Jazz Network stiamo lavorando per far conoscere di più il nostro jazz all’estero. La situazione di partenza è complicata, una serie di interviste ai direttori europei dice che i grandi musicisti italiani all’estero sono quasi sconosciuti. Stiamo cercando di intervenire con alcune azioni, una Italian Jazz Week ogni anno in un grande festival europeo, il progetto Nuova Generazione Jazz e poi la European Jazz Conference, portata a Novara l’anno scorso e per la prima volta in Italia, uno showcase del jazz italiano con concerti davanti a 180 delegati da tutto il mondo, solo l’inizio di un percorso di semina che dovrà allargarsi al jazz italiano di ogni età ed estetica. La conferma di Enrico Bettinello nel Board di EJN è di certo una opportunità da valorizzare.
Quali sono le prossime attività che I-Jazz si appresta a porre in essere?
Avremo l’assemblea annuale di I-Jazz a Milano durante JazzMI, alcuni convegni con diversi temi interessanti, riprenderemo con una serie di webinar lai formazione ai soci e non solo, continueremo l’azione presso le istituzioni per portare più risorse al jazz e stiamo già lavorando all’Aquila 2021. Ci sono poi due grandi progetti, uno riguarda il Green e la sostenibilità del sistema dei festival italiani, l’altro è di rafforzare tutti i meccanismi che ho citato in precedenza, accogliendo chi vorrà partecipare a questa fase riformatrice, contribuendo con spunti, critiche e idee, lavorando tutti insieme per il bene comune, lo sviluppo della musica che amiamo.
Alceste Ayroldi