Vivere di musica. Intervista a Claudio Angeleri

Fresco di pubblicazione il libro del pianista, compositore e direttore del CDpM – Centro Didattico Produzione Musica. Di seguito un breve estratto dell’intervista che sarà pubblicata prossimamente sulla rivista Musica Jazz.

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Claudio Angeleri

Claudio, come nasce l’idea del tuo libro Vivere di musica?
Inizialmente è nata come una raccolta di ricordi e incontri personali. Nella stesura del libro, tuttavia, mi sono accorto che progressivamente emergevano riflessioni più generali che appartengono al vissuto e alla professionalità di ogni musicista ed in particolare del jazz e della musica improvvisata. Ho pensato quindi che una prospettiva capace di rimandare continuamente dall’individuale al collettivo, dall’emotivo al tecnico, dal «quasi» filosofico all’aneddotico potesse essere condivisa con una platea più ampia, replicando il rapporto che il musicista ha con il pubblico, mettendo così in rilievo aspetti di solito sconosciuti.

Claudio Angeleri con Franco Ambrosetti

Dunque, non è un manuale, non è un’autobiografia, non è un saggio accademico. Se lo definissi un’esortazione a non abbandonare la via della musica ti sembrerebbe fuori luogo? Come completeresti questa mia definizione?
È assolutamente corretta. In ambito musicale stiamo vivendo una deriva culturale preoccupante veicolata sia dai media convenzionali sia da quelli liquidi e gassosi. La musica è sempre di più sullo sfondo, l’ascolto è di breve durata, superficiale e spesso opzionale mentre è una attività fondamentale per la vita di relazione ed in particolare per la musica. Tuttavia, ho intercettato anche un processo inverso, soprattutto tra i giovani e nel mondo della scuola. C’è una fortissima richiesta di protagonismo musicale in termini performativi, cioè in relazione al «fare» musica soprattutto insieme agli altri. I musicisti e più in generale gli operatori culturali e le istituzioni preposte alla diffusione e formazione in materia di musica hanno quindi perciò le principali responsabilità a cui non si possono sottrarre. Dobbiamo fornire opportunità e strumenti idonei per consentire a tutti di accostarsi alla musica rispettando le diversità di apprendimento di ognuno.
Il jazz in tal senso offre molte possibilità partendo fin dall’infanzia. Purtroppo, non esistono ancora percorsi formativi che rispettano e sviluppano realmente il DNA di questa musica. Mi riferisco alla creazione della pulsazione continua che genera swing e groove, oppure alla gradualità della pratica dell’improvvisazione partendo da semplici attività estemporizzate d’insieme che prendono spunto dalla melodia ma coinvolgono fin da subito tutti gli aspetti musicali: armonia, ritmo, interplay. In altre parole, occorre diffondere la cultura della “autografia musicale” che sappiamo appartenere al jazz e alle musiche audiotattili. Dal 1990 ho inaugurato un ciclo di lezioni concerto, sia all’interno del festival Bergamo Jazz sia nelle iniziative dell’International Jazz Day che hanno visto l’adesione complessiva di più di quarantamila studenti delle scuole primarie e secondarie che non avevano mai sentito parlare di jazz.  Il riscontro è stato entusiasmante.

Claudio Angeleri con Charlie Mariano

Il tuo libro è strutturato in un prologo, una sezione generale – maggiormente biografica – e una che hai denominato «Invenzioni a più voci». Parlando di quest’ultima, immagino che non sarà stato semplice selezionare i musicisti che a cui fai riferimento, nel gran numero di artisti con i quali hai collaborato. Hai utilizzato un criterio in particolare? A cosa ti sei affidato?
Come scritto nel libro attribuisco un valore fondamentale agli incontri che un artista ha nella sua vita. Possono essere reali o virtuali con maestri o con personaggi del passato – nel mio caso con Monk, Ellington e Italo Calvino. Ciò riguarda sia le fasi formative – ed in questo sono stato molto fortunato ad aver incontrato il mio primo maestro Aldo Sala, tra i pionieri del jazz italiano e della didattica Orff e Kodaly, e il pianista americano Mark Levine – sia quelle professionali. Tra quest’ultime cito con particolare emozione Charlie Mariano per come ha saputo mettersi al servizio della mia musica senza rinunciare alla sua straordinaria personalità. Con lui avevamo la netta sensazione di creare dell’arte in ogni momento. Gli altri incontri riportati nel libro si ispirano al rilievo avuto dagli incontri nella mia crescita umana, professionale ed artistica. Non sono personalità solo musicali, ma esponenti di altre discipline come l’architettura, il cinema d’animazione, il teatro, la didattica.

Nella quarta di copertina, Marco Mangiarotti dedica alcune righe di commento al tuo libro. In particolare, sintetizza quelli che, dovrebbero essere, i punti salienti del tuo processo artistico; come afferma Mangiarotti: «diventano una famiglia allargata», tra cui troviamo menzionati Giorgio Gaslini e Carlo Leidi. Qual è stato il tuo rapporto con questi due intellettuali?
Giorgio Gaslini
rappresenta un caso unico e irripetibile non solo in Italia ma anche nel panorama internazionale, per aver portato il jazz a un livello artistico complanare a quella della musica classica europea. Credo che i musicisti italiani non abbiano ancora compreso la portata della sua straordinaria carriera e del suo contributo grazie al quale di cui tutti noi beneficiamo ancora oggi professionalmente a dieci anni dalla sua scomparsa. A parte l’amicizia personale e l’incoraggiamento dato alla mia attività, sono grato a Gaslini per aver intuito che il futuro della musica che da più di un secolo chiamiamo jazz deve abbandonare questo affascinante neologismo a favore di una denominazione più completa e articolata: musica totale. Si tratta di un processo di adeguamento necessario per comprendere l’evoluzione di questa musica e dei suoi protagonisti, progettando il futuro. Un processo che tuttavia non nega e non rinuncia all’enorme portata della storia del jazz ma, al contrario, lo valorizza ulteriormente ponendo al centro i musicisti come principali fautori dell’arte dell’improvvisazione.
A Carlo Leidi sono invece legato per la fiducia che mi ha saputo infondere in diverse occasioni. In primo luogo, per avermi coinvolto in una commissione di studio sul riutilizzo dei contenitori storici della mia città, in particolare del Teatro Sociale disegnato da Leopold Pollack nel 1803. Poco più che ventenne, ero stato invitato a dare un contributo grazie alle mie competenze musicali e di neolaureato in architettura, accanto a personaggi di rilievo assoluto come il direttore d’orchestra Gianandrea Gavazzeni.  Successivamente Carlo mi ha aiutato nella costituzione legale del Centro Didattico produzione Musica. Occorre dire che Carlo Leidi non svolgeva semplicemente la professione di notaio – era il notaio per antonomasia di Bergamo e proprio in quel primo statuto del 1987 aveva saputo intuire le possibilità didattiche e interdisciplinari di una associazione che sarebbe diventata così importante per la mia città e per me. Io non lo sapevo ancora. Lui sì, fin dal primo momento.

Con l’ANSJ hai programmato una serie di attività, tra cui un interessante festival diffuso.
L’ANSJ, l’Associazione Nazionale delle Scuole Jazz e musiche audiotattili è partner da due anni della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Roma 3 nella realizzazione di un Master Accademico di II Livello post-Laurea EQF 8 sulla musica d’insieme ad indirizzo jazz in cui si trattano proprio questi argomenti. Non è trascurabile, infine, la promozione diretta o in collaborazione con altri soggetti (enti pubblici, scuole, jazz club) di attività concertistiche al fine di garantire, anche in musica, una reale alternanza scuola/lavoro. Proprio in questi giorni ha avvio il Jazz Mood Day, la rassegna nazionale a vocazione didattica che durante l’intero mese di aprile prevede lezioni/concerto, mostre fotografiche, conferenze e concerti attraverso la rete delle scuole, delle associazioni del terzo settore e le scuole pubbliche. È attesa la partecipazione di 5.000 studenti e più di 150 musicisti/docenti di jazz in tutta Italia dal Piemonte alle Marche.  Di particolare rilievo è il Convegno sulla Didattica Jazz e delle musiche audiotattili del 27 e 28 aprile promosso da Jazz School Torino all’interno del Torino Jazz Festival dedicato alla memoria di Franco Caroni, «l’inventore» di Siena Jazz e socio fondatore ANSJ.
Alceste Ayroldi