Oggi Sonny Rollins, uno dei più importanti jazzisti della storia, compie novant’anni. Carlo Pagnotta, patron di Umbria Jazz, può vantare un’amicizia più che quarantennale col sassofonista: un legame che va ben oltre il semplice rapporto tra organizzatore di concerti e musicista. Quindi proprio a lui, che in moltissime occasioni ha portato Rollins sul palcoscenico di Perugia, abbiamo chiesto di raccontarci le vicende italiane – aneddoti compresi – dell’immenso maestro del sassofono.
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Quando e come è avvenuto il suo primo incontro con Sonny Rollins?
La prima volta, se non ricordo male, fu alla fine degli anni Settanta. In seguito, nell’ottobre 1981, Sonny tenne un concerto per la stagione del Jazz Club Perugia al teatro Turreno. Poi, più avanti, quando riprendemmo i concerti di Umbria Jazz, scoprii che sua moglie Lucille – che era anche la sua manager: insomma, lo gestiva anche dal punto di vista artistico, però non ufficialmente – non voleva più venire a Perugia, perché si erano trovati malissimo. Il fatto, però, è che lei faceva riferimento a un’altra città: aveva preso lucciole per lanterne. E lo scoprii quasi per caso. Non riuscivo a darmi ragione del fatto che Rollins non venisse più in Umbria, nonostante i miei inviti rivolti al suo manager ufficiale Ted Kurland: «Sonny non vuole venire, ce l’ha con Perugia!», continuava a ripetermi lui. Così, una volta che mi trovavo a Filadelfia e scoprii che Sonny avrebbe suonato in città, decisi di approfittarne. Al termine del concerto andai a salutarlo in camerino e, già che c’ero, gli chiesi i motivi del suo astio nei confronti della nostra città. Lui mi rispose che Lucille gli aveva ricordato come fosse stato indisciplinato il pubblico di Perugia. Ovviamente ci rimasi di sasso, perché durante il suo concerto non era accaduto nulla di particolarmente spigoloso. Invece Lucille insisteva nel sostenere la sua tesi, perché anche lei era presente. Allora le ricordai che la sera del concerto perugino lei non era venuta al teatro Morlacchi ma aveva preferito rimanere in hotel; anzi, qualche ora dopo, aveva telefonato in teatro per farsi venire a prendere, ma il concerto era già terminato e Sonny stava già rientrando in albergo. Lucille trasalì e finalmente si ricordò tutto, compreso il fatto che le avevo inviato dei fiori: aveva, come dire, condizionato Sonny con un suo ricordo non vero, perché il pubblico indisciplinato non era quello di Perugia ma di un’altra località. Così dall’anno successivo, appena gli fu possibile, Sonny tornò a Perugia. E fino a quando è stato in salute, ovvero prima che gli fosse diagnosticato un enfisema polmonare, è sempre stato con noi. Vorrei ricordare che la custodia del suo sassofono reca ancora l’adesivo del Jazz Club Perugia, perché a Umbria Jazz ancora non facevamo gli stickers. Sassofono e custodia che per lui sono imprescindibili, tant’è che quando gli chiesero di evacuare il suo appartamento di Manhattan per via della tragedia delle Twin Towers (lui abitava a poca distanza), la prima cosa che Sonny portò via fu il suo sassofono nella relativa custodia.
Tant’è vero che Sonny Rollins ha rappresentato un appuntamento importante e fisso di Umbria Jazz fino a qualche anno fa.
Sì, ripeto, fino a quando è stato in salute, prima che scoprisse di soffrire di enfisema, è sempre venuto da noi. Quando fu ospite dell’edizione del 2012, avevamo già programmato un suo nuovo concerto per il 2013 e avevamo pensato a due ospiti. Infatti sapevo che in quello stesso 2012 Sonny, negli USA, aveva ospitato sul palco Roy Hargrove; pertanto gli proposi di fare altrettanto con degli ospiti italiani, ovvero Enrico Rava e Paolo Fresu. Fu una proposta che lui accettò di buon grado, tanto che a tempo debito avevamo già preparato tutto quanto, manifesti compresi, ma purtroppo alla fine Sonny cancellò l’intero tour.
Tra di voi, col tempo, si è creato un rapporto che va oltre quello standard tra organizzatori e musicisti. Che cosa ha legato Rollins a UJ?
Il rapporto è diventato solido, certo, ma solo dopo che riuscii a chiarire il tutto con la moglie. Quel malinteso ci stava costando caro.
Tant’è che nel 2003 gli fu conferita la laurea honoris causa della Berklee e, nel 2012, anche un’onorificenza da parte dell’amministrazione comunale: il Baiocco d’oro, se non ricordo male.
La laurea fu consegnata presso la sala dei Notari. La Berklee consegnava i titoli accademici soltanto presso la sede di Boston, ma quell’anno volle fare un’eccezione. Con l’istituzione americana abbiamo un rapporto molto forte: se nel 2020 non avessimo avuto questa battuta d’arresto, sarebbe stata la trentaduesima edizione dei seminari estivi. I concerti di Rollins a Perugia erano tutti in esclusiva italiana, quindi rappresentavano un autentico evento. Ciò ha legato la città di Perugia a Sonny, creando un rapporto speciale.
Dicevamo che, nel 2013, Rollins fu costretto a cancellare il suo concerto; concerto che fu sostituito da quello di Jan Garbarek. C’è qualche collegamento artistico tra i due, a suo avviso?
No, assolutamente. Gli americani importanti erano già stati impegnati da noi. Poiché Garbarek non veniva a Perugia da qualche anno, decidemmo di invitarlo.
Ci sono degli aneddoti che potrebbe raccontarci?
Uno in particolare. Nel 2012, a fine concerto, Sonny Rollins scappò via senza concedere neanche un bis. Io ero impegnato al Morlacchi per il concerto di mezzanotte; al termine, tornai all’hotel Brufani (che ospitava Rollins) e fui avvisato che Sonny mi voleva parlare. Scoprii che ancora non dormiva e lo raggiunsi nella sua stanza. Il motivo della sua convocazione era perché voleva chiedermi scusa di aver dato, a suo avviso, un brutto concerto dal momento che che il gruppo non aveva suonato come avrebbe dovuto: anzi, voleva licenziarli tutti. In realtà se ne era accorto soltanto lui, perché il pubblico aveva gradito tantissimo! Ed era questo il motivo per cui era scappato senza concedere bis; anzi, da quanto era arrabbiato, aveva lasciato il palco con tanta foga da inciampare in un monitor e rischiare una brutta caduta…
Lei ci era rimasto male quando non c’erano stati bis?
Un po’ sì, ma Sonny mi spiegò subito il motivo: era arrabbiato con il gruppo, perché – a suo dire – aveva suonato malissimo.
Immagino che ci siano anche altri aneddoti.
Sì, certo. Qualche anno prima, Rollins si trovava presso il roof del Brufani per un’intervista, se non ricordo male per un’emittente radiofonica. Non appena iniziò l’intervista lui se ne uscì così: «Siamo qui con una leggenda del jazz: Carlo Pagnotta». Pensa un po’ il mio imbarazzo! Sembra proprio una barzelletta. Di solito Sonny rimaneva quattro o cinque giorni a Perugia, tra prima e dopo la performance, ma non usciva praticamente mai dall’albergo.
Rollins apprezza il cibo italiano?
Non è che sia un grande mangione, anzi è molto parco. Comunque, fino a quando è vissuta la moglie, si faceva ciò che diceva lei. Comunque Sonny mangia poco e senza particolari fissazioni eno-gastronomiche. A differenza di Charles Mingus! Quando preparavo a Mingus l’insalata con il cocomero, che lui adorava, ci metteva tutto il resto: e quanto, poi!
Particolari fissazioni o riti scaramantici prima del concerto?
Arrivava due ore prima del concerto, senza cenare e, nonostante avesse a disposizione il catering, non chiedeva o toccava nulla. Stava lì come un asceta e poi sostava in camerino per circa un’ora dopo il concerto.
Vista la sua esperienza, ci sono degli eredi di Sonny Rollins in circolazione?
No, nella maniera più assoluta: non ci sono stati eredi di Coltrane, di Stan Getz, così come non ce ne sono di Sonny Rollins. Oggi ci sono tanti musicisti che suonano bene, perché si studia di più rispetto al passato, ma di geni non ce ne sono più. Dico questo perché lo stesso rapporto che ho con Rollins lo ho avuto con Stan Getz e anche con Dizzy Gillespie. Purtroppo non ho avuto lo stesso rapporto con un altro genio, Keith Jarrett, ma non per colpa mia.
Invece il carattere di Sonny Rollins è ben diverso, giusto?
Rollins è uno che non dà il minimo fastidio. Passata la fatidica ora post-concerto, riceve le persone nel camerino senza problemi. A prescindere dall’essere mitizzato come personaggio, fin da quando se ne andava a studiare sul famoso ponte. Una volta venne a tenere un concerto al teatro dell’Opera di Roma, stranamente di pomeriggio. Al termine del concerto solo due persone furono ammesse nel camerino: Filippo Bianchi e il sottoscritto. Io ho già mandato gli auguri a Sonny, in debito anticipo – allegando anche una foto – perché intendono realizzare un book di auguri da consegnargli.
Alceste Ayroldi