Jazz Takes The Green: intervista ad Adriano Pedini

di Nicola Gaeta

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Mercoledi e giovedi prossimi (3 e 4 giugno 2020) a Fano si terrà Jazz Takes The Green, il primo Convegno nazionale sulla sostenibilità ambientale dei festival e delle rassegne jazz. In un primo momento il convegno era stato previsto al Teatro della Fortuna, in seguito si è invece deciso di tenerlo online sulla piattaforma Zoom dell’associazione I-Jazz, che riunisce oltre sessanta festival jazz italiani. È un’interessante iniziativa in cui si discuteranno diverse tematiche, prima tra tutte – e di scottante attualità anche a causa dell’emergenza Covid 19 – la tolleranza e la sostenibilità ambientale sulle quali tutti oggigiorno dovremmo porci il problema di riflettere, anche alla luce del fatto che buona parte dei disastri ambientali che iniziano a colpirci (comprese le zoonosi, alla cui categoria appunto appartiene il Covid 19) derivano da una scarsa, anzi da nessuna attenzione da parte dell’uomo. L’obiettivo immediato del convegno è quello di favorire la riconversione dei festival jazz da eventi ad alto impatto ambientale a eventi cosiddetti green.
Tutte e due le sessioni si svolgeranno la mattina a partire dalle ore 10. Se volete saperne di più, potete telefonare allo 0721/1706616 oppure telefonare o mandare un whatsapp al 338 6464241. Esiste un sito: www.fanojazznetwork.it oppure potete inviare una mail a info@fanojazznetwoek.org. L’evento ha colpito immediatamente la nostra attenzione ed è per questo che abbiamo deciso di farci una chiacchierata con Adriano Pedini, il direttore artistico di Fano Jazz By The Sea, che quest’anno giunge alla sua ventottesima edizione.

Adriano Pedini

Come si fa a conciliare sostenibilità ambientale di un festival e una situazione (la pandemia) in cui il diktat è quello di mantenere le distanze di sicurezza?
In realtà, perseguire l’obiettivo della sostenibilità ambientale, significa anche confrontarsi con la complessità delle regole definite dai CAM (Criteri Ambientali Minimi) e degli orientamenti che sono necessari per arrivare ad un obbiettivo. In questo senso la situazione di pandemia significa certo confrontarsi con un complesso di regole, prescrizioni stringenti, e diktat. Ma per noi, che siamo abituati a gestire situazioni come dicevo altrettanto complesse, non rappresenta certo un limite invalicabile. Il convegno Jazz Takes The Green, primo momento di riflessione su questi temi, vuole proprio focalizzare le varie problematiche e offrire soluzioni pratiche per perseguire appieno il percorso green.

Il risultato di uno show, di una esibizione live, viene fuori dalla cooperazione di tecnici del suono, road managers, organizzatori eccetera. Quali precauzioni dovrebbero prendere a tuo avviso queste figure per lavorare in sicurezza?
Teniamo presente che ogni luogo dove si svolgono i nostri eventi è assimilabile a un cantiere di lavoro, regolamentato  da precise norme ministeriali a cui tutta la filiera dello spettacolo dal vivo si deve attenere in maniera scrupolosa, dai tecnici ai road manager, ai musicisti e così via. Spetta a noi organizzatori governare questa complessità tipica: a questo proposito la premessa fondamentale per ogni organizzatore che voglia vedere garantita la riuscita dei suoi eventi, è scegliere e far conto su professionisti e studi tecnici che conoscono la materia e offrono soluzioni adeguate. Con la sicurezza non si può scherzare!

Prevedete di organizzare palchi che tengano conto di tutto questo? Faccio un esempio: suonando, un sassofonista o un trombettista emettono in continuazione droplets, per cui dovrebbero restare a debita distanza dagli altri esecutori. Come pensare di organizzarvi?
Intanto esiste a tutt’oggi un protocollo ministeriale, come da DPCM del 17 maggio scorso, in cui nell’ormai famoso allegato 9 vengono elencate tutte quelle norme e procedure a cui ogni organizzatore dovrà attenersi per essere in regola per lo svolgimento dell’evento. Nello specifico, oltre al distanziamento previsto fra i musicisti, qualora si prevedano criticità, si potranno allestire barriere in plexiglas (sul tipo di quelle che vengono già usate in alcune occasioni per microfonare le batterie e pianoforti per evitare inneschi e rientri microfonici) che non tolgono nulla alla performance e al tempo stesso garantiscono un’ulteriore sicurezza.

Nel 2020 molti festival importanti non avranno luogo. Penso a Montreux o North Sea. In Italia Bergamo Jazz non si è fatto e non si farà Umbria Jazz. A mio parere giustamente. Sento dire che molti, in Italia, terranno delle edizioni pensate apposta per l’emergenza in versione diciamo ridotta, o forse sarebbe meglio usare il termine «ripensata». Mi viene il sospetto che il reale problema sia dare continuità a situazioni che vivono di contributi assistenziali. Qual è il tuo punto di vista?
Non per difendere la categoria, ma credo sia largamente diffusa l’idea, a mio avviso corretta e condivisa, che i festival jazz italiani, sono nella stragrande maggioranza il prodotto di una grande passione, che nulla ha a che vedere con i meccanismi del business, che invece pervadono tutta l’altra musica. Non mi risulta che qualche organizzatore di jazz si sia arricchito o che viva in condizioni di tranquillità economica, tutt’altro. Altra premessa sta nel fatto che i contributi pubblici per il jazz, seppur ultimamente con qualche rimodulazione, sono a dir poco briciole rispetto per esempio alla classica; e qui si dovrebbe aprire, come sarebbe giusto e doveroso, un dibattito sull’equità e sulla pari dignità di genere. Il termine assistenziale non mi sembra quindi appropriato. Credo che per rimodulare festival del tipo Montreux, North Sea Festival o Umbria Jazz, che sono dei mega-eventi, occorra molto tempo e certezze operative che a tutt’oggi sono assenti. Il Festival di Bergamo si è trovato oggettivamente in una situazione di tale emergenza sanitaria che era impensabile a breve termine qualsiasi altra soluzione se non l’annullamento; in ogni caso mi risulta che qualcosa di significativo verrà organizzato nei prossimi mesi. Altra cosa è quella miriade di festival piccoli e medi diffusi in tutto il territorio nazionale, che sono la maggioranza e che per loro natura sono capaci, grazie anche alla determinazione degli organizzatori, di rimodularsi senza perdere dignità riguardo alla proposta culturale originale. Mantenere in vita questi festival significa non solo non perdere le posizioni acquisite (si sa che mollare il più delle volte significa scomparire) e il contatto con il proprio territorio e pubblico di riferimento, ma c’è tutto un tema che riguarda la salvaguardia delle masse artistiche e non solo, attualmente sofferenti, che potranno trovare occasione di lavoro; il che non è poca cosa. Voglio sperare, ma ne sono convinto, che a spingere gli organizzatori a fare di tutto per mantenere in vita i propri festival ci siano motivazioni più nobili rispetto ad una continuità legata ai contributi pubblici. Per assurdo il meccanismo messo in piedi dal MiBACT in questo terribile frangente consente, per esempio, ai festival percettori di contributi FUS di ricevere da subito l’80% del contributo dell’anno precedente, anche in assenza o quasi di programmazione da rendicontare. È sicuramente una bella sfida, ma si sa, l’improvvisazione, che non significa semplicità e approssimazione, è una prerogativa del nostro mondo.

Che farà quest’anno Fano Jazz?
Per quanto riguarda il festival Fano Jazz By The Sea, giunto alla sua XXVIII edizione, si farà mantenendo pressoché intatta la sua proposta culturale e l’impianto organizzativo. Certo, mancherà qualche artista straniero, ma non credo che questo ne possa svilire l’azione complessiva. Nello specifico, le date saranno quelle a suo tempo programmate, dal 24 al 31 luglio. Il Main Stage sarà di alto profilo. E le sezioni come Young Stage (dedicata al miglior jazz giovane, di sperimentazione e innovazione), Exodus Stage (dedicata al problema dell’immigrazione), e Cosmic Journey (dedicata all’uso delle nuove tecnologie e linguaggi sperimentali) restano confermate. Così come anche l’aspetto didattico e le attività collaterali. Seppur rimodulate, tutte queste sezioni del festival resteranno nel programma. Per ovviare alla drastica riduzione dei posti disponibili, come elemento aggiuntivo e non certo sostitutivo, faremo uso delle dirette streaming in full HD. L’unica cosa che ci rammarica è il dover rinunciare allo spazio Jazz Village, al fine di evitare assembramenti obiettivamente oggi ingestibili, anche in considerazione del divieto di somministrazione di cibi e bevande in presenza di eventi spettacolari. In questi ultimi anni il Jazz Village è stato il luogo ideale per coltivare con convinzione le buone pratiche ambientali: dovremo trovare soluzioni temporanee, transitorie, che potrebbero uscire dallo stesso convegno del 3 e 4 giugno.