A Monopoli il jazz va a scuola. Intervista ad Adolfo Marciano.

Si chiama I mestieri della musica la rassegna ideata dal dirigente dell’IISS Luigi Russo di Monopoli, che avrà inizio il 20 novembre. Ne parliamo con lui.

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Adolfo Marciano Foto di Agata Laviola

Professor Marciano, particolarmente lodevole la sua iniziativa di portare il jazz tra i banchi della scuola che lei dirige. La prima domanda è: come è nata questa idea e come verrà attuata?
Il ciclo di queste lezioni/concerto si intitola I mestieri della musica, proprio perché nelle mie intenzioni questi incontri serviranno a far emergere i sogni, i progetti di vita e di lavoro, le delusioni, le soddisfazioni, le tappe della carriera di chi è riuscito a fare della musica “una professione” ed è disposto a condividere le proprie esperienze con gli studenti del Liceo Musicale che dirigo, il Luigi Russo di Monopoli. A conferma di questa impostazione, anche «orientativa» per gli studenti, c’è il fatto che uno degli incontri, quello dell’11 Dicembre, sarà affidato non a musicisti, ma ai titolari di una casa di produzione discografica indipendente, la Angapp music di Corato. Il fatto che si parlerà di jazz, di soul, hip hop e cantautorato si spiega col progetto di aprire sempre di più, per quanto possibile, le aule di un Liceo Musicale a esperienze di ascolto ed esecuzione differenti da quelle, più consuete, della musica di tradizione europea, tanto per capirci, che sono ancora oggi predominanti nell’insegnamento.

Auditorium IISS Luigi Russo, Monopoli
Foto di Agata Laviola

Come è stata accolta da docenti e studenti?
Ho riscontrato molta disponibilità da parte del corpo docente, soprattutto perché in questa scuola, anche prima che arrivassi io alla Dirigenza, qualche tentativo in questo senso era già stato fatto. Per quanto riguarda gli studenti, mi pare di poter dire che l’iniziativa sia stata accolta con entusiasmo, anche considerando la risposta in termini di affluenza alle lezioni, che tra l’altro si svolgono di Sabato e fuori dall’orario scolastico.

Ritiene che la conoscenza del jazz, dell’improvvisazione sarà funzionale al piano formativo dell’istituto da lei diretto?
Senza dubbio costituirà un arricchimento dell’offerta formativa. Per un ragazzo che aspiri a suonare per professione, o semplicemente per diletto, la «composizione istantanea» è sicuramente una sfida, una chiave per allargare i propri orizzonti mentali, un esercizio arduo, senz’altro, ma ritengo estremamente appagante e stimolante.

Istituto Luigi Russo
Foto di Agata Laviola

Come ha effettuato la scelta dei musicisti che si esibiranno nei quattro appuntamenti?
Con Antonello Losacco, che inaugurerà il ciclo di lezioni, ci conosciamo già da qualche anno e ho avuto modo di apprezzarlo sia come valente bassista che come docente di musica nelle scuole medie inferiori. Gli ho anticipato l’idea base del progetto e abbiamo cominciato a organizzare una scaletta degli interventi che fosse organica e coerente. Siamo arrivati a ragionare su chi potessero essere i musicisti da coinvolgere e Antonello si è prestato a fare da tramite e raccogliere adesioni. Si tratta di musicisti della scena pugliese, ma affermati anche a livello nazionale e internazionale, tutti piuttosto giovani, come dicevo prima. Alcuni avevo avuto modo di ascoltarli, anche di recente, e mi erano piaciuti molto, come ad esempio il trombettista Alberto Di Leone, che si esibirà il 20 Novembre, o il chitarrista e compositore Alberto Parmegiani, che ci parlerà di black music il Sabato successivo, 27, e quindi su di loro abbiamo trovato immediatamente l’accordo. Per la scelta degli altri, mi sono affidato all’amico Losacco. Per quanto riguarda Roberto Ottaviano, ho avuto modo di incontrarlo lo scorso settembre a una cena organizzata dopo un suo concerto nei dintorni di Conversano. Ci siamo lasciati ripromettendoci di sentirci ed organizzare qualcosa per il Liceo Musicale di Monopoli. Così, quando il programma de I mestieri della musica ha preso forma, mi è venuto naturale chiedere al maestro Ottaviano di impreziosire l’incontro inaugurale con la presenza…sua e del suo sassofono, ovviamente. Con la consueta disponibilità, Roberto ha accettato e il 20 sarà con noi.

Ci saranno anche interventi con riguardo alla storia del jazz?
Certo. Questo è l’altro versante dell’iniziativa. Ho chiesto ai «relatori» degli incontri di scegliere ognuno una propria “musica del cuore” e spiegarne per quanto possibile l’evoluzione e le caratteristiche ai nostri studenti. I quattro appuntamenti saranno dunque dedicati rispettivamente al jazz (il 20 Novembre), alla black music, dal soul all’ hip hop (il 27 Novembre), al cantautorato (il 4 dicembre), e come dicevo alla “macchina” della produzione discografica (l’11 dicembre).    Tutto questo senza dimenticare, ovviamente, di lasciare spazio alla musica live: i nostri ospiti, insomma, non si limiteranno a raccontarsi a voce, ma faranno parlare i propri strumenti e, ne sono sicuro, ci sarà da divertirsi!

Adolfo Marciano

Professor Marciano, mi sembra di capire che la sua passione per il jazz ha radici già consolidate. Quando e come è nata?
Direi proprio di sì, ben consolidate e da molto tempo. Ricordo che da ragazzo, anzi da bambino, pescavo nella raccolta di vinili di mio padre, grandissimo appassionato a sua volta. Ancora oggi, c’è un settore della mia discoteca personale che raccoglie i dischi di quella collezione, i dischi dei grandi che mio padre amava: parlo del Modern Jazz Quartet, di Stan Getz, soprattutto quello della fase jazz samba, con Joao Gilberto; ricordo che mi entusiasmava, letteralmente, un live di Art Blakey con i suoi Messengers «Au club St. Germain» di Parigi, e poi Charlie Parker con un giovanissimo Miles in “Out of Nowhere”… e potrei continuare. In seguito, ovviamente, crescendo, ho approfondito, ho ascoltato altro, sia dischi che concerti, ho cambiato prospettive, però direi che l’imprinting è stato quello: mio padre che si gustava a occhi chiusi l’assolo di Milt Jackson in «Skating in Central Park».

Foto di Vincenzo Campinopoli
Foto di Vincenzo Campinopoli

Ritiene che tale esperienza proseguirà?
Me lo auguro, certamente, in questa forma o in un’altra. Posso anticiparle che sta partendo proprio in queste settimane un progetto che abbiamo intitolato Jazz and Pop Music Lab. Anche in questa esperienza, sarà posta al centro della didattica la pratica dell’improvvisazione: partendo da semplici formule, modelli e sequenze accordali si arriverà alla costruzione di frasi e giri armonici di sempre maggiore complessità, attraverso la scelta di intervalli, scale e accordi che verranno approfonditi durante il laboratorio. L’iniziativa prevede poi, tra l’altro, alcuni seminari tematici con esperti interni ed esterni nel campo del jazz e dei nuovi linguaggi, l’incisione di un CD come prodotto finale e la promozione sul territorio attraverso concerti, anche in collaborazione con altre istituzioni, enti, organizzazioni culturali.

Se ne avesse l’opportunità, anche economica, quali interventi attuerebbe nella scuola italiana, con riguardo alla musica?
Personalmente, ritengo che la pratica della musica, la possibilità di suonare uno o più strumenti, la capacità di ascoltare e godere un brano in maniera esperta e consapevole debbano essere patrimonio comune di ogni cittadino, alla pari delle capacità di lettura, comprensione e apprezzamento di un brano di letteratura. Almeno a partire da un certo livello di scolarizzazione, i nomi e le opere di Monteverdi, Vivaldi, Bellini, Puccini, dovrebbero essere conosciuti quanto i nomi e le opere di Dante, Boccaccio, Petrarca, Verga, Manzoni. Per chi all’Università si occupa di cultura nordamericana, Coltrane ed Hemingway dovrebbero risultare entrambi riferimenti familiari. E quindi, sarebbe indispensabile che le basi della teoria musicale, la storia della musica, la pratica di uno o più strumenti e il canto corale venissero insegnati come materie curricolari in qualsiasi ordine di scuola, con approcci diversi, ovviamente, e comunque, dalla primaria alle secondarie, per un numero congruo di ore settimanali.

Auditorium
Foto di Agata Laviola

Professor Marciano, lei suona qualche strumento?
Purtroppo no, a parte qualche accordo di chitarra, da ragazzo, come tutti e, mi creda, questo è uno dei miei “limiti” personali che avverto con maggiore acutezza e rimpianto.

Un paio di domande fuori oggetto: qual è la biografia di un jazzista che l’ha particolarmente colpita?
Direi, senz’altro, quella di Lester Young raccontata magistralmente da Geoff Dyer in Natura morta con custodia di sax, un libro che consiglio a tutti, appassionati di jazz, ma non solo. E’ straziante seguire passo dopo passo la distruzione, l’annullamento di un uomo inerme, dall’indole dolcissima, pacifica, amante dell’arte e del bello, distruzione direi quasi scientemente perseguita e alla fine realizzata da parte della società americana degli anni Cinquanta. Un destino, purtroppo, comune a tanti jazzisti.

L’ultimo disco che ha comprato è stato…
Appena ordinati: due live. Uno è di John Coltrane, «Live in Seattle», con la registrazione di uno dei rarissimi concerti (due in tutto con questo) in cui il sassofonista propone in pubblico il suo capolavoro assoluto, «A Love Supreme». L’altro è di Enrico Rava «Edizione speciale», un concerto dell’estate 2019 con il trombettista, oramai ottantenne, circondato dall’ultima nidiata di giovani talenti che ha contribuito a far crescere. Ricordo di aver visto Rava, con questo stesso progetto, al teatro Radar di Monopoli qualche mese dopo, mi pare nel novembre del 2019: grande energia, grandissimo mestiere… Sono curioso di verificare se il disco trasmette almeno una parte di quell’energia.

Foto di Agata Laviola

L’ultimo libro che ha letto è stato…
Anche qui ne dico due, perché vanno letti tutti e due e uno di seguito all’altro. L’autore è Patrick Leigh Fermor, i titoli Tempo di regali e Fra i boschi e l’acqua. Sono le due parti del diario di viaggio di questo giovane inglese che, sul finire del 1932, diciottenne, decide di abbandonare famiglia, amici, università e mettersi in viaggio, a piedi, dall’Olanda fino a Costantinopoli. E ci arriva, tra l’altro. E’ un libro scritto magnificamente e offre squarci preziosi di quello che erano la Mitteleuropa e i Balcani tra le due guerre, fra il tramonto del vecchio mondo e le minacce e i presentimenti della follia che stava per scoppiare.
Alceste Ayroldi