Quarantacinque anni di successi. Intervista a Ute Lemper

Il tour europeo della cantante tedesca farà tappa il 29 luglio alla Casa del Jazz di Roma per la rassegna I Concerti nel Parco.

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Poliedrica, affascinante, capace di tenere il palco anche in completa solitudine. La cantante e attrice di Münster, attualmente residente a New York, ha un passato nei musical e nel teatro. A 16 anni esordiva come cantante nel gruppo di fusion jazz-rock Panama Drive e nel mentre si diplomava alla Dance Academy di Colonia. Una carriera costellata di collaborazioni straordinarie, come Tom Waits, Elvis Costello, Nick Cave, Philip Glass e anche Maurice Bejart, che ha progettato e coreografato un balletto solo per lei. La sua variegata carriera vede anche una partecipazione al Festival di Sanremo con un brano firmato da Enzo Jannacci: The Photograph. In Francia ha vinto anche il Moliere Award per la sua magistrale interpretazione di Sally Bowles in Cabaret.
Lunedì 29 luglio porterà sul palco della Casa del Jazz di Roma Time Traveler, che ripercorre i traguardi dei suoi quarantacinque anni di successi.

Signora Lemper, il suo nome è spesso associato al lavoro di Kurt Weill e Bertolt Brecht.
Ho iniziato a interpretare la musica di Kurt Weill nel 1985 a Berlino, ancora durante la Guerra Fredda. L’importante progetto della Decca di Londra di registrare nuovamente la musica di Weimar, oppressa dai nazisti, è iniziato poco dopo. Abbiamo registrato almeno dieci album con la musica di questi importanti compositori ebrei degli anni Venti. Sono stata felice di essere la protagonista di queste serie di registrazioni e di portare le canzoni di Brecht/ Weill e del Cabaret di Berlino nel mondo per farle rivivere. Il suo materiale è stato l’inizio per me come interprete: è il mio repertorio principale. Quando avevo diciassette anni e frequentavo ancora il liceo, ho seguito un importante seminario estivo a Salisburgo, in Austria. Durava sei settimane e all’epoca era l’estensione delle vacanze estive dalla scuola in Germania, e in quell’occasione imparai tutto sulle composizioni di Weill e ne fui infiammata, affascinata, soprattutto per quanto riguarda il suo repertorio tedesco, dato che all’epoca parlavo a malapena l’inglese. Era così fresco e rivoluzionario, provocatorio, pieno di spirito, aggressivo e potente, come lo erano i personaggi creati con Brecht. Mi piaceva molto. Dopo il liceo, ho frequentato la scuola di teatro e ho continuato a studiare il repertorio di Kurt Weill. Dopo aver terminato la scuola di teatro – avevo venti o ventuno anni – ho concepito per me stessa un recital di musiche di Weill che avrei eseguito nelle palestre delle scuole. La gente si sarebbe seduta sulle panchine e io mi sarei esibita con i miei pantaloni di pelle, una semplice maglietta e rigorosamente senza trucco. Andavo là fuori e cantavo le canzoni per informare la gente su ciò che era accaduto a Kurt Weill come compositore ebreo tedesco, ai tempi della Repubblica di Weimar e su come era stato trattato dai nazisti. Leggevo le citazioni dei giornali nazisti che criticavano la musica di Weill, il suo carattere e la sua personalità, chiamandolo scimmia e negro, e tutti gli altri commenti razzisti che venivano riversati sugli ebrei in quel periodo.

Questa associazione che dura da tanto tempo, oggi le sta stretta?
Fa parte della mia esperienza, una parte importante, ma da allora ho affrontato i repertori di diversi compositori e autori, affrontando i loro canzonieri, tra cui la chanson francese, Astor Piazzolla, la musica contemporanea e anche le mie composizioni sulle parole di Pablo Neruda e di altri eccellenti poeti. Nel mio nuovo album «Time Traveler» ci sono tutte canzoni a mia firma. È un disco di musica contemporanea, jazz e soul con un’atmosfera fresca e perle di pensiero.

Un’altra delle sue attività di ricerca riguarda la musica cabarettistica berlinese. Quali sono le peculiarità di questa musica e cosa la distingue da quella di altri Paesi?
La scena del cabaret berlinese è nata tra le due guerre mondiali e ha rappresentato una libertà di espressione e ha portato una nuova nota politica e satirica nelle canzoni e nelle performance. Era unica, progressista, provocatoria e in parte con una componente sessuale. Ha ancora una voce per molti artisti di oggi e sono molto grato di aver contribuito alla rinascita del cabaret berlinese in tutto il mondo negli anni Novanta. Ho trascorso anni sul palcoscenico in spettacoli e rappresentazioni teatrali, ma sono sempre stata più felice quando potevo dedicarmi alle mie creazioni, quando non dovevo adattarmi a nulla ma potevo essere completamente libera nella mia creazione. Spesso un’idea scintillante dà il via a un intero progetto ed è meraviglioso andare fino in fondo, senza compromessi.

Ute Lemper
Foto di Guido Harari

Signora Lemper, nel 2020 lei ha dedicato un album a Marlene Dietrich. Cosa rappresenta per lei la voce, l’interpretazione della diva tedesca?Questo è uno dei miei progetti più importanti e piacevoli. Nel 1987 ho avuto il piacere di conversare con lei per telefono per tre ore, mentre ero a Parigi. Io avevo ventiquattro anni, lei ottantasette. Avevo appena dato uno scossone alla mia carriera di attrice a Parigi e lei mi parlò intensamente, tenendomi la mano mentre mi parlava in tedesco. Era una donna del futuro. La sua storia è incredibile. Ho sentito la sua amarezza e la sua malinconia per l’impossibilità di tornare in Germania. I tedeschi la chiamavano traditrice, perché aveva combattuto nella Seconda Guerra Mondiale per gli americani contro la Germania nazista. Marlene è una leggenda, un’icona della moda, uno spirito libero e una combattente. Trent’anni dopo ho creato il mio spettacolo Rendezvous with Marlene. E l’ho fatto per raccontare al mondo la sua coraggiosa ma triste storia.

Oltre a Marlene Dietrich, c’è un’altra eroina nella sua vita artistica: Edith Piaf. Come è entrata a farne parte?
Quando ho vissuto a Parigi negli anni Ottanta ho iniziato a immergermi nella chanson francese e sono stata affascinata soprattutto dalla Piaf, ma anche da Leo Ferrè e Jacques Brel. I francesi possiedono l’arte di mettere in musica la letteratura e l’anima spezzata del poeta è semplicemente trasparente.

Il suo repertorio spazia tra musica classica e contemporanea, rock-pop e jazz. Ci sono dei criteri con cui seleziona i musicisti e i brani che vuole eseguire?
Scelgo sempre gli arrangiamenti più adatti alla mia cultura e al mio patrimonio musicale.

C’è un suo video che mi ha colpito: Time Traveler. Cosa rappresenta per lei il viaggio?
È il mio nuovo album. Ho scritto un’autobiografia che è appena uscita in Germania e presto uscirà anche in Italia. Allo stesso tempo ho scritto il mio nuovo album dalla prospettiva di un lungo viaggio attraverso molti decenni di attività. Il video esplora l’umanità e i suoi continui fallimenti. È ambientato in un contesto fantascientifico, in cui io vengo dal futuro per vedere il tempo che passa e per salvarvi. Il viaggio? E’ una parte fondamentale della mia vita.

Quanto tempo al giorno dedica alla cura della sua voce, all’esercizio fisico?
Provo nuovi progetti, scrivo musica, cerco di creare nuove idee ogni giorno per qualche ora, in realtà tutte le ore che ho a disposizione tra la cura dei bambini e molte altre attività logistiche. Esercito la mia voce con attenzione ogni giorno.

Per una persona che ha lavorato in diversi settori dell’intrattenimento, c’è un ambito in cui si sente più a casa?
Nelle mie performance con i miei musicisti, nelle mie creazioni. E’ questa casa mia.

Nel 1990 ha partecipato al concerto organizzato da Roger Waters a Postdamer Platz per celebrare l’anniversario della caduta del muro di Berlino. Cosa rappresenta per lei la caduta del muro?
Ha significato una nuova era. Un nuovo capitolo della storia del mondo.

Nel 1991 è stata al Festival di Sanremo con una canzone di Enzo Jannacci, The Photograph. Come vi siete conosciuti e come è andata a Sanremo?
Enzo Jannacci era un uomo di cultura e di arte estremamente intelligente. Un artista bravo, acuto. Mi ha colpito molto il fatto che fosse un medico. A Sanremo mi sono divertita. Nel backstage ho conosciuto anche Gianni Versace. A Sanremo sono tornata molte volte, anche lo scorso anno in occasione della rassegna Summer Symphony.

Signora Lemper, la sua vita è in bilico tra diverse città, ora tra New York e Parigi. C’è un posto nel mondo in cui si sente più a suo agio?
Mi sento a casa a New York con la mia famiglia. Ma a parte questo, non c’è niente di americano in me, davvero. Sono principalmente europea, un mosaico di Francia, Inghilterra, Germania. Sono anche molto tedesca nel modo in cui vivo, penso e organizzo la mia vita. Ma a parte questo, sono uno spirito libero e follemente cosmopolita. Guardate il mio video, At The Reservoir. Lì vedrete il mio luogo di pace e rifugio sicuro.

Quali sono le cose che ritiene essenziali per una lunga carriera come come artista?
Essere curiosi, lavorare sodo, non arrendersi mai, essere avventurosi e aperti a molte influenze diverse, a scintille di ispirazioni.

Ute Lemper
Foto di Guido Harari

Quali collaborazioni ricorda con più piacere?
Maurice Bejart, Robert Altman e Michael Nyman. Ma le collaborazioni sono sempre difficili… gli artisti sono complicati e tutti hanno un grande ego.

Qual è il suo rapporto con la tecnologia e i social media?
Devo farlo… la gente sta al telefono senza sosta.

Quali sono i suoi obiettivi artistici?
Rimanere sempre sincera e avventurosa.

Quali sono i suoi progetti futuri?
Eseguire la mia musica e, in particolare, quella di «Time Traveler» insieme alla divulgazione della mia autobiografia.
Alceste Ayroldi

*L’intervista pubblicata sul numero di luglio della rivista Musica Jazz

 

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