Il Louis Armstrong Museum: parla Ricky Riccardi

Proprio di fronte alla storica abitazione newyorkese del grande trombettista è stato da poco inaugurato un importante museo che raccoglie i ricordi di una vita

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Louis Armstrong aveva la passione di trasferire su bobine di nastro magnetico tutto ciò che per lui era importante: dialoghi, prove, canzoni cantate in solitudine, persino i dischi già incisi in passato per i quali provava un amore particolare. Infatti l’ultimo album da lui trasferito sul registratore di casa fu il famoso duetto con Ella Fitzgerald («Ella and Louis» per la Verve), in particolare il brano April in Paris: versione famosissima e tramandata ai posteri nell’agosto del 1956. Il nastro, che oggi è gelosamente conservato negli archivi della Armstrong House assieme ad altre centinaia, reca la data del 5 luglio 1971: scritta autografa, segnata a pennarello da lui quella stessa sera. Il mattino dopo il grande musicista, che da lì a un mese avrebbe compiuto settant’anni, si congedava pacificamente nel suo letto dal mondo reale lasciando dietro di sé una scia artistica dal valore incommensurabile. Per gli americani Armstrong non è stato solamente un personaggio famosissimo, un artista determinante per le arti del ventesimo secolo: questo è universalmente riconosciuto. Per loro è tuttora un eroe, una figura mitica, la gioia impersonificata, la comunicativa catalizzante trasferita in musica, l’uomo che è partito dal basso e ha saputo creare un mondo di bellezza al di là del colore della pelle, cosa che per molti – purtroppo – è ancora penalizzante. Un esempio per tutti, dunque, anche per coloro i quali lo avevano denigrato in passato per certe sue scelte considerate «commerciali» o addirittura accomodanti nei confronti delle dinamiche razziali, manifestando così una visione superficiale riguardo alla sua storia personale e a quella culturale tutta degli Stati Uniti. Ecco perché la devozione nei suoi confronti è oggi sempre palpabile: la sua casa di New York, nel Queens, è diventata un «landmark», cioè un intoccabile edificio di valore storico che è sempre visitabile, rimasto così com’era, con gli stessi oggetti, i quadri, le piccole e grandi cose: dagli occhiali poggiati sulla scrivania al ritratto fatto per lui da Tony Bennett, dai registratori a bobine ai bagni con la rubinetteria in oro massiccio. A quella casa in due piani, tutto sommato non sfarzosa, che abbiamo avuto il piacere di visitare in passato (Musica Jazz del dicembre 2006), si è ora aggiunto un museo, costruito appositamente dall’altro lato della strada, che con la sua imponente modernità pare ricordare a tutti che i grandi personaggi, quelli che ci hanno reso migliore la vita, non possono essere mai dimenticati. Ci sono voluti circa ventisei milioni di dollari, raccolti con donazioni pubbliche e private, anni di tempo, un lavoro straordinario per raccogliere e classificare tutti i documenti, i nastri (con molti inediti!), i libri, gli strumenti raccolti da Armstrong, ma alla fine lo scorso luglio il museo è stato inaugurato con una presentazione-performance di Jason Moran, un grande del jazz di oggi che non era neanche nato quando Pops (così com’era soprannominato nei tardi anni) se n’era già andato da un pezzo. Il Louis Armstrong Museum è dunque oggi una bella realtà: un enorme spazio con tanti oggetti, memorabilia di varia natura e un largo tavolo rotondo dove si possono vedere e ascoltare i brani della nota collezione privata del Maestro. Il direttore di questi archivi, colui il quale ha dedicato gran arte della sua vita a coordinare le catalogazioni, si chiama Ricky Riccardi. Di origine italiana (seconda generazione), com’è facile dedurre dal cognome, Riccardi è forse il massimo esperto nel pianeta di Louis Armstrong: infatti ogni settimana, per quasi due ore a seduta, svolge una documentata lezione aperta al pubblico in una sala apposita del museo, con supporto di filmati, sulla vita e le opere del famoso trombettista. Dotato di un forte entusiasmo e di un desiderio incontenibile di disquisire del proprio eroe, Riccardi è bravissimo nella comunicazione e nel divulgare l’enorme mole di informazioni in suo possesso.

Hai scritto un paio di libri sulla vita e le opere di Louis Armstrong. Ce n’è un altro di prossima pubblicazione?
Sì, uscirà nel 2025. Tratta della prima parte della sua vita, dalla nascita fino al 1929. Completa una trilogia iniziata nel 2011 con What a Wonderful Word: The Magic of Louis Armstrong’s Later Years (Pantheon ed.) e proseguita nel 2020 con Heart Full of Rhythm: The Big Band Years of Louis Armstrong (Oxford University Press ed.).

Com’è iniziato questo tuo forte interesse per Armstrong?
Sono nato nel 1980, quindi non ho potuto mai vederlo dal vivo, ma a quindici anni guardai in tv il film The Glenn Miller Story, quello del 1954 con James Stewart protagonista. Lì Armstrong ad un certo punto canta Basin Street Blues: ciò mi è bastato per far esplodere il mio interesse per Louis. In seguito ho cominciato a studiarlo approfonditamente. C’era gente che diceva che lui era stato grande solo negli anni Venti! E non era vero: quello è stato lo stimolo per me per dimostrare che era un’opinione errata. Dapprima le mie intenzioni erano quelle di scrivere sui tardi anni della sua vita, proprio per attirare più attenzione su quel periodo, dalla fine degli anni Quaranta al 1971. Poi ho continuato andando a ritroso con gli altri due volumi.

Louis Armstrong

Parliamo ora di questo nuovo, grande edificio: il Louis Armstrong Museum.
Sai, in origine era un semplice parcheggio proprio dall’altro lato della strada, di fronte alla casa, e il direttore degli archivi di allora, Michael Cogswell, già nel 1998 aveva pensato di poter acquisire quello spazio per trasferire l’immane massa di documenti che erano proprietà della Louis Armstrong Educational Foundation. Il parcheggio fu quindi comprato con il sostegno del Queens College, ma rimase completamente vuoto per molti anni. La raccolta fondi comunque era iniziata e finalmente Cogswell riuscì a raggiungere la cifra di ventisei milioni di dollari per dare avvio ai lavori. I fondi erano arrivati principalmente dallo stato di New York, dalla presidenza del borough di Queens e dall’università locale, più una parte di donazioni private. I lavori iniziarono nel 2017 e si pensava allora di finire in tre anni, ma la pandemia ha fatto slittare tutto, purtroppo per Michael che non è riuscito a vedere l’opera completata, dato che è morto nel 2020. Anche Phoebe Jacobs, la vicepresidente della Fondazione, che tu hai avuto modo di conoscere nel 2006, se n’è andata nel 2012. Senza il suo supporto e quello di Cogswell non ci sarebbe stato questo grande museo.

Tu sei il direttore degli archivi: è stato difficile catalogare e trasferire il tutto nella nuova sede?
È stato davvero stressante! Il lavoro di catalogazione era iniziato già nel 1991 al Queens College: documenti, nastri, libri, ogni cosa. Ce n’era una quantità enorme. Abbiamo quindi ingaggiato un team di professionisti, alla fine, per poter completare il tutto: dieci persone che in una settimana sono riuscite a trasportare e sistemare quella massa di materiali. Il solo lavoro di digitalizzazione, comunque, è durato un anno.

Riesci a darmi dei numeri per quantificare i materiali?
17.000 fotografie, 115 bloc notes di appunti, circa 6.000 fra dischi e nastri, un migliaio di libri, 7 trombe e 16 bocchini, 500 arrangiamenti per big band, a parte tutto il resto: il più grande archivio che si conosca riguardante un singolo musicista.

C’è molto materiale inedito fra dischi e nastri?
Sì, tanto. Armstrong amava registrare tutto: a parte le sue prove a casa, anche i concerti dal vivo e via radio e, come sai, pure i suoi dischi passati.

Ci sarà un modo per pubblicare questi inediti?
Ci piacerebbe molto. La proprietà del materiale è della Fondazione, che ne ha dunque i diritti. Dovremmo trovare la giusta partnership con una casa discografica. Al momento l’audio è ascoltabile qui al museo con le cuffie agli appositi tavoli, ma accedendo al sito louisarmstronghouse.org se ne può fruire anche da casa Dalla sezione «Museum Collections» si può accedere all’archivio e ascoltare circa trenta secondi per brano, ovviamente senza download.

Il nuovo museo nuovo è stato inaugurato a luglio con la presenza di Jason Moran. Ci sarà la possibilità di creare una serie stabile di concerti? Lo spazio non manca di sicuro.
Jason ha fatto un lavoro egregio. Lo avevamo già ingaggiato per un’apertura prevista nel 2020. Essendo slittato tutto per via della pandemia, Jason ha avuto modo e tempo di lavorare da casa ascoltando il materiale che avevamo digitalizzato. In pratica ha fatto degli arrangiamenti tutti suoi su quello che aveva ascoltato, rendendo l’inaugurazione un evento davvero speciale! Ora qui, nello spazio centrale del museo, si può ascoltare e vedere ogni brano raccolto da Armstrong: è davvero un’esperienza straordinaria per chi volesse venire qui a provarla! Ovviamente pensiamo anche ad organizzare periodicamente dei concerti, sempre con l’aiuto di Jason. Stiamo già pianificando la musica dal vivo, e anche altre attività come incontri, congressi, mostre. Abbiamo appena iniziato questo nuovo corso.

Louis Armstrong

Un’ultima domanda, che potrebbe sembrare retorica, ma della quale vorrei una tua risposta: quanto è importante l’eredità musicale e personale di Louis Armstrong oggi?
È stato il più importante, in termini di influenza su ciò che è arrivato dopo, fra i musicisti del Ventesimo secolo, per questa ragione: tu potresti nominare migliaia di grandi strumentisti o di cantanti, ma Louis Armstrong è stato l’unico ad aver modificato il modo di suonare di quei musicisti e il modo stesso di cantare. Le sue innovazioni sono andate oltre il jazz: le puoi trovare nel rock’n’roll, nel soul, nel r&b, nell’hip-hop. Tutto ciò che puoi ascoltare oggi, insomma. E, anche se Armstrong non viene nominato, puoi comunque rintracciare qualcosa del suo stile nella musica che è venuta dopo di lui. Devo dire che una parte della nostra mission consiste nel far conoscere al mondo questa verità. Molta gente ascolta musica senza sapere da dove proviene, come si è formato quello stile. E invece è giusto che lo sappia. E che sappia pure cosa ha fatto Armstrong per i diritti civili qui in America e nel resto del mondo. Sono lezioni di storia e di cultura indimenticabili: ecco perché Louis merita tutto ciò che facciamo.

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