David Murray: Il ritorno dell’eroe

Con il nuovo album Birdly Serenade, il sassofonista celebra i suoi 70 anni intrecciando jazz, poesia e canto degli uccelli, in un progetto intimo e visionario scritto insieme alla moglie Francesca Cinelli.

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Ciao David, vorrei iniziare questa intervista partendo dal tuo ultimo disco «Birdly Serenade», un ottimo modo per celebrare il tuo Settantesimo compleanno.

Oh sì, lo è! Quest’anno è stato fantastico: la preparazione per il disco, tutta la storia della sua genesi, il rapporto con il tema degli uccelli e lavoro svolto sui testi di Francesca Cinelli… Non mi era mai successo nulla di simile. È un modo per rimettere un po’ di ordine nella mia vita, usando le tecniche che ho sviluppato negli anni e i testi scritti da mia moglie. Non avevo mai pensato al tema degli uccelli da questa prospettiva. da bambino io e la mia famiglia andavamo a caccia, anche mia madre: fagiani, quaglie eccetera. Oggi la caccia è un fenomeno abbastanza desueto in America. È bello che il cerchio si sia chiuso con questo progetto.

So che per questo disco è stato fondamentale il contributo di Randall Poster, il produttore della sessione di registrazione. Come vi siete incontrati e come sono andate le cose?

Ti posso raccontare la storia ma Francesca, che è qua con me, potrebbe fare molto meglio di me. Se unisci i due racconti avrai la fotografia completa della vicenda. Mia moglie era stata invitata ad un ritiro per scrittori sui Monti Adirondacks, aveva da poco scritto «The Chronicles of Us». Perciò avevo pensato di accompagnarla, ma non sapevo bene cosa avrei fatto una volta arrivato là. All’improvviso Randall Poster è entrato a far parte della nostra vita, ci ha invitato nel suo ufficio perché voleva parlarci e lì ci ha mostrato il suo cofanetto da 20 Lp «For the Birds», un progetto realizzato da un’associazione che si occupa della salvaguardia delle specie volatili e rinominato “The Birdsong Project”. Così ci ha chiesto di scrivere della musica ispirata agli uccelli. L’idea era nata. Qualche settimana più tardi andiamo in ritiro, ero ancora perplesso a riguardo di quello che sarebbe stato il risultato finale e sul legame con gli uccelli. Ho chiesto a Francesca di iniziare a scrivere qualcosa perché ogni volta che inizio un nuovo progetto da zero faccio sempre un po’ di fatica. Finire non è un problema ma iniziare molto spesso è più complicato. Così mi ha scritto tre poesie, sulle quali mi sono messo a lavorare non appena ho potuto. In passato mi era già capitato di comporre musica per le parole di qualcun altro e quelle esperienze sono state di grande aiuto anche in questo caso. È stato tutto così veloce! Abbiamo lavorato in un ambiente fantastico: lei era in una stanza con altri scrittori mentre io avevo il mio stanzino e un bellissimo studio di registrazione a disposizione. Ho potuto concentrarmi in solitudine sul significato delle parole e su come si sarebbero incastrate con la mia musica. Più o meno questo è stato il processo.

Volevo sapere se «Birdly Serenade» è stato incluso nel cofanetto «For the Birds» o se è un progetto a sé stante

Si sono due cose separate. In «Birdly Serenade» suona il mio quartetto più la cantante Ekep Nkwelle.

Ho visto anche che su Youtube c’è un bellissimo video con Ekep, era la prima volta che suonavate assieme? Come vi siete incontrati?

Una sera io e Francesca siamo andati ad un evento dove abbiamo sentito cantare Ekep e mia moglie mi ha detto: “Perché non proviamo a coinvolgerla? Vediamo come si rapporta alla nostra musica”. Tutto è stato perfetto e le cose sono andate subito nella giusta direzione. La sua voce è giovane, bella e potente. I suoi genitori sono entrambi cristiani e provengono dal Camerun e lei stessa ha ricevuto un’educazione cristiana. Queste sono qualità importanti. Non sono camerunese ma sento la chiesa dentro la sua voce ed è questo che mi ha convinto ad andare avanti con lei.

David Murray
David Murray Foto Gregg Greenwood

Se non sbaglio era la prima volta che registravi presso i leggendari Van Gelder Studios. Com’era l’atmosfera? È vero che si respira un’aria speciale fra quelle mura?

Si, è passata così tanta gente da quello studio, è pieno di fantasmi! Ci sono foto dei grandissimi musicisti che sono passati a suonare in quel posto. Da quel che ho capito Van Gelder aveva una tecnica di registrazione molto scrupolosa che consisteva nel piazzare i diversi strumentisti sempre nello stesso posto durante le diverse sedute di registrazione. Mi trovavo da solo in una stanza, così come gli altri membri del quartetto e abbiamo ottenuto quel suono meraviglioso che puoi sentire nel disco, davvero qualcosa di speciale. Ho dovuto affrontare gli spiriti che si aggiravano per quei luoghi e quest’esperienza ha aumentato la consapevolezza di chi sono io.

Visto che sei uno musicista molto esperto, volevo chiederti se l’esperienza può diventare un ostacolo. Quanto è difficile non ripetersi?

L’esperienza nel mio caso è qualcosa di positivo che ti fa migliorare. Con questo progetto stiamo suonando molto dal vivo ed eravamo un gruppo anche prima di entrare nello studio di registrazione. Mentre per un sacco di registrazioni effettuate ai RVG Studios venivano riuniti musicisti che non formavano una working band ma si trovavano lì solo per registrare una tantum. Noi prima di entrare in studio abbiamo suonato molto dal vivo e in questo senso l’esperienza ci è tornata molto utile quando abbiamo dovuto registrare.

Quando incido mi piace produrre 3 o 4 differenti versioni dello stesso brano e solitamente l’ultima è eccellente mentre nella prima c’è solo un’idea di quello che dovrebbe essere il pezzo. Poi le riascoltiamo e cerchiamo di capire quale ci sembra la migliore, quella in cui è racchiuso lo spirito della canzone o quella sulla quale possiamo lavorare dal punto di vista tecnico.

In una tua vecchia intervista hai dichiarato che la sezione ritmica è il nucleo fondamentale di ogni tuo progetto musicale. All’epoca i membri erano Jaribu Shahid e Hamid Drake, oggi sono Luke Stewart e Russell Carter. La pensi ancora così? Quando vi siete incontrati con i nuovi membri?

Assolutamente sì! Stiamo suonando insieme da 2 anni e mezzo e abbiamo effettuato già due registrazioni. Fanno davvero la differenza, per questo fanno parte della mia band. Ma anche andando indietro nel tempo, ho sempre lavorato così. In passato c’erano John Hicks, Ray Drummond, Fred Hopkins, Eddie Blackwell, Andrew Cyrille. Ho sempre voluto avere una forte sezione ritmica: contrabbasso e batteria sono il nucleo fondante della mia musica ed è necessario un po’ di tempo per creare la chimica giusta. Quando vai in studio senza conoscere le persone con cui registri sarà sicuramente un’esperienza differente rispetto ad incidere con un gruppo di musicisti che si conoscono bene. Ma anche la vita in tour fa la differenza: prendiamo assieme treni ed aerei, chiacchieriamo, andiamo al ristorante… diventa quasi una questione di famiglia.

In passato suonavo sempre con gente più grande di me, mentre questa volta il più anziano sono io e anche questa è una nuova prospettiva. È un’esperienza differente guidare dei giovani dalla mente aperta ad accompagnarmi. Mi ascoltano, in genere non parliamo molto ma si crea lo stesso un pensiero telepatico che permette di comunicare ad un altro livello.

Luke Stewart Foto Gregg Greenwood
Luke Stewart Foto Gregg Greenwood
Russell Carter
Russell Carter Foto Gregg Greenwood

Sei nato e rimasto sulla West Coast fino ai 20 anni ma successivamente ti sei trasferito a New York, dove hai lavorato per tantissimo tempo. Volevo sapere se ti ritieni più un musicista della West o della East Coast.

Era il 2 marzo 1975. Ovviamente appartengo a New York, me la porto dentro ovunque vada nel mondo. Provengo dalla Bay Area e per quelle latitudini sarei considerato un sassofonista abbastanza ortodosso. Il mio stile si è sviluppato in anni di studi e di suonate a scuola e in chiesa, fra musica blues and r&b. Sono cresciuto nell’epoca di Jimi Hendrix, usavo luci e elettrificavo il mio sassofono come Eddie Harris. Ho avuto tutto questo genere di esperienze ma quando sono andato al College ho capito che volevo essere di fronte alla band. Ascoltavo i dischi di Sonny Rollins, Coleman Hawkins, Ben Webster, John Coltrane, Pharoah Sanders, Archie Shepp: gente che era venuta prima di me. Volevo essere come loro… Dexter Gordon, Johnny Griffin… Volevo far parte di quella linea

Una volta hai dichiarato di apprezzare la musica rap e che esista un legame sempre più forte con la musica jazz. La pensi ancora così?

Certo che sì! Mi auguro che il mondo del rap presti sempre più attenzione alle possibilità aperte della musica jazz. Ho lavorato con QuestLove e Black Thought, molto bravo anche lui così come tanti altri. Ho l’impressione che il mio apporto abbia apportato fluidità alla musica. A volte penso che diventi molto ripetitiva con i soliti loop, voglio sentire più spontaneità nella base della musica. Se la musica rap volesse alzare l’asticella dovrebbe guardare di più al mondo del jazz. È la musica di questa generazione, vorrei soltanto condividere la mia esperienza con loro cosicché possano fare una musica con più improvvisazione e meno ripetitiva. Ci sono sicuramente meno musicisti che rapper al momento.

In questo momento negli Stati Uniti stanno succedendo un sacco di cose dal punto di vista politico. «Birdly Serenade» tuttavia ha più un messaggio d’impronta etico-ecologista. Credi che la musica possa esprimere un sentimento politico?

La politica fa sempre parte delle nostre vite. L’unico problema è che al giorno d’oggi non è più buona come un tempo. Quello che abbiamo qua negli States è un governo che imporrà alcuni cambiamenti, la gente deve decidere se vuole vivere sotto una dittatura o continuare ad essere una vera democrazia. Non mi sto esponendo molto politicamente perché in questo periodo non è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Non stanno dimostrando di essere una buona democrazia e questo è importante.

Marta Sanchez
Marta Sanchez Foto Gregg Greenwood

Cosa pensi della nuova generazione di jazzisti che si sta mettendo in mostra nel presente? Ti faccio il nome di James Brandon Lewis per esempio.

È un amico e un ottimo musicista, sono contento di vedere che alcuni giovani stanno seguendo lo stesso percorso che ho intrapreso anch’io: andare indietro nella Storia per comprendere quale sia il potere della musica jazz. È molto bravo, mi auguro che sempre più persone possano apprezzarlo.

Se dovessi consigliare un ascoltatore che non è mai entrato in contatto con la tua musica, quali sono i tre titoli da cui dovrebbe partire?

Direi qualcosa degli inizi o di metà carriera. Mi piace molto «The London Concert» uscito per la Cadillac, così come «Fo Deuk Revue», registrato a Dakar negli anni 90’. In realtà sono molto soddisfatto di quasi tutti i dischi che ho fatto. Ho lavorato sodo negli anni per mettere insieme tutte le mie band, adoro alcuni dischi per ottetto. Cerco di rimanere concentrato durante tutto il processo di realizzazione di un album. Voglio andare in tour, suonare nei club e infine entrare in studio. La musica necessita di essere preparata e pronta per essere registrata. Le registrazioni sono quello che rimangono e danno un’idea di quello che stai facendo anche a persone che vivono lontano da New York e non possono vivere la scena quotidianamente. Partecipo a tutte le fasi: da quella preparatoria, alla registrazione, al mixing e al mastering. Sono sempre lì. Ma una volta che abbiamo finito il processo non ascolterò più quel disco ma sarò proiettato già sul nuovo progetto. Ho ascoltato abbastanza e devo aprire le orecchie e dimenticare l’ultima cosa che ho fatto, perché devo essere sicuro di aver già fatto un buon lavoro da leader. Non sono il tipo da pubblicare un disco tanto per. Deve essere il mio orecchio a decidere se la musica va bene oppure no. A volte i produttori ascoltano un brano e ti dicono che è bellissimo ma io replico che dobbiamo rifarlo. Ambisco sempre alla perfezione anche se a volte non riesco a raggiungerla. È importante che ogni secondo del disco soddisfi il mio orecchio. Sono responsabile per la qualità del disco, non solo i produttori. È importante avere persone che ti ascoltano durante la registrazione. Una volta che capiscono cosa sto facendo, sanno che sarò fedele a me stesso e salgono a bordo pure loro. È una molto bello poter lavorare con produttori come Randall Poster. Ci ho parlato alla pari e avere questo tipo di uguaglianza con i propri produttori è raro.

Quindi, come Keith Jarrett, non apprezzi riascoltarti una volta che il disco è fatto.

Esatto, è li per la gente e per il mondo. Una volta che è pubblico penso che per me sia abbastanza. Ne sento parlare solo quando parlo persone come te che mi fanno domande chiedendomi di andare a ritroso e definire quello che ho fatto.

Vorrei farti un’ultima domanda prima di farne qualcuna anche a tua moglie Francesca Cinelli, autentica protagonista di questo progetto

Sono sicuro che aggiungerà cose bellissime. Questa è una collaborazione vera, ne ho avute tantissime in vita mia. È speciale compartecipare alla nascita della musica e avere una vera collaboratrice. Ci terrei veramente che parlassi anche con lei, te la vado a chiamare subito!

David Murray
David Murray Foto Gregg Greenwood

Ciao Francesca, stavamo avendo una bella chiacchierata con David ma volevo avere anche la tua versione dei fatti a riguardo di «Birdly Serenade» visto che sei assoluta protagonista del progetto.

Come ti diceva le parole sono state la base per la musica, questo è un punto importante. Allo stesso tempo sono stata il ponte fra il soggetto dell’album e David, lo ho connesso agli uccelli per mezzo della poesia. I miei testi parlano di uccelli ma anche di relazioni, come troviamo la giusta distanza, come viviamo con gli altri cercando di conoscerli quando il lavoro di una vita è quello di conoscere sé stessi, cosa che non realizziamo mai. Penso che la Musica sia sullo stesso livello della Natura. È stato qualcosa di abbastanza inaspettato, è da anni che David mi chiedeva di scrivergli dei testi, mi sentivo felicemente un po’ con le spalle al muro.

È stato molto divertente registrare questo disco, avevo un passato da attrice e performer quindi ero in parte preparata. Ho apprezzato in particolar modo improvvisare con le parole sul finale di una delle canzoni assieme al sax di David. Credo che sia qualcosa di vivo e gioioso. Ero coinvolta in prima persona sulla tematica degli uccelli, sono stata volontaria per un’associazione che si occupa della salvaguardia degli uccelli a New York. Ho un cane e siamo fortunati abbastanza da vivere abbastanza vicino a Central Park. Ogni giorno spendo un paio di ore al parco e osservo gli uccelli. Penso che Randall Poster abbia dato vita ad un’iniziativa stupenda già dalla pubblicazione del primo cofanetto da 20 Lp, dandogli un sequel con uno dei suoi eroi del mondo jazz. David è il punto di connessione fra la vecchia e la nuova generazione di jazzisti, ha suonato con i più grandi e spero che possa essere un modello per i più giovani. Sono orgogliosa di fare parte di tutto ciò. Sai quanto è importante una musa nella vita di un artista? (Ride)

Non ho fatto in tempo a chiederlo a David perciò lo faccio a te: presenterete il disco dal vivo? Magari in Italia?

Certo! Ci sono dei tour programmati, penso sia prevista una data a Roma ma non sono sicura. Hanno appena suonato al Blue Note a New York che è stato il primo concerto live con Ekep. È bellezza pura sia sul palco che fuori, te lo posso assicurare. Abbiamo bisogno di un agente in Italia! Le mie radici affondano nel vostro Paese, abbiamo passato un periodo incredibile durante il Covid a casa dei miei cugini italiani fra Roma e Napoli. Sono molto legata all’Italia e anche David lo è diventato. Ricorda sempre con affetto il Luca Conti e Ermanno Basso e non può dimenticare i tempi nei quali si esibiva nei circoli ARCI.

Vi ringrazio per la vostra disponibilità

DM: Vorrei dire un’ultima cosa. È vero che questa andrà in copertina? Questo è un grande onore per me. Questa rivista è la migliore in Italia e probabilmente in tutto il mondo. Fate un bel lavoro, avevamo fatto una collaborazione con un CD allegato qualche anno fa. Lo fate ancora? Non posso vivere senza il vostro lavoro, vi apprezzo molto!  

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