Scusa, che genere è questo?

Il 2021 ci ha regalato anche delle piccole perle di musica senza barriere. Ólafur Arnalds, Daniel Hope, Max Richter, Christian Löffler, Snowpoet, Agnes Obel, Brian e Roger Eno, Laurie Anderson.

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Per chi vale questa domanda? Chi è attratto dall’effimera catalogazione dei generi? In tanti, visto che con il passar del tempo crescono le qualifiche musicali: alcune ai confini con il grottesco, per dirla tutta. Lasciamo le barriere da parte e occupiamoci di musica. La produzione artistica in tempi di pandemia sembra aver dato buoni frutti, dovunque vada lo sguardo. Iniziamo con le corde acuminate del violino di Daniel Hope, che ci consegna un disco di quelli immortali, che non guarda in faccia a nessuno. «At Home» è il consistente frutto dei concerti casalinghi, andati in onda anche su Arte Tv e – in buona parte – presenti su Youtube, licenziato dalla Deutsche Grammophon, fatto di ventuno brani che vanno da La vie en rose a Summertime, da Over The Rainbow a Lost In The Stars di Kurt Weill, da Asturiana firmata da De Falla fino a The Bitter Earth On The Nature Delight, brano dall’impareggiabile bellezza armonica disegnata da Max Richter. Il violinista tedesco agisce in coppia con Dora Deliyska e Christoph Israel, che si alternano al pianoforte, conferendo a ogni brano una sensibile caratterizzazione personale.

Daniel Hope
At Home

Si faceva cenno a Max Richter, il cinquantacinquenne compositore tedesco non sta mai con le mani in mano e ci ha regalato un’altra perla musicale dal titolo «Voices (sempre con la Deutsche Grammophon)»: cinquantasei minuti in cui interagiscono elettronica, voci e un’orchestra razionalizzata da Richter in «Negative Orchestra»: «Come il mondo è stato capovolto, così sono state le proporzioni di questa orchestra. Sono quasi tutti bassi e violoncelli». Il tutto è arricchito dalle voci che narrano, in una dozzina di lingue differenti, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Il risultato è avvolgente, affascinante e da conservare con cura.

Max Richter
Voices

Se Richter dell’elettronica ne ha fatto un tappeto per l’orchestra,  Christian Löffler ha fatto dell’elettronica un orchestra. E lo ha fatto prendendo in mano una parte del patrimonio di musica classica detenuto dalla Deutsche Grammophon, trasfigurandolo secondo il suo sentimento di viandante dell’elettronica di marca berlinese (in realtà Löffler è di Greifswald, città che respira la fresca aria del mar Baltico). I dieci brani di «Parallels: Shellac Reworks» sono il migliore riassunto di come si possano coniugare due linguaggi apparentemente diversi e rigenerare – in modo adamantino – le illuminanti trappole armonico-melodiche licenziate da Beethoven o Bedřich Smetana. Il risultato dell’ingegno del musicista tedesco è eccellente, perché Löffler sa come allentare i vincoli formali senza distruggerne il loro irresistibile fascino.

Christian Löffler
Parallel Shellac Reworks

Anche gli Snowpoet sanno come mischiare le carte senza fare torto ad alcuno. Mentre Löffler ha ridisegnato il pentagramma di alcuni grandi compositori del passato, Lauren Kinsella e Chris Hyson gettano i ponti verso la crasi musicale con ardore e intelligenza. Lo fanno con «Wait For Me», album pubblicato per la Edition, che mette insieme soul, indie, elettronica, folk, filamenti di classica contemporanea, hip hop su delle poesie modellate a puntino da tematiche profonde e dalla voce eterea e appuntita della Kinsella.

Snowpoet
Wait for Me

Il cantautorato raffinato e toccante alberga anche a casa di Agnes Obel, che licenzia – per Deutsche Grammophon e Blue Note – un lavoro di rarefatta bellezza. «Myopia» contiene tutto quello che di bello ci si possa aspettare: trip-hop garbato, paesaggi musicali onirici scolpiti nella voce distante quanto un ectoplasma, ma tetragona, della songwriter danese, visioni minimalistiche dettate dal pianoforte e dagli archi impertinenti, romanticismo francese del primo Novecento e sagome ferme e solide della tradizione folclorica scandinava. Il tutto concentrato in dieci scultorei brani.

Agnes Obel
Myopia

La Scandinavia ci regala anche l’ultima fatica discografica di Ólafur Arnalds, musicista che non abbisogna di presentazioni. La pastiche musicale del compositore islandese è più che mai elettronica, vivace e sorridente: «Some Kind Of Peace» ruggisce nelle variazioni microtonali, si muove con la velocità di un bolero, profuma di Oriente, arpeggia tra la natura, torna sui passi consueti compositivi di Arnalds e gira intorno alle sospensioni agogiche ambient, dipingendo quadri dai colori vermigli.

Olafur Arnalds
Some Kind of Peace

E tornano in sella anche altri due giganti della musica. Il primo è quel genio a tutto tondo di Brian Eno, che sciorina il suo sapere minimalistico in compagnia del suo «fratellino» Roger. «Mixing Colours» con anche una versione «Expanded» per un totale di venticinque brani che sanno di tutto: gli acquerelli disegnati da Roger incontrano le architetture ambientali di Brian in paesaggi onirici, trascendentali pronti per essere la cornice di un film ancora da realizzare.

Brian & Roger Eno
Mixed Colours Expanded

Il secondo gigante è una gigantessa: Madame Laurie Anderson. La Nonesuch pubblica (ripubblica) «Big Science»: un esclusivo vinile dal rosso intenso per chi si fosse perso la prima edizione del 1982. Da ascoltare, da tenere a mente quanto la Anderson fosse già anni luce in avanti, e per tenere caramente conservato un cimelio artistico.

Laurie Anderson
Big Science

Ora, alla fine della fiera, dopo aver ascoltato tanta buona musica, ci interessa davvero sapere a che genere appartenga?
Alceste Ayroldi