Fabrizio Bosso è un trombettista di livello assoluto, dotato di un forte accento post-bop e indubbie capacità esecutive, interpretative e d’improvvisazione. Musicista affermato anche a livello internazionale, lo abbiamo incontrato per fare un punto sulla sua attività artistica e parlare del nuovo disco del duo Tandem con Julian Olivier Mazzariello dedicato a Pino Daniele.
Fabrizio, che effetto fa essere il trombettista più registrato e richiesto in Italia?
Non so se è proprio così, ma mi rende felice collaborare con tanti musicisti meravigliosi suonando la musica che mi piace e che mi fa stare bene. Per me è una grande fortuna. Poi sono in giro in tournée con Julian e con il mio quartetto si crea qualcosa di magico che mi da la possibilità di tirare fuori tutto il mio potenziale tecnico sullo strumento e nell’ambito musicale. C’è molta fiducia e voglia di condividere il palco, stare insieme e di fare musica e arrivare al pubblico.
Dall’inizio della tua carriera fino ad oggi hai suonato ogni genere di jazz, ma ti sei anche spinto oltre suonando pop, rock oppure riprendendo musicisti come Stevie Wonder. Ti senti un jazzista a tutto tondo o per te la musica è curiosità ed esplorazione?
Per me la musica è Musica, a prescindere dal linguaggio che uno usa per esprimerla. Sicuramente il mio mezzo è quello del jazz: nei dischi di pop io faccio degli assolo di jazz. C’è anche un modo di suonare con i cantanti che a me piace molto. Sono cresciuto con loro. I miei primi dischi su cui suonavo erano di Ornella Vanoni, Gino Paoli, Luigi Tenco e Fabio Concato. Con quest’ultimo ho inciso anche un disco assieme a Julian. Poi mi sono appassionato al jazz ed ho sviluppato quel linguaggio. Mi piace suonare la mia musica, gli standard di jazz, ma non riuscirei a stare senza una voce per suonarci insieme ogni tanto. Entrare in contatto con un certo tipo di musica come avviene negli omaggi che ho fatto in questi ultimi anni come quelli a Stevie Wonder e Pino Daniele. Chiaramente è rischioso fare un omaggio a un cantante perché non abbiamo il testo a disposizione, ma è molto stimolante. Ti richiede e ti permette di sfruttare tutte le sfumature del tuo strumento. In altri contesti invece sono circoscritte nel senso che se suoni hard bop il timbro deve essere quello, se suoni funk devi usarne un altro. Quando devi sostituire una voce è importante entrare nella melodia e capire che cosa abbia voluto dire quello che l’ha scritta. È stato molto stimolante, per esempio, scegliere alcune armonie nel progetto su Stevie Wonder. Ci siamo resi conto di quanto Wonder fosse nel nostro mondo, quello del jazz. La sua genialità sta nell’aver assimilato tutti i generi musicali, anche quelli più lontani dalla sua cultura musicale e averne creato uno tutto suo, con un timbro personale e una consapevolezza di tutto quello che gravita attorno, dalla musica brasiliana, al funk, al soul, al jazz e al gospel. In aggiunta c’è la sua timbrica vocale che è unica.
Tu sei un trombettista affermato anche a livello internazionale. Con quale trombettista straniero ti piacerebbe suonare assieme o fare un duo?
Il trombettista che stimo di più è Wynton Marsalis. Ci ho suonato con lui due volte in jam session. Invece farci un concerto lo vedo molto impegnativo. Ma ce ne sono tanti che mi piacciono. Dei più giovani per esempio Ambrose Akinmusire. È uno che mi incuriosisce molto. Ho avuto modo di suonarci assieme in jam a Perugia durante Umbria Jazz ed è stato molto divertente. In un trumpet summit invece, in cui ci sono tanti colleghi, mi sentirei un po’ come essere in un circo. Preferisco un contesto in cui ci sono due o tre trombe dove puoi armonizzare e fare cose diverse, senza che un brano diventi di dodici minuti. Anche perché ci vuole rispetto per chi sta ascoltando, nonostante i musicisti possano essere di alto livello.
La tua carriera si è sviluppata notevolmente nel corso degli anni, sei passato dalle prime esperienze artistiche e discografiche a tuo nome con la Red Records agli High Five. Poi è arrivata la Philology e il jazz di Franco D’Andrea. Infine ti sei affermato personalmente come trombettista e come musicista di larghe vedute dotato di una propria voce. Volendo tirare le somme, dopo questo lungo viaggio fra i generi durato anni, come definiresti oggi il Fabrizio Bosso musicista?
Ogni sera, dopo aver suonato, capisco come sto. Anche quando sono a casa che studio. Non mi sento come quello che ha raggiunto notorietà e fama. Ci sono giorni in cui provo molta soddisfazione ascoltando quello che viene fuori dal mio strumento e in altri in cui ci combatto un po’. Ho imparato a circondarmi di musicisti di cui mi fido e con cui sto bene non solo sul palco ma anche al di fuori di esso. Sono fortunato perché ho avuto modo di collaborare con musicisti che mi hanno fornito gli strumenti per avvicinarmi ai diversi tipi di jazz: quello di Franco D’Andrea che è diverso da quello di Julian Mazzariello ma intriganti allo stesso modo. Ciò che ho imparato con Franco D’Andrea, assieme a Gianluca Petrella, è stato molto interessante per la mia crescita. L’approccio con la musica di D’Andrea era diverso e un po’ mi spaventava. Lui si muoveva senza scaletta avendo a disposizione dieci-dodici brani. Inoltre, se avevamo un’idea ci chiedeva di metterla giù per poi essere seguiti dagli altri musicisti. Avevo forse venticinque anni e lavoravo su un terreno che non conoscevo. Antonello Salis invece mi ha fatto tirare fuori la pazzia. Ti serviva, quando si suonava dal vivo con lui. Senza di quella era impossibile suonarci assieme. Era un esibirsi senza rete come con D’Andrea. Queste esperienze mi hanno fatto crescere molto e mi sono servite sicuramente per rimanere nel mio mondo ma avendo un altro punto di vista, una visione diversa.
Passiamo al progetto Tandem formato da te e da Julian Olivier Mazzariello. Il vostro primo debutto discografico risale al 2014 con la pubblicazione di «Tandem», un disco di standard che comprendeva anche due brani tratti dal repertorio della canzone d’autore italiana. Questa volta invece il protagonista è Pino Daniele e il titolo del disco è «Il cielo è pieno di stelle». Come è nato questo progetto? Era un’idea che è cresciuta nel tempo oppure è stata un’intuizione del momento di cui sentivate la necessità di realizzarla quanto prima?
FB: Il progetto nasce grazie a un’intuizione del compianto Ernesto Assante. Aveva organizzato un festival al Maxxi di Roma e chiese a una serie di musicisti, tra cui me, di dedicare un omaggio ad alcuni grandi cantanti come Lucio Dalla, Pino Daniele e Franco Battiato. Io ho subito pensato a Julian per affrontare questa avventura. Lui è per metà campano, adora Pino Daniele e entrambi siamo cresciuti con la sua musica. Io l’ho scoperto adolescente ed è stato una folgorazione. Mi sono divertito a suonare sui suoi brani. Ho proposto la cosa a Julian che ha accettato. Abbiamo tirato giù delle idee e dei brani. Non avevamo alcuna certezza che potesse diventare un progetto. Comunque l’abbiamo messo in piedi in circa due ore a casa mia prima di fare il concerto al Maxxi. Durante il concerto è successo qualcosa di magico: il pubblico era entusiasta! Ci siamo resi conto della grandezza della musica di Pino Daniele. Riuscire a colpire il pubblico senza avere i testi ci ha fatto capire che come compositore era geniale. Quella sera al Maxxi c’era il fonico di Renato Zero a gestire i suoni del concerto. Dopo qualche giorno a una cena incontro Renato Zero che mi dice: «Ho sentito quella roba che hai fatto con il tuo pianista, ma è pazzesco! Dovete fare subito un disco!» Renato ne era venuto a conoscenza grazie al fonico che aveva mixato a casa sua il concerto. Di quella serata è stato prodotto anche un video che ha girato tantissimo in rete. La nostra manager a causa sua ha ricevuto tante richieste di concerti. A quel punto è partito assieme a Julian il progetto e lo abbiamo documentato su disco. Il cd è stato registrato per scelta a Napoli.
JOM: Esatto, Assante ci chiese di fare un omaggio e tra questi c’era Pino Daniele. Fabrizio aveva pensato a me perchè sono di Cava dei Tirreni e Pino Daniele lì era di casa perché ci ha suonato e registrato diverse volte. La sua musica è rimasta nei muri delle case e circola ancora per le strade. Mi sono appassionato alla sua musica e a quello che rappresenta. Quando Fabrizio me lo ha chiesto ho detto subito di sì. Ci abbiamo lavorato senza avere alcuna idea che potesse diventare un progetto. Pino era un genio. Ci siamo resi conto che abbiamo fatto un bel concerto ma non abbiamo percepito la portata dell’accaduto. Abbiamo inserito il bis di quel concerto come ultimo brano del cd. Il pezzo s’intitola Se mi vuoi. Il canto del pubblico era più alto dei nostri strumenti. Tra di loro c’erano il figlio e la figlia di Pino Daniele.
Fabrizio, Julian, chi è Pino Daniele? Cosa rappresenta per voi visto che lo avete studiato a fondo?
FB: Una persona schiva dotata di una profondità incredibile che è riuscito ad esprimere con la sua musica. L’ho incontrato diverse volte. Stavo anche per organizzare un suo concerto a un festival che curo di persona a Piossasco in Piemonte ma non ci sono riuscito perché il quel periodo è scomparso. Ricordo un episodio durante il festival di Sanremo: c’era la prova dei big e lui era tra di loro in veste di ospite. Durante le prove i giornalisti non possono entrare e può assistere solo l’orchestra, che in quel frangente era andata in pausa. Pino doveva salire sul palco e fare un brano da solo. Io avevo visto qualche prova degli altri musicisti e ognuno diceva la sua, chiedeva o si lamentava di qualcosa. A un certo punto arriva Pino. Era con un accompagnatore – allora ci vedeva già poco –, attacca il jack, sistema un attimo il monitor e comincia a suonare Quando. In quel momento all’Ariston eravamo in tre o quattro ad ascoltarlo. Ha cantato il brano con tale intensità da oscurarne la versione che ha fatto poi la sera. Allora mi sono detto: questo è uno che crede veramente nel suo lavoro, nella musica. È onesto! Lui è salito sul palco disinteressandosi di qualsiasi difficoltà o problema e ha suonato. Quando ascolti Quando o Anima rifletti e dici: sono quattro note, ma messe veramente bene!
JOM: Io non sono cresciuto a Cava e quindi da ragazzino non ho conosciuto la sua musica perché ero in Inghilterra. Mi sono reso conto dopo tutti questi anni che lui è come se facesse parte delle case di Cava, fosse uno di loro. Adesso è entrato dentro di me, mi appartiene. Una delle prime volte che ero a Cava da mio padre ho sentito da casa mia il concerto che si teneva allo stadio. La musica impregnava il paese di suoni. Ho dei ricordi personali molto forti che riguardano Pino Daniele: a sette anni ho avuto il piacere di vedere e ascoltare Miles Davis. Quando è salito sul palco l’emozione mi ha paralizzato la pancia. Qualche anno fa ho visto Wayne Shorter a Ravenna. La mia compagna si è commossa solo nel vederlo arrivare. E non parlo di me. Un po’ di tempo fa ho suonato a una convention con Stefano Di Battista e Nicky Nicolai. Dopo di noi suonava Pino Daniele con un percussionista e un chitarrista. L’ho visto salire sul palco per il soundcheck e ho provato le stesse sensazioni avute con Miles Davis e Wayne Shorter. Era dotato di un carisma incredibile. Era unico nel suo genere, inimitabile.
Il patrimonio compositivo di Pino Daniele è molto vasto. Quale è stato il criterio di selezione dei brani? Immagino non sia stato facile scegliere tra tanti capolavori.
FB: Abbiamo individuato i brani che ci permettevano di improvvisare. In alcuni casi abbiamo deciso di eseguire solo la melodia con delle piccole code. Avevamo bisogno di avere delle ritmiche che ci permettessero di intervenire sui brani. Je so’ pazzo, che è un blues lo abbiamo trasformato in un blues minore dandogli una veste dixieland. Allora sì invece è una bossa cui abbiamo cambiato in parte il tempo. I nostri interventi sono stati questi perché la sua musica è così bella che non c’era l’esigenza di stravolgere le composizioni. Sono contrario a chi fa omaggi stravolgendo la melodia e cambiando le armonie. Se si fanno omaggi è perché ti piace la musica di un determinato compositore. Se li stravolgi completamente, magari si perde l’essenza stessa dei brani. Credo che al pubblico piaccia così, perchè poi durante il concerto se li canta.
JOM: Come diceva Fabrizio, Je so pazzo lo abbiamo spostato indietro nel tempo, mentre su Allora sì ci siamo mossi sulle dinamiche. Non abbiamo alterato i pezzi perché sono belli di per sé. Poi quando suoniamo o facciamo un assolo il pubblico è lì che si canta il tema del brano.
Ascoltando il disco ho notato che tu suoni la tromba come se cantassi i pezzi di Pino Daniele, mentre Julian ti accompagna al pianoforte riproducendo le funzioni della chitarra. In un certo senso è come se voi due incarnaste una sola persona, che poi sarebbe Pino Daniele.
FB: L’idea era proprio quella. Usare i colori dello strumento, i glissando, che poi erano cose che lui faceva con la voce. Pino si muoveva molto sulle melodie. Non lo senti mai fare la stessa versione di un brano. Questo ci ha permessi di essere più vicini al suo modo di cantare e approcciarsi alla musica.
JOM: Giusto quello che dici: abbiamo cercato di essere un’unica persona, fondere tromba e chitarra per entrare nella parte.
Come avete affrontato da jazzisti Sicily, un brano che non è di Pino Daniele ma di Chick Corea e che in un certo senso il chitarrista ha fatto suo?
FB: Armonicamente la nostra versione si avvicina a quella di Chick Corea. Poi Pino Daniele ci ha messo le parole e l’ha trasformata. Noi l’abbiamo affrontata in maniera più muscolare. Un po’ rischioso, ma volevamo suonarla così.
JOM: In effetti come la facciamo noi è più simile a come la faceva Chick Corea negli anni Settanta. Pino Daniele ha avuto la genialità di farla a metà tempo per metterci poi il testo.
Sui pezzi lenti, intesi come ballad, quale è stato il vostro approccio? Le interpretazioni di Pino Daniele in canzoni come per esempio Anima o Anna verrà, ascoltate dal vivo, erano una sorta di connubio fatto di musica e fisicità, diremmo squisitamente mediterranea.
FB: Io ho la fortuna di suonare con Julian che, oltre a essere un musicista notevole, ha una spiccata sensibilità che lo porta a capire in anticipo di cosa ha bisogno la mia tromba, di come strutturare la melodia. Lui riesce sempre a sistemare il tutto sia che facciamo della musica lenta oppure con tempi veloci. Questo mi da la possibilità di suonare in libertà perché senti che da sotto lui sta suonando con te. Così è più facile che esca qualcosa di bello, altrimenti devi tirare fuori la scuola e le diverse congetture per far funzionare un brano. Deve essere tutto spontaneo, e Pino Daniele era così. Non gli importava se suonava mezza nota stonata perché nella sua musica c’era sostanza e profondità.
JOM: Normalmente si pensa che il pianoforte accompagni la tromba, ma con Fabrizio non è così. Noi ci accompagniamo a vicenda. Siamo sempre connessi.
Come ne siete usciti come musicisti dopo questa esperienza con la musica e la personalità artistica di Pino Daniele?
FB: Colpiti soprattutto dalla reazione del pubblico e dai commenti belli e profondi da parte della gente. È un qualcosa che ci da conforto perché ti rendi conto che si può ancora trasmette qualcosa in questo mondo così difficile. È bello riuscire a trasmettere sotto un’altra veste la musica di un grande artista.
JOM: Sono d’accordo con Fabrizio. È un’esperienza molto forte riuscire a comunicare la musica di un artista immenso.
Il cielo è pieno di stelle: Pino Daniele è tra quelle?
FB & JOM: A ogni concerto noi immaginiamo che Pino da lassù ci illumini e ci ispiri con la sua grandezza. Abbiamo voluto chiudere il disco con la versione dal vivo di Se mi vuoi per attestare una corale partecipazione con il pubblico alla grandezza della sua musica. E questo avviene a ogni chiusura dei nostri concerti.