AUTORE
Silke Eberhard
TITOLO DEL DISCO
«Being-A-Ning»
ETICHETTA
Intakt
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In questo secolo poverissimo di Lumi, ben venga Silke Eberhard a ricordarci con la sua musica che occorre riaffermare la fiducia nella ragione e nel gioco, in fondo due facce della stessa medaglia. È in particolare nell’assetto del trio che vediamo con maggior chiarezza il think positive della sassofonista tedesca e questo «Being-A-Ning» ne è il risultato non soltanto più a fuoco ma anche quello più stimolante tra i dischi finora realizzati. E stiamo parlando di un trio che ha quasi vent’anni di vita. Vi è un paio di punti fermi che vogliono simboleggiare la stabilità della dimensione: anche stavolta nel titolo compare la parola being, essere, cioè presenza, esistenza concreta, titolo stavolta intrecciato a quello di uno dei pezzi giovanili di Thelonious Monk (Rhythm-A-Ning); e anche stavolta l’immagine di copertina è un’opera – Stiefel, Fitjor (Norwegen) – dell’artista svizzero Roman Signer. Vocabolo e opera d’arte sono come frecce segnaletiche che indicano la solidità di un trio nel quale ogni sperimentalismo, anche il più «spinto», è condiviso grazie a una profonda e collaudata frequentazione.
In «Being-A-Ning» non vi è un solo momento nel quale Eberhard, Roder e Lübke perdono il filo del discorso, e non vi è dubbio che la sassofonista abbia scritto i brani (tutti suoi tranne uno di Lübke) avendo bene in mente i suoi compagni di avventura. Si comincia con What’s In Your Bag, un tema spigoloso eseguito all’unisono dai tre musicisti, una salva di stop-time che richiamano l’antico quartetto di Anthony Braxton (quello con Kenny Wheeler), con un assolo torrenziale eppure sorvegliatissimo della leader. La quale in quasi tutto l’album continua a mantenere nella sua condotta di solista un riferimento affettivo a quell’Eric Dolphy che si muoveva sempre fra razionalità e gioco. Ecco il lavoro sui colpi di lingua in New Dance, dove Roder e Lübke scandiscono il ritmo con un occhio al rock, ed ecco – all’opposto – la quieta animazione di Die Urwald che immagina suoni da foresta vergine. Il brano che dà il titolo al disco guarda indietro nella storia del jazz, con Eberhard morbida e swingante come un Lee Konitz. Si potrebbe continuare con l’energetico omaggio a Oliver Lake (Lake), con Rubber Boots (ispirato all’installazione surreale di Signer riprodotta in copertina), con l’ipnotica filastrocca di Lübke Hans Im Glück, eccetera eccetera. Brani che in una durata grossomodo fra i 4 e i 6 minuti riescono a dire tutto, perché questi sono improvvisatori che sanno togliere il superfluo. Un gran disco.
Giuseppe Piacentino
DISTRIBUTORE
Goodfellas
FORMAZIONE
Silke Eberhard (alto), Jan Roder (cb.), Kay Lübke (batt.).
DATA REGISTRAZIONE
Berlino, 25 e 26-3-24.