Cormòns, Teatro Comunale
Collio, varie sedi
Slovenia, varie sedi
26-27 ottobre
La terza e la quarta giornata della XXVII edizione di Jazz & Wine of Peace hanno proseguito e completato un percorso, anche geografico, molto articolato e ben congegnato, rinsaldando il rapporto di collaborazione e gli scambi tra Italia e Slovenia, anche in previsione di Gorizia/Nova Gorica Capitale Europea della Cultura 2025.
26 ottobre. Il concerto mattutino alla Kulturni Dom di Nova Gorica ha riservato una splendida sorpresa con l’esibizione del gruppo Circus guidato dal batterista norvegese Paal Nilssen-Love. Ridotta per l’occasione a quintetto per l’indisposizione della sassofonista Signe Emmeluth, la formazione allinea – oltre alla batteria e alle percussioni del leader – Juliana Venter (voce), Thomas Johansson (tromba), Kalle Moberg (fisarmonica) e Christian Meaas Svendsen (contrabbasso e basso elettrico). Da questo insolito assetto, e da una fase iniziale tutta giocata sul progressivo accumulo di sottili dinamiche e combinazioni timbriche, scaturiscono un mosaico stilistico e un caleidoscopio di invenzioni basate su una libera improvvisazione non idiomatica. Vi si riscontrano il lascito del free europeo, richiami alla musica contemporanea, echi di musica popolare scandinava, riferimenti alla musica per marching bands, furibonde progressioni ritmiche tipiche del punk jazz. Una dimensione del tutto consona all’approccio di Nilssen-Love: frastagliato, ricettivo e ricco di stimoli, decisamente meno iconoclasta e roboante del solito. In questo variegato contesto spicca la vocalità multiforme di Venter, strepitosa e camaleontica interprete. Sudafricana di nascita e residente da tempo a Oslo, la vocalist impiega le proprie risorse in funzione strettamente strumentale, applicandovi tecniche desunte dalla contemporanea, che ricordano le sperimentazioni di Joan La Barbara, Shelley Hirsch, Iva Bittová e Lauren Newton, producendo una gamma amplissima di possibilità e colori.
Nel pomeriggio la Villa Codelli di Mossa ha accolto il quintetto Giraffe di Matteo Paggi, rivelatosi con i Fearless Five di Enrico Rava. Le composizioni del ventisettenne trombonista marchigiano sono basate su frequenti cambi metrici e di atmosfera, e mettono in evidenza la dialettica con l’altosassofonista olandese Jesse Schilderink, tradotte in gustosi impasti timbrici, contrappunti e scambi serrati. Nel suono sontuoso e nel fraseggio possente di Paggi si colgono riferimenti alla poetica di Roswell Rudd, Ray Anderson e Gary Valente. Schilderink possiede un timbro sanguigno e un fraseggio ispido, ricco di blues feeling e con occasionali puntate free, che si esalta su certi vertiginosi up tempo (vedi anche la versione di Blues Connotation di Ornette Coleman, proposta come bis). Funzionale ed efficace l’apporto di Vittorio Solimene alla tastiera, di Jonathan Ho Chin Kiat al contrabbasso e Andrea Carta alla batteria.
Presso l’Azienda Agricola Gradis’ciutta il batterista tedesco (ma di lunga frequentazione statunitense) Joe Hertenstein ha presentato una formazione di fuoriclasse: Michael Moore (sax alto e clarinetto), Ray Anderson (trombone) e Michael Formanek (contrabbasso). Compositore prolifico, Hertenstein costruisce strutture articolate, a volte politematiche, che nei tratti più liberi sembrano possedere uno spirito affine a quello del jazz olandese, complice anche la presenza di Moore, da lungo tempo residente in Olanda. I temi e gli sviluppi sollecitano l’interazione tra Moore e Anderson, protagonisti di impasti timbrici, intrecci e scambi, chiamate e risposte. In tal modo, la razionalità e il controllo di Moore si contrappongono efficacemente alla visceralità di Anderson, che in certi frangenti richiama addirittura – per suono e fraseggio – la tradizione di New Orleans. Hertenstein dimostra di essere un batterista essenziale, quasi anticonvenzionale: infatti, privilegia figurazioni asciutte, quasi geometriche, lavorando molto sul rullante e ricordando a tratti Ed Blackwell. Il contributo di Formanek si fa apprezzare per l’implacabile precisione, il timing impeccabile, la capacitò di disegnare linee melodiche scarne ed evocative al tempo stesso.
Il concerto serale al Teatro Comunale di Cormòns ha richiamato l’attenzione su Anthony Joseph, poeta, cantante e compositore originario di Trinidad, ma residente in Inghilterra. Nella sua poetica, dotata di una forte identità, e nella declamazione perentoria dei suoi versi, Joseph rivendica il diritto di diffondere una versione differente da quella ufficiale. In altre parole, la Black History deve essere narrata dai neri, non dalle istituzioni o dai discendenti dei colonizzatori. L’impatto potente dei suoi versi non è però sostenuto altrettanto efficacemente dal tessuto musicale. Priva della sezione fiati (dei quali era presente il solo sassofonista Colin Webster), la band ondeggia tra brandelli di soul, funk e reggae piuttosto scontati. Thibaud Remy (chitarra), Renato Paris (tastiere), Andrew John (basso elettrico) e David Bitan (batteria) si limitano a sostenere un canovaccio risaputo.
27 ottobre. Il concerto mattutino presso la Tenuta Villanova di Farra d’Isonzo ha messo in risalto la versatilità e l’originalità di un trio composto dagli austriaci Fritz Paier (fisarmonica e bandoneón) e Gerald Preinfalk (sax soprano e clarinetti), e dalla croata Asja Valčič (violoncello). Musicisti di estrazione classica, i tre sono aperti a una varietà di linguaggi e praticano l’improvvisazione con un approccio disinibito e creativo. Il loro repertorio spazia da brani di ispirazione balcanica in 7/4 – in cui l’uso del clarinetto basso riporta alla mente certi lavori di Gianluigi Trovesi – al valse musette francese (e qui il parallelo con Richard Galliano risulta inevitabile); da pezzi di impostazione classica a evidenti richiami al folk; dal tango alla libera improvvisazione, in cui spicca l’eccellente uso della respirazione circolare praticato da Preinfalk. Il trio è accomunato da una dialettica empatica e dal piacere di suonare, e dimostra come applicare l’improvvisazione in un’ottica prettamente europea a materiali di diversa provenienza.
Il consueto appuntamento sloveno a Vila Vipolže è stato affidato a The Throw, quartetto guidato dal violoncellista Erik Friedlander e completato da Uri Caine al piano, Mark Helias al contrabbasso e Ches Smith alla batteria. Essenzialmente tratto dal recente «Dirty Boxing», il repertorio – com’è tipico della poetica di Friedlander – abbraccia riferimenti e contenuti disparati, senza per questo denunciare sbavature o scollature. Anzi, la coesione del quartetto e la perizia magistrale dei componenti permettono di affrontare agevolmente frequenti cambi metrici, frammentazioni intervallate da stop time, up tempo swinganti, groove sanguigni, fugaci (e forse ironici) richiami al mainstream, sprazzi di free form, allusioni alla musica popolare. L’approccio di Friedlander allo strumento riflette questa versatilità, tanto nell’uso dell’arco (a volte in interessanti combinazioni con Helias) quanto nel ricorso a un vivace pizzicato. A Caine tocca il compito di squarciare l’impianto dei brani con torrenziali digressioni. Helias e Smith coniugano da par loro sottigliezze dinamiche e potente impatto ritmico.
Alla Kulturni Dom di Gorizia, il percussionista Zlatko Kaučič – qui in veste di direttore – ha proposto Objemi/Abbracci/Hugs, frutto di un progetto didattico recentemente documentato dal disco eponimo. Il concerto è stato dedicato espressamente a Mauro Bardusco, direttore artistico di Jazz & Wine of Peace scomparso lo scorso giugno e grande amico di Kaučič. L’organico allestito per questa operazione comprendeva cinque batteristi-percussionisti (Gal Furlan, Urban Kušar, Tomi Novak, Vid Drašler, Žiga Ipavec), contrabbasso (Jošt Drašler) e basso elettrico (Timi Vremec), due chitarre (Anton Lorenzutti e Jan Jarni), sax alto (Jure Boršič), più due ospiti: il norvegese Torben Snekkestad (sax tenore e soprano, tromba) e il portoghese Eduardo Raon (arpa). L’ensemble ha sviluppato con disinibito vigore un caleidoscopio di situazioni, comprendente passaggi informali di improvvisazione non idiomatica, sezioni provviste di delicate dinamiche e colori tenui, possenti esplosioni ritmiche caratterizzate da incisive timbriche rock. L’ennesima dimostrazione della grande apertura mentale che Kaučič cerca sempre di trasmettere ai propri allievi.
Al Teatro Comunale di Cormòns il compito di chiudere il festival è toccato al chitarrista Kurt Rosenwinkel, alla testa di un quartetto composto da Seamus Blake (sax tenore e soprano), Ben Street (contrabbasso) e Jeff Ballard. Il titolo del programma era The Next Step Reunion, palese riferimento al disco eponimo del 1990 inciso con la stessa formazione, ad eccezione di Blake, che in questa occasione sostituiva Mark Turner. Ormai affermatissimo, il 54enne Rosenwinkel è tra i chitarristi più accreditati sulla scena jazzistica, in virtù di uno stile in cui ha saputo elaborare in una nuova dimensione tanto le influenze di Tal Farlow e Wes Montgomery, quanto l’eredità di Jim Hall e Mick Goodrick. Brani come Filters e Zhivago lo testimoniano chiaramente in virtù della raffinata tessitura armonica, così come The Next Step, introdotto al piano dallo stesso Rosenwinkel. Nell’azione compatta del quartetto, del resto formato da musicisti di comprovata abilità, emerge la maestria di Ballard nel menare la danza con ingegnose figurazioni e un’ampia gamma dinamica.
Il ricco programma di questa XXVII edizione ha offerto un elevato livello contenutistico e attirato, come da tradizione, un numeroso pubblico, anche stavolta in larga parte composto da appassionati austriaci. A conferma ulteriore del carattere transfrontaliero e multiculturale di questo festival. Mauro Bardusco, a cui dedichiamo un pensiero affettuoso e un sentito ringraziamento, ne sarebbe stato orgoglioso.
Enzo Boddi
Foto di Luca D’Agostino/Phocus Agency