Laigueglia 2023: musica e sorrisi nel nome di Naco

di Lorenza Cattadori

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Mauro Negri

“Chissà cosa scriverà di noi l’inviata di Musica Jazz”, si chiedeva qualcuno sul palco al check sound della ventisettesima edizione del PercFest, ideato dal contrabbassista Rosario Bonaccorso in onore del fratello Naco, che non suonava le percussioni: era magico, semplicemente. Però ‘l’inviata’ si aggirava tra le piazze di Laigueglia piene di palchi, o nelle stradine sotto una costellazione di foto d’autore salutando e abbracciando e ascoltando di nuovi progetti, di un primo anno di presentazioni di libri, o di immagini dei grandi Andrea Palmucci e Umberto Germinale, e tutto con un sorriso immutabile che poteva sembrare una paresi. E allora, improvvisamente, quel ‘qualcuno’ ha smesso di immaginare cosa avrei mai scritto. Si era tra amici, dall’inizio, e tra amici si è conclusa. Di questo scriverò.
Mercoledì 14 giugno, primo giorno di contrasti belli e poetici. Il primo set con Accordi e Disaccordi e, tra le chitarre di Alessandro Di Virgilio e Dario Berlucchi, e il contrabbasso di Dario Scopesi, compare il violino con quel brillantissimo talento che è Anais Drago; nel secondo set invece il salto musicale-geografico è davvero ampissimo e ci ritroviamo sul palco il pianista Omar Sosa con Ernesttico: duo di piano e percussioni dove il primo è esattamente parte del secondo. Grandiosi.
Nel secondo giorno, il 15 giugno, una lady presidia il palco con la sua giovane presenza. Siamo con il quartetto di Mila Ogliastro, che contempla l’autorevole presenza del pianista Andrea Pozza e di Nicola Bruno al basso elettrico e Giorgio Griffa alla batteria. Protagonisti sono i pezzi racchiusi nel lavoro The Wisteria Suites e il clima creato dalla voce di Mila è piacevole e pieno di freschezza. Nel secondo set, la defezione del trombettista Alessandro Presti (Top Jazz 2023 per il miglior talento italiano) a causa purtroppo di un problema improvviso non impedisce al batterista Roberto Gatto di prendersi la scena. Con lui Alessandro Lanzoni al piano e Giulio Scianatico al contrabbasso: un ritorno felicissimo a un’ambientazione acustica con il lavoro My Secret Place.

Gilson Silveira e Roberto Taufic

Venerdì 16 è giunto proprio il momento di dedicarsi anche a tutte le lezioni previste nel pomeriggio in alcune caratteristiche piazzette di Laigueglia, in una delle quali trovo il percussionista Gilson Silveira insieme al chitarrista Roberto Taufic a esplorare i suoni della propria terra facendo cantare tutta la piazza, e veramente di gusto. Inizia proprio in questo momento la ‘paresi’ che non mi abbandonerà fino alla fine del festival, e quel canto sorridente me lo registro con lo scopo di renderlo memoria. Primo step.
La sera, due concerti apparentemente lucenti eppure sommessi, e ciascuno a modo loro. Nel primo arrivano sul palco Mauro Negri a clarinetto e sax alto, Dario Carnovale al piano, Lorenzo Conte al contrabbasso e Matteo Rebulla alla batteria (protagonista anche di una delle lezioni in piazza). Rosario li presenta e fa sua la battuta sul nuovo sito del PercFest praticamente accanto al mare, tra ombrelloni e le americane montate dal bravissimo Alessandro Mazzitelli, quasi come si fosse su una nave da crociera. Annuisco, ma subito mi distraggo e mi immergo nella musica del quartetto pensando a un intro con le spazzole, e invece sono onde del mare.  Appunto.
Concerto lirico e pieno di colori, un pianista dalla poetica immensa e un contrabbasso dinamico ed elegante – che conferma Conte come uno dei più quotati contrabbassisti in circolazione – e quando sento suonare Negri avverto sempre un retrogusto malinconico, che forse non sarà proprio la sua modalità eppure io lo percepisco così, note distorte e voglia di rincorrerle. E un suono uguale a nessuno.
Tra i molti brani originali, riuscitissime le scelte da The Interplay Session di Bill Evans, Funkallero e You and The Night And The Music, con assolo sapienti e tesissimi, mentre in Floros di Carnovale o Pandora di Negri il suono si liquefa e si fa più struggente. Quartetto elegantissimo e dal suono peculiare a cui fa seguito qualcosa di molto differente.

Javier Girotto e Peppe Servillo

In L’Anno che Verrà i brani di Lucio Dalla vengono trasposti in un’atmosfera argentina accesissima ma mai sovrastante. I suoni scoscesi di Javier Girotto al sax soprano e l’energia percussiva di Natalio Mangalavite al piano accompagnano la voce unica di Peppe Servillo in uno spettacolo denso di rimandi ed emozioni, tra raffinatissimo avanspettacolo e brani resi quasi distonici e difficili da afferrare, ma stupendi e di questo il pubblico rende atto e applaude con profonda partecipazione. Monologhi di Servillo, richiami leggerissimi al tango di Girotto, perfino un momento di canto da parte di Mangalavite: voce arcana e intensa per arrivare all’esecuzione di Stella DI Mare; io mi emoziono e gli dico poi che mi ricordava Pedro Aznar nel disco con Pat Metheny – musica che mi frantuma ed è grandiosa – e lui sorride e dice “Ma certo, in fondo veniamo dalla stessa scuola”. Verso il finale il gruppo cresce in intensità e si passa da una versione magnifica e tagliente di Caruso ad Anna e Marco, che sembra letto quasi attraverso il folklore argentino, fino a L’Operaio Girolamo dove Girotto suona una ritmica perfetta passando dal sax a un timpano; la platea chiede il bis e si arriva persino a Ta Paidia Tou Peiraia facendomi tornare alla mente Nana Mouskouri, e quanto mi piacesse. Nel ter, il brano Felicità di Dalla insieme a Mauro Malavasi permette a Peppe di dare il meglio di sé coinvolgendo il pubblico e instillando una frase da cantare tutti insieme, e se tutte le stelle del mondo/a un certo momento/ venissero giù sicuramente canterebbero insieme a noi, che proprio tutti tutti ci abbiamo provato.
Sabato 17 giugno inizia al caffè Albatro con le ‘Pennich-Ellade Time’ insieme all’incontenibile, unico batterista Ellade Bandini, che li ha conosciuti tutti, quelli Grandi, ma gira per Laigueglia in bicicletta, parla con le persone e se uno ha voglia di ballare gli presenta sul momento una ritmica e lo accontenta. In piazza Libertà incontro l’afflato comunicativo e gli strumenti di Giorgio Palombini, circondato da congas con le quali esprime al pubblico presente tutto l’amore per le atmosfere afrocubane. Questo pomeriggio suona sopra un album leggendario di Michel Camilo in solo, What’s Up, e narra di Cuba, della sua musica ma anche di tecnica musicale con una leggerezza e una narrativa potenti. Il pubblico si gusta passaggi non facilissimi offerti con grazia, e restituisce applausi e ancora mille domande alla fine del set.
Altra piazza, Gilson Silvera ancora in duo con Roberto Taufic, questa volta anche con il bravo Alberto Varaldo all’armonica. Pubblico numerosissimo, sulle note di Wawe di Antonio Jobim arriva inaspettata e acclamatissima Valbilene Coutinho con il suo timbro stupendo.

Dado Moroni e Max Ionata

Alla sera, Two For You insieme al piano di Dado Moroni e al sax di Max Ionata: un duo già sperimentato anni fa su questo palco, ma capace di una musica evocativa e davvero particolare. Attacco di Dado, e che te lo dico a fare. Lui è unico e inimitabile. Potrei ascoltarlo per un intero giorno e non mi stancherei mai, solo con i grandi ‘padri’ del jazz mi accade e dunque mi stupisco ogni volta, e anche Ionata migliora sempre di più. Morbidissimo quando occorre, e nel resto del tempo incisivo.
L’esecuzione oscilla tra Ellington/Billy Strayhorn e Stevie Wonder. Don’t you worry ‘bout a thing di Wonder – molto ripresa da varie formazioni (una su tutte gli Incognito) – nella loro interpretazione assume una corposità ancor più sfaccettata e ricca. Arrangiamenti perfetti e molto scorrevoli; Isn’t she lovely? suonata come un blues è perfetta, con il riff rallentato e scandito sembra un altro pezzo e le persone presenti si abbandonano piacevolmente al gioco proposto dal duo di Max e Dado, che parlano con il pubblico e trattano tutti come amici di lunga data… In effetti l’atmosfera è proprio quella e questo festival è unico e inimitabile proprio per questo.
Dolcezza senza un filo di stucchevolezza, per passare al secondo set, che è invece esplosione di intervalli, stop, passaggi ripidi e grammatica musicale. Un Kapellmeister che si muove leggero e sornione nello spazio di un palco tra giovanissimi musici, e sembra toccarli, e sembra che loro si animino al suo passaggio. Un burattinaio bonario, che crede nell’eccezionalità dei membri della propria band e ci offre un secondo set sfavillante. Come passare dal surf all’alta velocità, Gegè.

Gegè Telesforo (chissà perché ogni volta mi verrebbe spontaneo scrivere “Di Giacomo” ma è così: li amo tutti e due per sapienza musicale e humour…) con Matteo e Giovanni Cutello a tromba e sax, Christian Mascetta alla chitarra, Vittorio Solimene a organo e tastiere e Michele Santoleri alla batteria formano un gruppo che si ispira profondamente al blues per potersi permettere percorsi assai dissimili… Tra un attacco alla Jimmy Smith e una potenza davvero notevole tra suoni e teatralità, si evocano – in alcuni passaggi – colori alla Snarky Puppy (e infatti il disco è stato realizzato dalla loro stessa etichetta), cadenze che ricordano le interpretazioni di Joe Cocker, oppure moltissimo funky croccante di tante individualità insieme. Sembrerebbe quasi impossibile farle combaciare, ma il risultato è strepitoso e solo Gegé avrebbe potuto. Davvero grandi musicisti, e pensare a quanto siano giovani ci predispone benissimo per un futuro di nuove generazioni: che auspichiamo tutti uniscano a una tecnica perfetta anche un cuore pieno, e voglia di uscire dagli schemi. L’ultimo brano è praticamente una sequenza divertente di falsi finali (e il pubblico ammaliato applaude ogni volta) e nel bis si unisce al gruppo il pianista Julian Oliver Mazzariello – invitato per l’esibizione della sera successiva – che sparge swing con il carico da cento su un tessuto ritmico teso e pulsante.

Lorenzo Tucci

Siamo all’ultima serata di domenica 18 giugno. In pratica Rosario forgia il proprio festival dedicandolo ai giovani, per i giovani e possibilmente con i giovani, come abbiamo appena visto, e non è certo un orientamento teorico-filosofico alla Don Sturzo, ma invece una concreta fiducia nelle opportunità da creare per i giovani talenti. Ecco dunque che l’ultima serata del festival viene aperta da un suono in mezzo alla platea da parte del giovanissimo sassofonista Gregor Storf – protagonista anche delle bellissime jam session al caffè Albatros – e sul palco arriva il trio scintillante di Lorenzo Tucci, protagonista nel pomeriggio di una lezione sulla batteria in piazza (e preceduto il giorno prima da un’altrettanto interessante dimostrazione di bravura da parte del batterista Nicola Angelucci). Claudio Filippini al piano inizia il concerto con una melodia sommessa a cui fa da contrappunto una sezione ritmica in crescendo. Il drumming di Tucci mi ha conquistata sin dai tempi degli High Five, e con il contrabbassista Daniele Sorrentino l’intesa è sottile e bellissima. Intensità da restare a bocca aperta e finali che chiamano l’applauso; i brani che rappresentano il loro lavoro Happy End, da Afrodolce a Tutto fino a Lu Piante De Le Foie o Andrà Bene si alternano all’evocazione di Thelonious Monk o al Davis di All Blues. Filippini accudisce un suono sincero e ispirato mentre il contrabbasso ricama e increspa il senso di pienezza di queste esecuzioni. Dolcezza e impeto, ma nulla di troppo muscolare e il rapporto di Lorenza con l’hi-hat gestito da Tucci è davvero emozionante, suscitando una recensione molto positiva…
Ecco infine We Wonder, che fa storcere il naso ad alcuni miei colleghi che probabilmente hanno un nasino molto più piccolo e meno strutturato del mio. E’ arrivata l’ora di chiudere il taccuino e ascoltare, in sacrosanto silenzio ispirato e piedino fluttuante in 4/4, qualcosa di davvero divertente, colto, dove le note dei temi di Stevie Wonder cadono come gocce in un mare di jazz cristallino. Nicola Angelucci (batteria) come un flusso, Julian Oliver Mazzariello (piano) vola, Jacopo Ferrazza (contrabbasso) ricama e Fabrizio Bosso (tromba) crea un suono composito, infiniti mondi sonori possibili dove il groove si trasmette anche agli astanti, che infatti rispondono entusiasti.
Nel finale della manifestazione siamo tutti sul palco, a cantare con Rosario Bonaccorso una meravigliosa melodia, e a volte a stare rigorosamente in silenzio per ascoltare quel suo vocalism pieno di poesia. Finisce tra mille abbracci la ventisettesima edizione del PercFest e non poteva che essere così, nel nome di Naco già ad aspettare la prossima.
Lorenza Maria Cattadori