Un’antropologia del jazz (Jean Jamin–Patrick Williams)

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Per i due valenti e stimati antropologi autori del saggio, Anthropology di Parker e Gillespie è solo l’occasione per tenere insieme un’elaborata ricerca dal lodevole obiettivo. All’inizio l’architettura antropologica regge bene, ma con la scorrere delle pagine acquista spazio una summa personalistica della storia del jazz, che ritaglia ampi spazi la figura di Django Reinhardt. L’opera è suddivisa in tre parti: la prima dedicata al rapporto tra la vita e la discografia – «Le registrazioni di jazz sono il jazz» -, prendendo in considerazione alcune biografie e dedicando un intero capitolo agli «usi impropri della biografia», come nel caso della vita di Billie Holiday, ritenuta fin troppo romanzata. La seconda parte si sofferma sul jazz-comunità, affrontando pindaricamente lo standard, il repertorio dei musicisti jazz e accendendo i riflettori su David Murray e sul «solito» Django. L’ultima parte è dedicata alla ricezione e diffusione del jazz in Francia, con un ampio e interessante spaccato su Darius Milhaud, che conduce il lettore al suono nègre e a La creazione del mondo. La chiosa finale è illuminante: «anche se si obiettasse che questo saggio non è in realtà, altro che la presentazione delle riflessioni di un appassionato (a due teste), non ce la prenderemo a male»

Seid, Firenze 2016. Pagine 387; euro 25,00

Alceste Ayroldi