“Capelli bianchi con una fascetta che li stringe alla fronte, l’andatura dinoccolata, magrissimo, lo sguardo vivo e curioso”, così Marco Molendini descriveva sul Messaggero l’11 luglio 1987 Gil Evans in occasione di uno degli eventi simbolo dei primi cinquant’anni di Umbria Jazz, ovvero il concerto della Gil Evans Orchestra con Sting. Era la prima volta che il festival umbro accoglieva una star del rock. Se la serata fu un successo ed ebbe il merito di far diventare Umbria Jazz uno dei più importanti festival musicali internazionali, le polemiche tra puristi e sostenitori delle contaminazioni durarono a lungo. E non sembrano essersi placate, nonostante a Umbria Jazz le variazioni sul tema siano ormai dominanti.
Riavvolgiamo il nastro. La star della giornata a Umbria Jazz è Stewart Copeland, atteso all’Arena Santa Giuliana con il progetto “Police Deranged for Orchestra”. Il perché sia “deranged” e non “arranged” lo spiegherà lui stesso, ovvero perché gli piacciono le cose folli, un po’ disturbanti. Lo struscio quotidiano in Corso Vannucci ci fa capire che oggi sono quasi tutti qui per lui, si avvistano magliette d’annata dei Police in numero quasi superiore a quelle inneggianti al jazz. Copeland è un personaggio simpaticissimo, ironico, di grande vitalità, fisico atletico, grande presenza scenica, ha una fascetta che stringe alla fronte i capelli bianchi ed è impossibile non cogliere il rimando all’illustre precedente.
Se tra Copeland e Sting i rapporti sembra non siano dei migliori – “ormai sappiamo che se ci riuniamo in una sala prove tutti insieme finiamo per urlarci addosso, e io invece preferisco ridere”, ha dichiarato in alcune interviste – l’omaggio del batterista dei Police al geniale collega è esplicito. In fondo, nonostante Copeland sia un musicista eccezionale, di onnivora curiosità, polistrumentista (a Umbria Jazz si è esibito anche in veste di chitarrista e direttore d’orchestra), compositore, arrangiatore, produttore, nel corso della carriera ha composto musiche per il cinema, la televisione o anche i videogiochi (“non sono attività artistiche ma artigianali, però mi pagano per farle”, dice), sa bene che sarà sempre ricordato come il batterista dei Police. E così lui i Police se li porta in giro a modo suo.
Quelle dei Police sono belle canzoni senza tempo: fanno parte della cultura popolare e rimangono tali anche nella loro versione orchestrale, a patto di dimenticare il confronto con gli originali. Partito dalla California, il tour mondiale “Police Deranged for Orchestra” ha degli elementi fissi e delle collaborazioni locali: per il concerto di Umbria Jazz ha visto la collaborazione dell’Umbria Jazz Orchestra e dell’Orchestra da Camera di Perugia, diretta da Troy Miller. La voce di Sting è affidata a tre strepitose coriste, Raquel Brown, Sarah-Jane Wijdenbosch e Laslie Aerts, una certezza, assieme a Vittorio Cosma al pianoforte e tastiere e Gianni Rojatti alla chitarra solista.
L’innesto con le formazioni orchestrali locali è un po’ farraginoso ma alla fine funziona. In scaletta i successi più noti del trio britannico: si comincia con Demolition Man per poi andare in crescendo verso Roxanne (“quando Sting mi ha fatto sentire per la prima volta questa canzone ho pensato: quest’uomo è un genio”, dice), Don’t Stand So Close To Me, Message in a Bottle, per poi finire tutti a cantare e ballare sotto il palco Every Little Thing She Does Is Magic.
Se il progetto di Copeland è piacevole e ben fatto ma decisamente di maniera, i veri deranged di Umbria Jazz 2023 sono Michael Mwenso con i suoi Shakes (di cui ha scritto qualche giorno fa Paolo Romano (www.musicajazz.it/umbria-jazz-2023-michael-mwenso/) a cui è affidato, giustamente, l’after show sul palco all’uscita dell’Arena Santa Giuliana. Gli Shakes agiscono in modo spiazzante, da veri tricksters, e sono un perfetto antidoto alle certezze consolidate del concerto precedente. Divisivi, ma necessari. Chapeau.
La giornata di ieri è stata ricca di concerti. Due gli appuntamenti interessanti alla Sala Podiani della Galleria Nazionale dell’Umbria. In mattinata “Mix Monk”, il trio del batterista Joey Baron con il sassofonista tenore e soprano Robin Verheyen e il pianista Bram De Looze, un mix per l’appunto di composizioni di Thelonious Monk e brani originali: non c’è il basso, la caratteristica dominante è l’intenso interplay dei tre. Nel primo pomeriggio “We Like It Hot”, il progetto da leader della cantante e performer Vanessa Tagliabue Yorke dedicato ai ruggenti anni Venti, con i fedeli Mauro Ottolini al trombone, Francesco Bearzatti al clarinetto e Giulio Scaramella al pianoforte.
E poi nel pomeriggio, al Teatro Morlacchi, l’ormai consolidato duo composto da Enrico Rava, tra gli artisti più rappresentativi di questi cinquant’anni di storia di Umbria Jazz, e il pianista Fred Hersch: uno degli incontri più belli e poetici del jazz degli ultimi tempi, documentato dall’album “The Song is You” (2022, ECM). Si inizia con la melanconica Retrato Em Branco e Preto, tema frequentatissimo da Rava e che stabilisce un’intesa tra i due: poi la conversazione inizia, ed è un tripudio di invenzioni.
Se il suono del flicorno di Rava appare in controluce, lucidissimi sono il pensiero e la fantasia e Hersch è pronto a cogliere ogni sfumatura, ogni armonico imprevisto, ogni suggerimento per trasformarlo in variazioni armoniche e ritmiche, temi che diventano dissonanti e poi ritornano armonici, sospensioni delle strutture che poi rientrano in modo imprevedibile, e soprattutto tanti silenzi che lasciano respirare, immaginare, fantasticare. Si oscilla tra il bop di Barbados di Charlie Parker e la rivisitazione magnifica di vecchi standard come I’m Getting Sentimental Over You o Polka Dots and Moonbeams, poi alcune composizioni originali di Hersch portano alla chiusura con ‘Round Midnight, in una geniale riarmonizzazione del pianista. Bis a luci accese e ovazione finale.
Rosarita Crisafi