Firenze, Museo di San Marco
11 luglio
Com’è noto, la versatilità e la curiosità innate del violoncellista olandese Ernst Reijseger spaziano dal retroterra classico all’improvvisazione a lungo praticata nell’ambito della scena jazzistica europea, fino al confronto con le tradizioni popolari. La sua collaborazione con la formazione vocale sarda Tenore e Cuncordu de Orosei risale al 1998 ed è documentata in prima istanza da «Colla voche» (Winter & Winter, 1999). Questo singolare legame si è poi esteso anche in altre direzioni, individuando una sua diversa dimensione anche nelle musiche scritte da Reijseger per alcuni film di Werner Herzog, come ad esempio Cave of Forgotten Dreams e Fireball.
Era dunque logico che il progetto del violoncellista, per l’occasione denominato The Face of God, trovasse una degna collocazione nell’ambito della rassegna Mixité – Suoni e voci di culture antiche e attuali, organizzata da Toscana Produzione Musica. Suggestiva la scelta dello spazio: il chiostro del convento di San Marco, da anni adibito a museo, e duplice la connessione. Da un lato, il connubio tra antichi canti popolari e la sfaccettata visione europea di un improvvisatore. Dall’altro, l’accostamento tra sacro e profano, essendo quei canti in lingua sarda di carattere prevalentemente liturgico (ad esempio: Ave Maria, Libera me Domine), ma anche legati in qualche misura a pratiche della vita quotidiana.
Il cantu e cuncordu prevede quattro registri (voche, mesavoche, contra, bassu) e si svolge normalmente a cappella. I quattro esecutori si dispongono in circolo, sviluppando affascinanti contrasti, – anche in forma di chiamata e risposta – tra voce guida e gli altri membri della formazione; vivaci polifonie; bordoni avvolgenti. Nonostante il chiostro di San Marco non fosse l’ambiente ideale dal punto di vista acustico, i quattro del Tenore e Cuncordu de Orosei (Piero Pala, Mario Siotto, Luca Frau ed Emanuele Ortu) hanno sfruttato al meglio l’interazione con lo spazio circostante e la dialettica con Reijseger, iniziando il concerto con un ingresso dall’entrata principale e concludendolo nella magnifica Sala del Capitolo affrescata dal Beato Angelico, davanti alla quale il quartetto e il violoncellista si sono posizionati per il resto dell’evento.
Come sua abitudine, Reijseger si cala con umiltà e discrezione nel contesto culturale dei colleghi sardi, contrappuntando, sottolineando e commentando con dense arcate, invenzioni melodiche, uso efficace del pizzicato e del glissando, brevi ma felici spunti improvvisativi. Al violoncello abbina, come suo solito, due shruti boxes, piccoli armonium indiani azionati mediante una pedaliera allo scopo di creare bordoni ipnotici, dal respiro quasi mistico.
Nei frangenti in cui il quartetto passa a un repertorio connesso ad aspetti della quotidianità, il canto si anima di una pulsante vibrazione ritmica, il che esalta la consueta tendenza del violoncellista a percuotere le corde con l’arco, tamburellare sulla cassa armonica, imbracciare lo strumento a mo’ di chitarra. Così facendo, conferma la sua innata tendenza ludica, a dimostrazione del fatto che il verbo olandese spelen – così come tutti gli altri corrispondenti nelle varie lingue germaniche – possiede la duplice valenza di giocare e suonare.
Più che un’integrazione (o peggio, un’improbabile fusione), la consolidata collaborazione con i Tenore e Cuncordu de Orosei risulta un proficuo e intellettualmente onesto avvicinamento tra due mondi apparentemente molto distanti, alla scoperta dei possibili punti di contatto.
Enzo Boddi