Tania Giannouli: Solo

La pianista greca è una delle figure più significative emerse negli ultimi anni. Una musicista di grande talento, alla quale abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia

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Si chiama «Solo» l’ultimo lavoro della pianista e compositrice greca. Un lavoro che mette in evidenza a chiare lettere quanto Tania Giannouli sia riuscita a coniugare il linguaggio della musica contemporanea con l’improvvisazione jazzistica. Un disco che affascina e che conduce verso i nuovi paradigmi del jazz europeo. 

Tania, la pratica del piano solo è per te abbastanza comune dal vivo. Quand’è che hai deciso di fissarla in studio di registrazione?

L’idea di incidere un album di piano solo me la portavo dietro da tempo, più o meno da quando ho iniziato a esibirmi anche in questa configurazione. Dopo aver conseguito il diploma di pianoforte classico avevo smesso di suonare da sola, ero troppo presa dai progetti di gruppo e dalle collaborazioni (il mio TG ensemble, il mio trio, eccetera). Così grazie alle insistenze del direttore del festival Enjoy Jazz, Rainer Kern, che nel 2020 mi ha invitato a tenere il mio primo concerto in solitudine alla Kunsthalle di Mannheim nel 2020, ho capito che suonare da solista è in realtà una cosa di estrema importanza per me. Dopo alcuni concerti da solista in alcune bellissime sale di tutto il mondo (NFM di Breslavia, Flagey Piano Days, Rudolfinum di Praga e altre ancora) ho deciso che era arrivato il momento di entrare in studio e di registrare la mia musica per pianoforte.

Quando e come hai iniziato il processo di composizione di questo disco?

Gran parte della musica contenuta in questo album è quella che ho eseguito nei miei concerti negli ultimi tre anni. Alcuni pezzi sono stati composti molto tempo prima, mentre altri sono stati composti poco prima che entrassi in sala di registrazione. In ogni mio concerto suono sempre musica nuova. 

Quanto spazio hai dedicato all’improvvisazione in questo lavoro?

L’intero disco è stato registrato in soli due giorni alla Athens Concert Hall (Megaron). Direi che quasi la metà dell’album è stata improvvisata al momento, durante quei due giorni di registrazione. Volevo includere nell’album del materiale frutto della mia improvvisazione. Posso dire che, alla fine, avevo così tanta e bellissima musica improvvisata da costringermi a eliminare alcuni brani scritti, che spesso suono nei concerti, proprio a favore di esecuzioni improvvisate. 

Consideri questo disco un punto di arrivo o un punto di partenza?

È una domanda interessante. In un certo senso è un punto di arrivo, poiché è il più personale di tutti i miei progetti (ensemble, trio, duo), quindi può esserci la sensazione che tutta la musica precedente sia stata una sorta di «preparazione» per questo passo più grande (e più difficile). Ma d’altra parte è anche un punto di partenza, perché onestamente, sento che questo viaggio da solista, adesso che l’ho iniziato, non potrà mai finire. Può solo andare avanti. Spingersi oltre.

Tania Giannouli

Hai descritto il tuo approccio musicale come un «linguaggio sonoro aperto». Ce ne spiegheresti il significato?

Non mi piace limitarmi negli stili o mettere etichette alla mia musica. Il mio background di studi è la musica classica e contemporanea (ho studiato pianoforte classico e composizione) e non il jazz. Tuttavia l’improvvisazione ha un ruolo di enorme importanza nella mia musica. Mantengo occhi e orecchie molto aperti per quanto riguarda la composizione e l’esecuzione, e credo che questo spieghi il mio desiderio di esplorare tutto ciò che cattura il mio interesse, sia che si tratti di suonare con un musicista che suona strumenti fatti di pietra, legno e conchiglie marine (Rewa, insieme a Rob Thorne) o di formare il mio trio pianistico ben poco ortodosso (pianoforte, oud e tromba). Non penso in termini di stili. La musica è una sola, e può essere buona o cattiva.

A parte te, c’è un filo conduttore che lega i tuoi diversi progetti?

Direi la mia infinita curiosità e il desiderio di sperimentare ed esplorare. Ma posso farlo solo quando sento già la presenza di un legame e di un’affinità. 

Come dicevamo, hai studiato pianoforte classico. Quando e perché ti sei avvicinata al jazz?

L’improvvisazione è sempre stata per me il punto di partenza della composizione, fin dalla più tenera età. Mi sono però avvicinata consapevolmente al jazz durante l’adolescenza, ascoltando dischi di vari stili e iniziando a esplorare il catalogo ECM. In seguito ho partecipato ad alcuni laboratori sulla libera improvvisazione. Questa conoscenza ed esperienza è ciò che ora cerco di trasferire ai musicisti più giovani nei miei workshops di improvvisazione.

Hai unito i tuoi studi musicali a quelli di agraria. Qual è il rapporto tra questi due studi diversi? Come mai ha scelto la facoltà di agraria?

Non c’è un vero e proprio legame. Essendo una brava studentessa a scuola, e soprattutto nelle lezioni di scienze, i miei genitori hanno insistito perché studiassi qualcosa in più rispetto alla musica. Essere un musicista, nella maggior parte dei casi significa avere difficoltà a guadagnarsi da vivere, e i miei genitori volevano che avessi la possibilità di scegliere. Così ho preso anche un master in Scienze Agrarie e Alimentari. Inutile dire che non ho mai lavorato, nemmeno un giorno, in questo campo. Tuttavia non mi pento di averlo fatto. Trovo che questi studi mi abbiano offerto molto nel senso di imparare a pensare, organizzare e analizzare i diversi aspetti della realtà. 

Quel che è certo è che la natura è un tema ricorrente e fondamentale nella tua musica. Cosa pensi della situazione del pianeta?

Questa è davvero una domanda colossale. Noi esseri umani abbiamo soprattutto perso il legame con la natura. Per me cercare di avere questa connessione, il più spesso possibile, è fondamentale. Abbiamo trattato questo pianeta, che è la nostra casa, in modo molto negativo ed egoista. I risultati si ripercuotono su tutti noi, sempre di più.

E quale pensi debba essere il ruolo dell’artista per migliorare la situazione ambientale?

Credo soprattutto che il ruolo di un artista sia quello di fare la propria arte (nel nostro caso si tratta di musica) nel modo più efficace e più onesto possibile. È la dote che ci è stata concessa per rendere questo pianeta un po’ migliore. Se chiunque facesse ciò che sa fare meglio, il nostro sarebbe un mondo più felice. I problemi e le miserie iniziano quando le persone si trovano in posizioni in cui non dovrebbero essere, facendo cose che non amano o che non sono in grado di fare. 

Inoltre, ognuno di noi, artista o no, nel 2023 – dove non stiamo più vivendo un cambiamento climatico, ma un autentico collasso – dovrebbe essere consapevole e proattivo nelle migliori pratiche per ritardare, se invertire è probabilmente impossibile, questa spirale catastrofica. Mi ritengo fortunata ad aver trascorso alcuni anni dell’infanzia in luoghi vicini al mare, villaggi che non esistono più, nuotando in mari azzurri e puliti che oggi sono sempre più difficili da trovare. Questi ricordi sono il mio tesoro.

Tania Giannouli

Sei nata e vivi in Grecia. Hai mai pensato di lasciare la tua terra?

È un’idea che mi viene in mente ogni tanto. Non l’ho ancora fatto, ovviamente per buone ragioni.

Qual è la situazione dell’industria musicale in Grecia (parlo di locali, interventi statali, pubblico, case discografiche) e quella della scena musicale?

Certamente c’è una scena musicale in fiore (nel jazz, ma non solo). Ci sono alcuni buoni locali e sicuramente il livello di svariati musicisti greci è molto alto. Quello che mi sembra manchi ancora da noi è l’assenza di un sostegno statale, come avviene nella maggior parte dei Paesi europei, con finanziamenti, uffici per l’esportazione della musica e così via. La musica è in qualche modo, purtroppo, esclusa da tutto questo. 

Quali collaborazioni consideri rilevanti nella tua carriera artistica?

Sicuramente tutte. Non posso dire che una sia più importante dell’altra. Suonare con Nik Bärtsch mi fa sentire «aria fresca», Nik lo sa, e io l’ho detto in pubblico. Ma anche il disco con Arve Henriksen è stata un’esperienza musicale unica e completamente creativa. Naturalmente amo e apprezzo molto tutti i musicisti che suonano nelle mie band. Mi sento molto fortunata a poter suonare e comporre per loro, è molto stimolante.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Nel gennaio 2024 suonerò con Nik in duo pianistico ad Atene. Poi ci saranno alcuni concerti da sola o in trio in Norvegia, Italia e Belgio. E sicuramente ci sarà presto un nuovo album, ma bisogna ancora vedere quale sarà il primo! Mi piace ancora il feedback che ricevo sul mio album da solista!

 

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