Südtirol Jazzfestival Alto Adige, dal 28 giugno al 7 luglio 2024, in varie località dell’Alto Adige.

di Giuseppe Segala

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Nel corso della propria storia, durata la bellezza di quarantadue edizioni, il Südtirol Jazzfestival Alto Adige è passato naturalmente attraverso numerose trasformazioni, che nel corso degli anni ne hanno mutato la fisionomia, portandolo da rassegna elitaria, seppure ben apprezzata a livello internazionale, a manifestazione diffusa su tutto il territorio della provincia di Bolzano, orientata alla presentazione sia di giovani musicisti che di luoghi sempre nuovi e atipici dove proporre la musica, in un’area che non manca certo di suggestioni naturali e antropiche. L’ideatore di questa formula, Klaus Widmann, che a sua volta aveva assunto e mutato l’eredità storica ricevuta dal primo direttore artistico, Nicola Ciardi, ha affidato il testimone lo scorso anno ai suoi giovani e ben rodati collaboratori Stefan Festini Cucco, Max von Pretz e Roberto Tubaro, che hanno proseguito sulla linea da lui tracciata.

Maria Faust

La seconda edizione curata in modo collegiale ha mantenuto la quantità di appuntamenti musicali, circa cinquanta in dieci giorni di programmazione, concentrandosi in modo particolare sulla collaborazione con altre rassegne europee, oltre che con enti e associazioni del territorio. E soprattutto focalizzando l’attenzione su alcuni musicisti di interessante personalità, stimolati dal festival a portare, accanto a propri lavori già rodati, situazioni inedite e nuovi incontri favoriti dalla formula della residenza artistica. Su tali aspetti si vuole soffermare il nostro resoconto, che necessariamente, nel corposo cartellone, opera una scelta ulteriore rispetto a quanto già selezionato riguardo ai concerti da seguire. Ecco dunque la sassofonista e compositrice estone Maria Faust, già presente in due edizioni precedenti del festival: nell’occasione apriva il festival con il proprio lavoro Mass of Mary, ben rodato e pubblicato in CD nel 2022, ma si incontrava pure nel trio inedito con il trombone di Matteo Paggi e con la batteria del germanico Tilo Weber, nella Abbazia di Novacella presso Bressanone.

Matteo Paggi

La messa è una partitura impegnativa, che coinvolge un coro misto di diciassette voci e un quartetto strumentale di fiati. Nella scrittura di Faust risalta la parte vocale, trattata con originale estro polifonico. Vi si mescolano con forza elementi della tradizione e del folklore baltico, della musica sacra medioevale e contemporanea, a tratti evocante Arvo Pärt. Il capannone nell’area industriale dismessa di un quartiere bolzanino, con i suoi riverberi da cattedrale gotica, si è rivelato un ambiente ideale per tale proposta. Quali attinenze con il jazz avesse questa apertura, si è chiarito per il pubblico il giorno successivo, con il lavoro del trio.
Questo ha valorizzato le doti di relazione dei musicisti, con il sax alto di Faust che percorreva nell’improvvisazione ancora le influenze baltiche attraverso modalità del jazz, il trombone e l’elettronica di Paggi che interagivano con notevole sensibilità timbrica e strutturale, la batteria che costruiva campiture poliritmiche, evocando spesso una sensibilità vicina a Paul Motian. Weber, a sua volta in qualità di artist in residence della prima sezione del festival, è stato invitato il giorno seguente a presentare anche il proprio lavoro in solo, sviluppato in una performance sintetica, durata poco più di mezz’ora, nella quale erano messi in evidenza e in relazione vari parametri sondati dal musicista germanico: il rapporto stretto e complementare di vibrafono e batteria, la ricerca timbrica sottile e ricca di sfumature, i contrasti dinamici e poliritmici, di trasparenza evanescente. Ancora significativo, nel caso di Weber, un terzo appuntamento, giocato sul suo incontro inedito con il violino di Theo Ceccaldi: intervento pure molto breve e senza rete, basato sull’improvvisazione aperta che ha mostrato fine sintonia nelle dinamiche e capacità di percorrere e intrecciare narrazioni, nel contrasto stilistico di un Ceccaldi veemente e della percussione misurata, sebbene propensa all’avventura.
Se la presenza di Weber, batterista operante nell’area berlinese, ha significato una sorpresa per la maggior parte del pubblico, quella del sassofonista Daniel Erdmann era una conferma. Anche in questo caso, si metteva in scena sia una formazione già rodata del sax tenore germanico, Velvet Revolution con il violino di Ceccaldi e il vibrafono dell‘inglese Jim Hart, che un progetto inedito: l’accompagnamento del lungometraggio muto Mr. Radio, del 1924. A lato dello schermo, il trio formato da Erdmann, dalla tastiera portatile di Olga Reznichenko e dalla batteria di Francesca Remigi sintonizzava il proprio commento sensibile sulle immagini mozzafiato di salti e scivolate acrobatiche lungo pareti rocciose a strapiombo, in una storia che narrava passioni, ardimento e drammi personali, con virtuosismo pionieristico della cinepresa. Da parte degli ottimi musicisti, non è stato solo un commento musicale, ma una vera e propria corrispondenza con il ritmo e l’audacia delle immagini, attraverso accenti e timbri tellurici, salti tonali senza rete e scale impetuose.
La Reznichenko, in qualità di pianista, è stata al centro di un altro concerto con il proprio trio ben rodato, completato da Lorenz Heigenhuber al contrabbasso e Max Stadtfeld alla batteria. L’ampio ventaglio espressivo in costante mutazione timbrica, ritmica e armonica è ben controllato dai tre musicisti, che mostrano una coesione vibrante, trasparente. Il pianismo della musicista di origine russa, residente a Lipsia ormai da quindici anni, è ben consapevole dei riferimenti ai grandi della tastiera moderna e li metabolizza con carattere e ottimi spunti compositivi.

Pedrotti Klein Goller

Sempre da un contatto con la scena di Lipsia e del suo festival scaturisce un altro incontro promosso dall’Alto Adige Jazzfestival: quello che nella città tedesca era nato come dialogo tra il vibrafonista e percussionista Mirko Pedrotti e il batterista Daniel Klein, si è qui arricchito con la presenza della bassista Ruth Goller, originaria dell’Alto Adige ma molto apprezzata sulla scena londinese, dove lei opera da molti anni. Contemporary Assonance, scaturito dal lavoro in residenza dei tre musicisti, traccia un articolato affresco scandito da ritmi intrecciati, da atmosfere oscillanti tra etnie ancestrali e contemporaneità elettronica, dalle armonizzazioni trasparenti del vibrafono e dalle pulsazioni flessibili di basso e batteria. Un progetto in parte già ben delineato, in parte ancora in possibile evoluzione, che ha mostrato buona potenzialità.

Battaglia Graziano Sartorius

Un altro lavoro inedito frutto di una residenza a Bolzano vedeva l’incontro del duo già consolidato di Camilla Battaglia e Simone Graziano con il batterista svizzero Julian Sartorius. Qui gli eccellenti spunti del pianista e tastierista toscano su elementi poliritmici e armonici sono riusciti solo in modo episodico a dare l’impronta a una musica che deve ancora maturare un indirizzo e un carattere. La scommessa, basata prevalentemente sull’improvvisazione, alla ricerca di logiche inedite, richiedeva un equilibrio dinamico tra apporti personali e sviluppi spontanei. Cosa evidentemente difficile da realizzare in soli tre giorni di prove. Lo stesso Sartorius, qui prudente al limite della discrezione, ha dato prova di ben altro carattere partecipando al rituale Kabarila, ideato dalla nuova direzione artistica del festival con l’obiettivo di ripetere per cinque anni una performance di cinque ore con lo stesso gruppo di artiste e artisti. La sua batteria ha avuto un ruolo essenziale nella ipnotica, incalzante curva dinamica che si andava costantemente modificando nello sviluppo della lunga performance.

In conclusione, citiamo quello che ci è apparso uno tra i momenti più pregnanti di tutta la rassegna, con protagonista il quartetto ØKSE, nato su commissione del festival di Saalfelden nel 2022. Ne fanno parte alcune personalità di spicco, come la sassofonista danese Mette Rasmussen, la batterista statunitense Savannah Harris, l’alchimista elettronica haitiana Val Jeanty e il contrabbassista svedese Petter Eldh. La sintonia era qui sviluppata su una musica densa, scura, sanguigna, con una chiara matrice africana-americana bene in evidenza, percorsa da poliritmie e da una serie ampia di stimoli timbrici, sulla quale si innestavano assoli di forza e originalità pregevoli. Il festival altoatesino resta, pur con una certa discontinuità qualitativa, una formidabile occasione di incontro e di confronto per le nuove generazioni di musicisti e uno stimolo all’ascolto senza pregiudizi.
Giuseppe Segala

*tutte le foto sono offerte da vari operatori del festival, come riferito dall’autore.

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