Per la quattordicesima volta, il prestigioso Stresa Festival – noto a livello internazionale per l’eccellenza della sua programmazione di musica classica – ha dedicato il proprio prologo di luglio al jazz. Chi scrive ha seguito praticamente tutte le edizioni e ricorda come, almeno fino alla pandemia, il programma fosse concentrato in un weekend, ospitando ogni anno alcuni dei migliori artisti internazionali in tour. L’elenco è lungo e di altissimo profilo: il trio di Brad Mehldau, il solo di Abdullah Ibrahim, il gruppo di Jan Garbarek, poi Ron Carter, Michel Portal, Jack DeJohnette (in una delle sue ultime apparizioni italiane), John Surman, Carla Bley… e molti altri ancora.
Va riconosciuto che, pur mantenendo sempre uno standard qualitativo elevatissimo, le scelte artistiche dell’allora direttore Gianandrea Noseda non hanno incontrato il riscontro sperato in termini di pubblico. Da un lato, la concomitanza con altri importanti festival italiani non ha certo aiutato; dall’altro, va considerata la difficoltà strutturale nel coinvolgere le nuove generazioni di ascoltatori.
Dal 2021 il testimone della direzione artistica è passato a Mario Brunello, che ha scelto un orientamento diverso rispetto al suo predecessore, privilegiando in misura maggiore il panorama jazzistico nazionale. In particolare, si è deciso di dare spazio e fiducia a giovani talenti emergenti, tra i quali spicca il nome di Simone Locarni.
Classe 1999 e originario del Lago Maggiore, Locarni si era già esibito lo scorso anno in trio con Klaus Gesing e Yuri Goloubev. In questa edizione ha ricevuto carta bianca per una residenza di tre concerti, inizialmente previsti sull’Isola Bella e in parte spostati presso il Centro Congressi a causa del maltempo. Abbiamo seguito il primo dei tre appuntamenti: ecco com’è andata.

Per l’occasione, Locarni ha riunito un quintetto inedito, battezzato “Radici”, pensato per esplorare il patrimonio musicale personale di ciascun componente. Si sono così intrecciate atmosfere mediterranee, portate da Michele Sannelli, Enrico Palmieri e Antonio Marmora, e sonorità latine evocate dal sax e dal flauto andino di Javier Girotto. Il concerto si è snodato attorno a composizioni originali firmate dai diversi membri dell’ensemble. Locarni è apparso ispirato e perfettamente a suo agio soprattutto nei brani di matrice latin, propri o firmati da Girotto, vere e proprie corride sonore scandite da un flusso impetuoso di note ed energia.
Dal punto di vista tecnico, Locarni mostra una preparazione solidissima. Sul piano compositivo, si intravedono già qualità interessanti e ampi margini di crescita: la scrittura potrà senz’altro affinarsi ulteriormente con il tempo e l’esperienza.
Molto positivo anche l’apporto degli altri membri del gruppo, con una menzione speciale per Michele Sannelli, anche lui vincitore, come Locarni, del concorso Bettinardi promosso dal Piacenza Jazz Club e oggi tra i musicisti più promettenti del nostro Paese. Girotto ha offerto il suo contributo sia come compositore sia come solista, in particolare con ispirate escursioni al sax soprano. Ottimo infine il lavoro della sezione ritmica, sempre solida, reattiva e coerente nell’accompagnamento.
Nel complesso, un concerto riuscito, capace di conquistare il pubblico – composto in larga parte da villeggianti stranieri – accorso numeroso al Centro Congressi di Stresa. Siamo certi che anche il recital per piano solo e il progetto con quartetto d’archi e la partecipazione di Fulvio Sigurtà sapranno riservare momenti altrettanto significativi.
Appuntamento all’anno prossimo per una nuova edizione di quelli che un tempo erano noti come “Midsummer Jazz Concerts”.