XLIV Edizione
22-25 Agosto 2024
I numeri parlano chiaro e non solo quelli relativi ai concerti: sessanta spalmati in quattro giornate, da giovedì 22 a domenica 25 agosto, oltre la metà dei quali gratuita, che hanno coinvolto circa duecento artisti provenienti da sedici paesi diversi (Italia non pervenuta, sigh!).
Con oltre ventottomila visitatori ai concerti, il budget di ottocentosettantamila euro in totale, di cui centottantamila ricavati dalle vendite (biglietti, merchandising…), ha generato una ricaduta economica sul territorio stimata attorno ai due milioni e ottocentomila euro, attirando pubblico nazionale ed estero che spesso ha esteso il proprio soggiorno aldilà delle giornate del festival per visitare Saalfelden e i suoi dintorni.
Questi i dati ufficiali comunicati dal direttivo del festival, a dimostrazione del fatto che con una calibrata economia della cultura “si mangia”.
Quali le caratteristiche di questa quarantaquattresima edizione? La qualità degli artisti messi in campo, la varietà delle proposte d’ascolto e dei luoghi in cui ascoltarle: dal palco principale della kermesse – il Centro Congressi – alla sala Nexus, dall’atmosfera industriale della Otto Gruberhalle al prato del parco urbano, dal verde dei boschi e dei laghi circostanti alla sacralità di luoghi quali l’eremo Einsiedelei e l’antica stamperia Fuchs, e ancora sottopassaggi urbani e autobus di linea quali scenari d’eccezione di estemporanei flash mob musicali.
Il nostro viaggio musicale a Saalfelden è iniziato venerdì 23 agosto con “Fil”, progetto del duo francese formato da Leïla Martial (voce, effetti) e Valentin Ceccaldi (violoncello). Continua la loro “ricerca di un folklore immaginario”, già fissata in parte sull’album “Les jardins des délices”, ricca di frutti gustosi e inaspettati. Così, brani della chanteuse Barbara, come “Aux Bois de Saint Amand”, acquistano nuova vita; nelle mani di Martial tutto si trasforma: quel bosco diviene incantato e la natura si risveglia per celebrare una storia d’amore appena sbocciata. Guizzi timbrici, dalla più dolce delle tonalità a quella più graffiante, ed una varietà di emissioni vocali così articolata e creativa, fanno di Martial una delle cantanti più interessanti del panorama jazzistico e sperimentale europeo. Il repertorio spazia, attraversando epoche e luoghi, per abbracciare le opere di autori quali Poulenc (Cold Song) e Manuel de Falla (Asturiana) e proporre un trittico originale (musiche di Ceccaldi e parole di Martial), che dà titolo all’album di cui sopra, ispirato dall’opera di Hieronymus Bosch. Ceccaldi è partner ideale di questa avventura poiché sollecita e ispira la fervida immaginazione di Martial, dando luogo ad un palpabile affiatamento.
Per noi, il venerdì prosegue in serata con “Thérapie de couple”, sestetto franco-tedesco del sassofonista Daniel Erdmann che vede Hēlēne Duret ai clarinetti, Théo Ceccaldi al violino, Vincent Courtois al violoncello, Robert Lucaciu al contrabbasso e Eva Klesse alla batteria. Il progetto, commissionato nel 2023 da Jazzahead, spazia tra jazz e contemporanea attraverso intriganti linee melodiche. Tutto il validissimo organico opera coralmente, valorizzando al contempo momenti in solo o di ensemble cameristici (tre archi, o basso e batteria). Pare di avere a che fare con una “coppia” ben rodata, seppur di fresca unione, la cui terapia funziona alla grande! A chiudere la nostra serata è il nordico The End, gruppo che vede cinque protagonisti della scena creativa scandinava destreggiarsi egregiamente tra free jazz, noise, alternative rock, grindcore e folk scandinavo. Loro sono Sofia Jernberg alla voce, Kjetil Moster al sax tenore, clarinetto ed elettronica, Mats Gustafsson al flauto, sax baritono ed elettronica, Anders Hana al basso e Borge Fjordheim alla batteria.
La giornata di sabato costituita solo – occorre dire – da 24 ore, ha contato ben 20 appuntamenti. La nostra selezione inizia con il trio di Sylvie Courvoisier. A corroborare la longeva collaborazione della pianista e compositrice di Losanna con Ned Rothenberg (sassofono e clarinetto) sono state la tecnica e bravura di Nasheet Waits alla batteria. In questo contesto, l’estro compositivo e il tocco (spesso percussivo) peculiari di Courvoisier sono stati esaltati da due ideali compagni di viaggio nell’avvicendarsi di atmosfere rarefatte e sentieri ritmici audaci e coinvolgenti, cosa che non ci ha fatto rimpiangere troppo di aver perso (causa tempi strettissimi tra un evento e l’altro) il duo Mary Halvorson – Tomas Fujiwara all’incantevole stamperia Fuchs. Ben più complesso ci è parso il progetto “Chimaera” di Courvoisier (ore 22 presso il Centro Congressi): brani che superavano i venti minuti ciascuno, a parer nostro, troppo ricchi di intenzioni, tanto da appesantire l’ascolto. Peccato perché una formazione del genere, con Christian Fennesz alla chitarra ed elettronica, Patricia Brennan al vibrafono e percussioni, Nate Wooley alla tromba, Drew Gress al contrabbasso e Nasheet Waits alla batteria, non è affatto scontato poterla intercettare spesso in tour.
“Chimaera” è stato anticipato da “Elder Ones” di Amirtha Kidambi. Guidato dalla cantante e musicista americana (voce, harmonium, sintetizzatori) di origini indiane, il quintetto ha imbastito un repertorio originale, in cui hanno convissuto jazz, tradizione musicale indiana e canti di protesta, atto a sensibilizzare su temi sociali quali discriminazione razziale e parità di diritti. Il live è stato interamente dedicato alla trombettista Jaimie Branch, scomparsa nel 2022.
Abbiamo poi chiuso felicemente la serata con la carica esplosiva dei Messthetics featuring James Brandon Lewis. Del resto con una formula che ha unito il basso di Joe Lally e la batteria di Brendon Canty (due ex Fugazi) alla chitarra di Anthony Pirog e al sax di Brandon Lewis, non poteva essere altrimenti. Il brillante esito di questo esperimento è ben documentato sull’album edito lo scorso marzo per Impulse Records.
Il lieve sciabordio di un remo sulle acque gentili del Ritzensee ha accompagnato le sonorità sghembe, mai esasperate e in perfetta sintonia con il contesto, del sassofono e della tromba di Mats Gustafsson e Nate Wooley. I germani reali, tanto quanto il pubblico che ha assistito dalle rive, sono parsi apprezzare. Così è iniziata la nostra domenica, ultimo giorno di programmazione di questa quarantaquattresima edizione. La magia è proseguita nel pomeriggio con il quartetto all-stars di Tomeka Reid. La violoncellista e compositrice ha presentato a Saalfelden il suo nuovo “3+3”, terza pubblicazione che vede al fianco della leader Mary Halvorson alla chitarra, Jason Roebke al contrabbasso e Tomas Fujiwara alla batteria. “3+3” tocca vette altissime per raffinate linee melodiche e un’eleganza sofisticata ma mai stucchevole. Un jazz contemporaneo ben congegnato, mai ostentato, che scorre liscio come olio e rapisce al contempo. Ritmo, timing e guizzi ben calibrati. I momenti improvvisativi, o i soli messi in campo sono propedeutici allo svilupparsi dei brani. Nulla forse è lasciato al caso, ma è una musica che fa levitare, ti porta in alto con estrema leggerezza. Chapeaux!
La nostra esperienza a Saalfelden si chiude con un’altra ora e mezza di grande jazz, quello del violoncellista Erik Friedlander, che sul palco della Sala Congressi fa slalom tra composizioni antiche e nuovissime di stampa, contenute nell’ultimo album “Dirty Boxing” (Skiptone Records, 2024), insieme ad Uri Caine al pianoforte, Mark Helias al contrabbasso e Ches Smith alla batteria, alias The Throw, che non necessitano di presentazioni. Al termine del concerto riprendiamo la strada verso casa. Grazie e al prossimo anno Saalfelden Jazz Festival!
Eleonora Sole Travagli