AUTORE
Yusef Lateef
TITOLO DEL DISCO
«Atlantis Lullaby: The Concert from Avignon»
ETICHETTA
Elemental
In versione doppio cd o doppio lp di durata di poco oltre l’ora e mezza, ecco un’autentica rarità: il quartetto di Yusef Lateef, all’epoca poco più che cinquantenne, colto in una registrazione per la ORTF (qui trasferita dalle bobine originali, restaurata e masterizzata da Matthew Lutthans) in quel di Avignone, anno di grazia 1972. Affacciatosi non più di primo pelo a cavallo fra anni Cinquanta e Sessanta con i fratelli Adderley (era nato a Chattanooga nel 1920 come William Emanuel Huddleston), benché già attivo svariati anni prima accanto ai vari Hot Lips Page, Roy Eldridge e Dizzy Gillespie, Lateef è uno dei sommi pontefici del polistrumentismo jazz: tenorsassofonista in bilico tra un fraseggio di marca bop e una sonorità più larga di eredità classica, distribuiva le proprie energie creative anche su flauto (su cui l’impostazione accademica cedeva di tanto in tanto alle tentazioni dell’ipersoffiato) e oboe (utilizzato di regola nei brani più larghi e rarefatti). Il suo approccio rivela in ogni frangente l’attento orecchio da lui rivolto alla musica orientale, come del resto ribadito anche dall’adozione, accanto al canonico modello traverso, di tutta una serie di flauti di foggia esotica (cinese, arabo, e Ma-Ma, auto-ideato). In questa incisione live il suo tenorismo palesa la forte discendenza da una vasta letteratura in materia, solido e spesso torrenziale, anche in considerazione del fatto che, dei sette brani presenti, i più ampi lo colgono appunto al tenore, comunque il suo strumen[1]to-guida, anche se è in realtà negli episodi più «periferici» che si celano le proposte più stimolanti: nel flautistico A Flower, duetto col pianoforte di Kenny Barron di ascendenza quasi classica, e poco più avanti nell’unico brano breve del lotto (meno di quattro minuti), la docile, e nel contempo dolente Lowland Lullaby, in cui a duettare col basso archettato di Bob Cunningham è in realtà Al Heath al flauto indiano. Ancora flauto (Lateef) subito in avvio di secondo cd (o lp), nello scopertamente danzante Eboness, che poi, in sede di assolo, si apre a inflessioni arabeggianti (e Lateef usa anche la voce, dentro e fuori dallo strumento). Segue un nuovo episodio al tenore, una ballad, stavolta, mentre è il conclusivo, chilometrico The Untitled (guarda caso) a offrire le maggiori sorprese del tutto, partendo al tenore su una staccatura mozzafiato, ma dopo un po’ levando il piede dall’acceleratore per avventurarsi su sentieri insondati, aerei e sospesi, prima duettando (sempre il tenore) ancora col basso archettato, poi toccando altre timbriche: ancora il flautino di Heath, poi, proprio sul finire, come di sfuggita, l’oboe, benché in copertina si indichi il soprano, che in realtà Lateef affronterà più avanti, lungo i novantatré anni vissuti rimanendo attivo quasi sino all’ultimo; ancor più brevemente, un po’ prima, qualcosa che somiglia a una cornamusa (ma molto in sottofondo, e poi sono veramente due note) e – forse – altro ancora (che faremmo comunque fatica a decodificare). Insomma: musica muscolare, con ampie immersioni in the tradition, e salti in avanti (diremmo in avan[1]scoperta) che, nella loro somma, ci fanno amare, da sempre, quel musicista tutto sommato fin troppo misconosciuto che risponde al nome (arabo) di Yusef Lateef.
Bazzurro
recensione pubblicata sul numero di aprile 2024 della rivista Musica Jazz
DISTRIBUTORE
elemental-music.com
FORMAZIONE
Yusef Lateef (ten., fl., oboe), Kenny Barron (p.), Bob Cunningham (cb.), Albert Tootie Heath (batt., fl. indiano).
DATA REGISTRAZIONE
Avignone, Cloître des Célestins, 19-7-72.