WYNTON MARSALIS «Black Codes (From the Underground)»

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AUTORE

Wynton Marsalis

TITOLO DEL DISCO

«Black Codes (From The Ubnderground)»

ETICHETTA

Columbia


Vede di nuovo la luce, in una veste rimasterizzata, il quarto album da leader del trombettista, originariamente pubblicato nel giugno del 1985. La ghiotta occasione è da porre in relazione diretta con la decisione della Library of Congress, assunta ad aprile dello scorso anno, di inserire l’album nel «National Recording Registry» (l’elenco delle incisioni da tramandare ai posteri). Questa è la prima opera di Marsalis a ottenere tale riconoscimento. Si tratta di un disco indubbiamente dotato di rilevanza storica (in questo senso la scelta della LoC è pienamente comprensibile, potendosi di certo affermare che l’opera riflette la vita negli Stati Uniti d’America), sia per la natu[1]ra squisitamente artistica, sia per il sottotesto culturale. Quanto a questo secondo aspetto, è noto che la fonte di ispirazione di Marsalis, resa esplicita dal titolo, era sta[1]ta nelle leggi razziali (appunto i «Black Codes») approvate dopo la fine della Guerra di secessione e dopo l’abolizione formale della schiavitù (in realtà spesso preesistenti). Questo impianto normativo aveva delineato un preciso sistema sociale segregazionista, volto a sfruttare la forza lavoro degli ex-schiavi, ridotti comunque ad animali da soma o poco di più. Risulta ancora di forte impatto l’esplicita foto di copertina, nella quale, Jason, il minore dei fratelli Marsalis, in un’ipotetica aula scolastica, guarda una lavagna sulla quale, parzialmente cancellata, è riportata la «regola costituzionale» (!) del cosiddetto «Compromesso dei tre quinti» («Three-Fifths Compromise»), il quale stabiliva che, ai fini della rappresentatività politica, ogni afro-discendente schiavo dovesse essere «pesato» nella misura di tre quinti di un bianco. Da un punto di vista musicale siamo di fronte a una indubbia pietra miliare, nella quale risalta[1]no sia il fine lavoro compositivo del leader sia la potenza di fuoco di un quintetto straordinario, ove la presenza di Branford aggiunge un peso specifico molto forte, mentre la coppia Kirkland-Watts è assolutamente al suo meglio e sugli scudi. Superfluo aggiungere alcunché riguardo alla performance di Wynton, di un nitore tecnico e di una potenza espressiva abbacinanti. Tuttavia può essere opportuno ricordare, a ulteriore suffragio della personalità del trombettista, come, nelle note di presentazione dell’album, naturalmente affidate a Stanley Crouch, emerga chiaro il suo pensiero, sia in relazione all’affermazione identitaria, sia con riguardo a quella artistica (del leader come autore della propria musica e dunque della propria fortuna), sia il monito a non sottovalutare i rischi della «schiavitù volontaria» (che appunto può agire «from the underground», anche nelle forme del successo commerciale e dei suoi condizionamenti). Assunti forti, che portano Wynton a concludere che: «The overall quality of every true artist’s work is a rebellion against Black Codes». Da un punto di vista del suono, infine, il remastering non ha il potere di correggere del tutto le caratterizzazioni dell’incisione, che sono quelle tipiche di quel periodo pio[1]nieristico del digitale. Il disco, per questo motivo, continua a suonare scuro e squillante nello stesso tempo. Ma sono dettagli. Resta, molto semplicemente, un disco da avere.
Cerini

recensione pubblicata sul numero di marzo 2024 della rivista Musica Jazz

DISTRIBUTORE

Sony

FORMAZIONE

Wynton Marsalis (tr.), Branford Marsalis (sop., ten.), Kenny Kirkland (p.), Charnett Moffett (cb.), Jeff «Tain» Watts (batt.); Ron Carter (cb.) sostituisce Moffett su Aural Oasis.

DATA REGISTRAZIONE

New York, 11 e 14-1-85.

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