AUTORE
Pharoah Sanders
TITOLO DEL DISCO
«Live at Fabrik Hamburg»
ETICHETTA
Jazzline
Due sono stati i riferimenti della poetica di Pharoah Sanders: Sun Ra, che gli aveva dato il suo nuovo nome e dal quale ha ereditato il senso dello spazio, della suggestione, la pulsione verso l’ignoto – il «cosmic groove» ha in lui uno degli esponenti più importanti – e John Coltrane, che nell’ultimo periodo della sua vita si era messo accanto il più giovane discepolo («Kulu sé mama», «Om», «Meditations», «Ascension», «Live in Seattle», «Live at the Village Vanguard Again!», «Live in Japan», «Expression», «The Olatunji Concert: The Last Live Recording»), e dal quale Pharoah ha preso la dimensione più spirituale e un po’ meno, forse, quella orientata verso la ricerca pura. Non è un caso che dopo la morte di Trane, avvenuta il 17 luglio 1967, Sanders abbia continuato a lavorare con Alice Coltrane in almeno tre dischi («A Monastic Trio», 1968, «Ptah, the El Daoud», 1970, «Journey in Satchidananda», 1970). Resta il fatto che per scrivere di Sanders devo svestirmi del ruolo di cronista musicale per assumere i panni del fan sfegatato. Perché fino a oggi non ho mai sentito un suo disco che mi abbia deluso, persino quelli più «leggeri» come «Love Will Find a Way» (1977) o «Welcome to Love» (1990) in cui il barrito dei suoi armonici impreziosiva i suoni morbidi del Philly sound o le ballad più sentimentali. Certamente uno dei periodi più prolifici di Farrell Sanders in arte Pharoah – che per un breve periodo era parso voler raccogliere il messaggio iconoclasta e fuori dagli schemi di Sun Ra – è stato quello delle incisioni con la Impulse, nella cui scuderia entrò a far parte dopo aver passato tre anni alla corte di John Coltrane spingendo in avanti la ricerca spirituale del grande sassofonista di Hamlet. Questo disco (registrato dal vivo ad Amburgo nel 1980 assieme a tre autentici fuoriclasse) lo cattura in uno dei tantissimi memorabili concerti che lo hanno visto protagonista, e le cui tracce sono gioielli preziosi del suo straordinario repertorio come The Creator Has a Master Plan, che qui dura circa otto minuti ma che in «Karma», (1969) l’album in cui il brano è apparso per la prima volta, è una lunga suite di 32 minuti che influenzò la gran parte dei musicisti creativi dell’epoca e conferì istantaneamente a Sanders il ruolo di grande sacerdote del jazz. L’amore che veniva fuori dal sassofono di Pharoah, anche negli episodi più «arrabbiati», era immenso, e il suo era un misticismo così intenso da travalicare qualsiasi forma di inquadramento all’interno di una corrente musicale. Erano gli anni del Flower Power, di musical come Hair o Jesus Christ Superstar e Pharoah, in quel disco, seppe sintetizzare il caos organizzato di quelle esperienze. L’album si apre con You Gotta Have Freedom (da «Africa», 1987) ed è energia allo stato puro con un grandissimo Hicks al pianoforte e un assolo di Muhammad che vorresti non finisse mai. Si continua con It’s Easy To Remember in una versione struggente, forse anche più coinvolgente di quella del Coltrane di «Ballads». Un concentrato di emozioni difficili da descrivere su carta, in perfetta sintonia con quella che è stata la poetica strumentale di Sanders e che lo ha accompagnato fino alla sua morte avvenuta il 24 settembre dello scorso anno. Armonie dilatate, ipnosi, pezzi che proseguono all’infinito, questi gli ingredienti principali di una musica la cui voce strumentale ha trovato in Sanders uno dei cantori più appassionati. Sentirlo, ma, soprattutto, vederlo suonare dal vivo è stata una delle esperienze più belle mai provate nella vita e questo album, come del resto tutti i suoi dischi, è davvero imperdibile.
Gaeta
pubblicata sul numero di maggio 2023 di Musica Jazz
DISTRIBUTORE
Goodfellas
FORMAZIONE
Pharoah Sanders (ten.), John Hicks (p.), Curtis Lundy (cb.), Idris Muhammad (batt.).
DATA REGISTRAZIONE
Amburgo, giugno 1980.