MIKE NOCK «Hearing»

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AUTORE

Mike Nock

TITOLO DEL DISCO

«Hearing»

ETICHETTA

ABC Jazz


Per chi non lo sapesse o lo avesse dimenticato, Mike Nock è un pianista neozelandese, noto in Occidente per alcune gemme realizzate durante il suo lungo soggiorno americano (i dischi con il gruppo The Fourth Way, costola gentile del jazz-rock) e soprattutto in qualche escursione europea (dai dischi in solo e in quartetto del 1978 al memorabile «Ondas» in trio del 1982), ma tornato già una quarantina d’anni fa nel suo continente per stabilirsi in Australia, dove ha proseguito la sua attività insegnando, coltivando giovani talenti e incidendo principalmente per etichette locali, oltre che per la sua autoprodotta. Ecco come lo abbiamo perso di vista. Ed è già una fortuna che due cd tra i più notevoli di questo lungo periodo siano stati realizzati rispettivamente per la Naxos («Not We But One» del 1997) e per la nipponica DIW («Changing Seasons» del 2003). Perché Nock resta un protagonista imprescindibile della piano music contemporanea originata dal jazz. Ergo, peccato che una prova clamorosa, quasi insuperata, della statura di Nock sia proprio questo recentissimo cd in solo realizzato, ahinoi, per l’etichetta della radio nazionale australiana e quindi di faticosa reperibilità. La musica è molto più raccolta che nell’ultimo cd in solo, datato 1993 («Touch»), e anche più fluida, meno astratta, che nei precedenti cd in duo con il percussionista Laurence Pike («Kindred» del 2012 e «Beginning and «End of Knowing» del 2015). Il Nock ottantatreenne ha partorito una summa del suo distintivo impressionismo lirico, capace a un tempo di riflessione e di dolcezza. Dei tredici pezzi costituenti il repertorio, di cui undici di nuova creazione e almeno per metà, sembrerebbe, nati dall’improvvisazione, l’iniziale Prologue è forse l’unico in cui l’assenza di tema e la politonalità concorrano a una dominante astrattezza, e il vecchio, nervoso Jacanori del 1978 (che quasi non si capisce perché rivisitato) l’unico in cui l’azione raggeli la risonanza emotiva; condizione che ha curiosamente il suo opposto nella generosità musicale dell’altro pezzo ripreso dal passato, il carezzevole e luminoso Sunrise. Tra i pezzi nuovi, non molti sono eseguiti interamente in funzione dello sviluppo di un tema (di sicuro soltanto Vale John, Spirit Song, Waltz for My Lonely Years e Windows of Arquez). Più di frequente presentano una cellula tematica, non importa se scritta o improvvisata, che si fa nucleo generatore di improvvisazioni elencali ma intelligibili, continuamente nutrite di instant composing. È una pratica precisa quale non è il concetto di unità scrittura-improvvisazione, spesso invocato per magnificare le doti del jazz: una pratica che alla musica dà un apporto molto simile a quel[1]lo della composizione scritta e che qui sentiamo dotare il pezzo improvvisato di una costanza di densità musicale che ci fa tornare alla mente le magistrali improvvisazioni rapsodiche di Mal Waldron («Evidence» del 1988) e di Paul Bley («Solo in Mondsee», 2002). Diversamente da Waldron e da Bley, Nock non possiede un tocco/suono marchio di fabbrica. Sono soprattutto gli intervalli che adotta nelle frasi e negli accordi a funzionare da trasduttori. Ma il loro effetto sulle atmosfere e sul suono stesso è inconfondibile e più che sufficiente a imprimere un univoco segno allo svolgimento di un tema e al passaggio improvvisato. Se Nock eseguisse Satie, compositore del cui particolare classicismo in qualche modo risente, dovrebbe impegnarsi a non sfigurarne l’artificiosa causa concettuale.
Vitolo

recensione pubblicata sul numero di novembre 2023 della rivista Musica Jazz

DISTRIBUTORE

abc.net.au

FORMAZIONE

Mike Nock (p.)

DATA REGISTRAZIONE

Melbourne, 2023.